di Flavia ROVETTA
Flavia Rovetta (Roma nel 1995), ha conseguito con lode la Laurea Magistrale in Storia dell’arte presso l’Università La Sapienza di Roma, discutendo una tesi in storia dell’arte contemporanea. Nel 2019 ha vinto una borsa di studio per un programma di alta formazione della Luiss Business School nell’ambito dei beni culturali. In seguito ha svolto un tirocinio formativo presso il Museo Novecento a Napoli di Castel Sant’Elmo, sede della Direzione Regionale Musei Campania (2020). È stata redattrice consulente per l’Atlante dell’Arte Contemporanea De Agostini 2019. Ha inoltre contribuito alla stesura dei testi critici per i cataloghi dei Padiglioni Nazionali Grenada, Repubblica Dominicana e Guatemala, partecipanti alla 58. Biennale di Venezia (2019). Dal 2017 svolge attività di stesura di testi critici, redazione di interviste d’artista e curatela indipendente, sia in Italia che all’estero.
Lunedì 26 ottobre, presso lo studio d’artista di Anna Di Fusco a Roma in Via dei SS. Quattro 25, si inaugura la mostra SYNTHESIS, a cura di Flavia Rovetta. In occasione della RAW – Rome Art Week 2020, i due artisti Anna Di Fusco e Salvatore Giunta espongono insieme per la prima volta in una doppia personale. La pittura materica, dalle seducenti qualità tattili inscritte in un equilibrio formale limpido, dialoga sinergicamente con l’essenzialità smaterializzata delle sculture, che visualizzano l’incorporeo, l’invisibile.
Synthesis – Anna Di Fusco | Salvatore Giunta
La parola sintesi esprime la volontà di comporre, di mettere insieme elementi eterogenei affinché, proprio in tale unione, si rinnovino nel significato e nella loro efficacia comunicativa. Entità distinte, unità elementari che, così raccordate, consentono di giungere ad una visione complessa, globale.
Synthesis è l’occasione di generare una narrazione polifonica, intesa anche come sinergia delle parti, in cui Anna Di Fusco e Salvatore Giunta mettono in atto un metodico e consapevole processo di sintesi interna e reciproca. Una pittura fortemente materica incontra sculture smaterializzate, intrecciando una relazione armoniosa in cui opere apparentemente contrapposte rivelano sottili analogie formali e la medesima aspirazione all’assoluto.
Intense vibrazioni cromatiche, quasi impalpabili e tuttavia distintamente percepibili, animano superfici scabre e dalle tonalità terrose. Una vita pulsante che grida proprio sotto l’epidermide pittorica, che la graffia e la ferisce per emergere con la sua sottile ma perentoria presenza.
Il complesso e multiforme immaginario di Anna Di Fusco possiede in sé l’essenza di una sintesi straordinaria, che si manifesta nel rapporto paritetico tra gli elementi strutturali del quadro. La coincidenza delle parti con il tutto è assoluta: il colore non si sovrappone alla tela, ma vi aderisce perfettamente, incorporando in sé la materia, il segno e perfino il gesto.
Questo modus operandi le consente di muoversi liberamente tra diversi mezzi espressivi, senza forzature: la volontà artistica si manifesta spontaneamente in una pluralità di tecniche, supporti e perfino in registri cromatici diametralmente opposti. Il medium artistico rappresenta per Di Fusco una possibilità da sondare, un campo da esperire, ragion per cui la tela, la carta, l’acrilico, la schiuma, la sabbia hanno pari dignità ed egual merito nella sua ricerca. La sua arte, che solitamente rifulge di lussureggianti cromatismi o, al contrario, si cristallizza nella purezza del monocromo, mantiene in ogni caso una salda coesione interna.
Nella veste inedita con cui si presenta in questa mostra, Anna Di Fusco si confronta con delle tonalità brulle, primordiali, quasi intendesse indagare le origini della coscienza e del gesto artistico. La superficie ribolle di una materia magmatica, dalle qualità tattili estremamente seducenti: il campo pittorico respira di questo anelito di vita, si espande nelle tre dimensioni e dalla materia stessa si genera il segno, come se la gestualità dell’artista fosse già inscritta in essa.
Una gamma cromatica ridotta al nero, al Terra di Siena, al fango, si nutre di intrusioni sabbiose e si vivifica con accensioni improvvise di ruggine, oro, verde, grazie alla manipolazione operata dall’artista: nell’impenetrabilità del mistero dell’esistenza, si manifestano alla coscienza rare epifanie di cui, in qualche modo, l’essere umano è lo stesso artefice.
Gli stessi titoli delle opere svelano la necessità di fare della pittura un’occasione di ricerca sull’esistenza. Così i segni traspongono impressioni di viaggi passati, le velature e le trasparenze, che si accendono di bagliori iridescenti, dispiegano istanti di tempo come in una pellicola cinematografica, gli squarci materici diventano strumenti catartici per esorcizzare il dolore, rivelando una conquista progressiva di consapevolezza di sé e del Tutto.
