di Nica FIORI
“Un’esordiente di 100 anni”. Così è stata simpaticamente definita la pittrice Anna Maria Fabriani (nata a Roma nel 1924 e attualmente residente a Lucca) dalla figlia Sabina Ambrogi nel corso della presentazione alla stampa della mostra “Anna Maria Fabriani. Riverberi e trame dalla Scuola Romana”, ospitata a Palazzo Merulana dal 5 settembre al 6 ottobre 2024.
Curata dalla stessa Sabina Ambrogi, con un testo critico di Giulia Ambrogi, la mostra intende far scoprire la ricchissima produzione di un’artista che ha coltivato l’arte tra le mura domestiche, in un lunghissimo arco di tempo, non aspirando affatto alla visibilità, come se non si ritenesse all’altezza di rivelarsi al mondo. Eppure, come appare evidente da questa prima mostra che le viene dedicata, la pittura della Fabriani, eseguita a olio, è assolutamente di qualità, caratterizzata da una sobria eleganza formale e dalla ricerca di un equilibrio tra volumi, colori e luce, sia nei ritratti, sia nelle numerose nature morte che ci parlano della sua vita quotidiana, dell’essenza delle umili cose (dalle uova fritte al pane, dalle ceramiche dipinte alle fruttiere o alle tovagliette) o della poesia dei fiori.
Essendo stata allieva di Carlo Socrate (1889-1967), presso l’atelier del maestro a villa Strohl-Fern (adiacente a villa Borghese), questa pittrice è legata all’ultima fase della Scuola Romana e, proprio per questo, il progetto espositivo della mostra si inserisce nel processo di valorizzazione dell’arte di quel periodo artistico che Palazzo Merulana propone a complemento della Collezione Cerasi, ricca di capolavori della Scuola Romana e del Novecento. Allo stesso tempo viene aggiunto un tassello di conoscenza a quel filone di ricerca dedicato negli ultimi anni alle artiste donne del XX secolo e al loro ruolo nella vita culturale capitolina (ricordiamo in particolare la mostra ancora in corso al Casino dei Principi di Villa Torlonia “Artiste a Roma. Percorsi tra Secessione, Futurismo e Ritorno all’ordine”, che, insieme a nomi noti, ha portato alla ribalta diverse artiste sconosciute).
Sono molteplici le trame del tessuto artistico-culturale cui allude il sottotitolo della mostra e, in effetti, è sorprendente scoprire l’ambiente familiare, il forte legame di amicizia con il maestro Socrate (fu lui ad accompagnarla all’altare, poiché il padre era morto) e la personalità di questa donna (figlia di un designer industriale e di una casalinga proveniente da una famiglia di illustratori), che, pur avendo l’istinto di emanciparsi, tanto da lasciare il suo primo impiego al Ministero degli Esteri per frequentare negli ultimi anni ’40 l’Accademia di Belle Arti di Roma, è stata poi frenata dalla vita in famiglia. La Fabriani, dopo aver interrotto a un certo punto la pittura per dedicarsi alle due figlie e all’insegnamento del disegno nelle scuole medie, riprende l’arte a partire dagli anni ‘90, subito dopo la morte del marito, che probabilmente vedeva come il personaggio di spicco della famiglia, trattandosi dello scrittore e drammaturgo Silvano Ambrogi, noto soprattutto per I burosauri (1962), un’opera satirica sulla burocrazia.
Ed è proprio il ritratto del marito a fare da trait d’union tra la prima parte della mostra, relativa all’attività pittorica che va dalla fine degli anni ‘40 agli anni ’70, e la seconda parte, che dal 1997 arriva al 2018. Il ritratto di Silvano Ambrogi, iniziato nel 1960, è stato recuperato poco dopo la morte del marito (nel 1996) dalla cantina dove era stato riposto e portato a termine nel 1997. L’immagine giovanile dello scrittore, raffigurato nel suo studio con un libro in mano, si lega in un certo senso ai due paesaggi di Migliarino (nella campagna pisana) del 2003, dove Ambrogi aveva trascorso la giovinezza e dove aveva ambientato il suo primo romanzo Le svedesi.