La ricerca introspettiva di Di Fusco è già implicitamente presente nelle sue modalità esecutive, basti pensare alle “prove di colore”, esposte in questa occasione con la stessa dignità delle opere su tela: la spatolata su cartoncino possiede in sé l’intenzionalità, la coerenza formale, la completezza, in breve la sintesi necessaria a renderla un’opera finita, già pregna di quella consapevolezza artistica che traduce il pensiero in dato visivo.
La forma è dunque veicolo immediato del contenuto, senza soluzione di continuità, in un sintetico legame tra il significante e il significato. È una pittura che possiede una tensione carnale, sanguigna, inscritta però in un equilibrio formale limpido: scava nelle profondità del Sé, si insinua nei meandri dell’Io e contemporaneamente si interroga lucidamente sul senso del Tutto.
Un’analoga pulsione equilibratrice, la prassi di sintesi delle parti e la medesima aspirazione all’assoluto anima il lavoro di Salvatore Giunta.
L’idea si incarna nella forma, l’incorporeo invade lo spazio e lo conquista fisicamente: le sue non sono sculture nel senso classico del termine, ma sono piuttosto visualizzazioni del pensiero. La brama di conquistare perpetuamente ciò che non può essere posseduto dall’essere umano – l’equilibrio perenne, l’armonia incondizionata – ha condotto l’artista ad una strenua ricerca sulla manipolazione delle leggi cosmiche, sulla rimodulazione ideale della realtà.
Forme pure e algide si liberano nello spazio, modificandolo e riplasmandolo con la loro sola presenza. Quelli che dovrebbero essere volumi chiusi, imperturbabili nelle loro geometrie perfette, si scompongono e si aprono, perdendo la propria qualità di finitezza. I materiali stessi con cui le sculture sono realizzate sono generatori di questa mobilità: il metallo specchiante moltiplica la realtà, includendola nel proprio spazio di esistenza; l’alluminio dipinto assorbe la luce al punto da nascondere le proprie pieghe e rivelare inaspettatamente forme imprevedibili.
L’elemento sferico, scelto per la sua perfezione e la sua tendenza all’infinito, ora agisce su equilibri cristallini, sfidando la percezione umana e i principi della fisica, ora si insinua in una materia più ruvida e primitiva, come un’intrusione incongrua che tuttavia attiva ed espande le superfici. L’operazione di sintesi si esplicita proprio nella volontà di indagare le reciproche contaminazioni tra il sé e l’altro da sé.
L’opera, attraverso le proprie caratteristiche fisiche, imprime una trasformazione al luogo in cui si inserisce ed è contemporaneamente soggetta ad una costante metamorfosi, per via di quelle stesse proprietà formali. Le sculture si manifestano allo spettatore come delicati congegni, in cui equilibri apparentemente impeccabili diventano tutt’a un tratto precari, eppure rimangono immobili, cristallizzati nell’istante che precede la loro rottura. Sono configurazioni di leggi che non possono essere sovvertite e, al contempo, lanciano una sfida beffarda a quelle stesse regole inviolabili.
Le opere di Giunta appaiono sintetiche nella loro essenzialità. Questa qualità va intesa sia in termini di riduzione quantitativa delle linee, delle superfici e dei volumi, sia come espressione immediata dell’essenza profonda delle cose. La materia, epurata del superfluo e modellata in geometrie elementari, configura istantaneamente in dato visivo ciò che può essere compreso soltanto dall’intelletto.
Le modifiche e i rimaneggiamenti imposti dall’artista agli equilibri precostituiti non sono mai definitivi e categorici, per non incorrere in un’insanabile contraddizione tra l’esigenza della ricerca e i suoi effetti; la componente di transitorietà e rinnovata instabilità è integrata nel processo, costituendone persino il fine ultimo.
Un mirabile esempio di questa pratica artistica è offerto dall’opera di videoarte Tagli d’ombra, che si presenta come un esperimento empirico realizzato su lavori precedenti. Mediante l’utilizzo di luci mobili che proiettano nello spazio le ombre mutevoli delle superfici a rilievo, Giunta mostra come la struttura di un’opera non sia fissa nel tempo e nello spazio, ma risulti passibile di alterazioni ed espansioni. L’ombra non è altro che una visualizzazione dell’invisibile, un’opportunità di svelare ciò che era già presente in potenza, seppur nascosto nei rigidi schemi imposti dalle forme chiuse: conciliare sinteticamente pulsioni contrapposte consente di includere possibilità infinite in un’opera finita.
Ecco allora che si traccia spontaneamente un percorso di synthesis tra l’arte di Giunta e quella di Di Fusco: lo spazio si popola di presenze che intrecciano relazioni di significato sia tra di loro, sia con l’ambiente in cui si inseriscono.
Le opere, così congiunte, oltre a possedere una propria coerenza intrinseca immediatamente evidente, impongono una modifica degli equilibri, ne costruiscono di inediti, conciliano impulsi contrapposti e ridisegnano il rapporto tra il soggetto e il suo campo d’azione.
Flavia ROVETTA Roma 25 ottobre 2020