Tra gli altri ritratti presenti, non passa certo inosservato quello di Cecilia (la figlia veterinaria, che vive in Toscana), scelto come immagine guida della mostra, con l’accostamento del grigio dello sfondo al nero dei capelli e al rosa vellutato del cappello, che si riverbera nelle labbra della donna.
Riferendosi alla ripresa della pittura, quando la Fabriani, dopo i settant’anni, era rimasta sola, Sabina Ambrogi racconta:
“Mia madre aveva a disposizione una casa grande e molti posti per poter dipingere, invece teneva colori, pennelli e cavalletto nella sua stanza da letto, che era il suo atelier. Sistemava degli stracci e dei fogli di giornale sui vetri e dirigeva la luce naturale sugli oggetti. La pittura era un rito unico, metodico, perfino un accanimento ossessivo, intimamente e forse esclusivamente legato alla luce e alla capacità di dare il volume e determinare le forme. Andava a dormire con l’odore di trementina”.
Giulia Ambrogi scrive a sua volta nel suo testo critico:
“Formava l’inquadratura come farebbe un direttore della fotografia al cinema. Con una messa in scena studiata, piccolo teatro del reale, organizzava il lavoro in precisi momenti della giornata (…) volgendo un’estrema cura ai toni e agli accostamenti, con una disposizione studiata alla maniera classica o neoclassica, come alcuni critici avevano, in senso dispregiativo, evocato per descrivere un gruppo di pittori della Scuola Romana, tra cui appunto Carlo Socrate”.
Progressivamente la Fabriani si apre al colore e a sperimentazioni prospettiche, lasciandosi influenzare da alcune visioni cinematografiche e dalla vivacità decorativa e cromatica di Matisse, come nei dipinti Colazione in Calabria e Gli Oleandri di via Pavese 1 e 2, e da Cézanne in Mele cotogne e in Limoni di Levanto.
L’attitudine nei confronti dell’arte per la Fabriani è diventata un’esigenza quotidiana, una sorta di dovere verso sé stessa, ma senza alcun desiderio di successo, e ha finito per coincidere con la vita stessa.
“Non si è mai confrontata con il mercato, ma neppure ne è stata mai condizionata”, fa giustamente notare Giulia Ambrogi.
La mostra, realizzata con prestiti di privati e soprattutto con opere appartenenti alla famiglia, è stata motivata dal recupero di alcune opere che erano rimaste nella cantina di una casa dove aveva inizialmente abitato la famiglia. Si trattava di dipinti appartenenti al periodo della collaborazione col maestro Socrate, come il primo ritratto del 1948 di Maria Magris (madre della pittrice, ritratta una seconda volta nel 1953) e Rosetta (1953) il pezzo più pregiato della collezione.
Pur essendo particolarmente significative, queste due opere erano state purtroppo abbandonate al degrado e, pertanto, si è provveduto a un accurato restauro a cura di Cristiana Noci.
Anche Grigio su grigio (1958), che ricorda il caratteristico grigio del suo maestro, è del periodo di frequentazione dell’atelier di Villa Strohl-Fern, come pure Savoiardi (1958), similissimo a un omonimo dipinto di Socrate.
Altri dipinti degli anni ’50 (circa una decina) erano stati inviati dalla Fabriani in Venezuela nel 1959 al fratello Maurizio, ma se ne sono perse le tracce nel porto di Caracas perché il fratello, che lavorava come ingegnere all’interno del Paese, non aveva fatto in tempo a tornare per recuperarli. La mostra è quindi anche l’occasione giusta per lanciare un messaggio in Venezuela e chiedere, a chi eventualmente li avesse, di farsi avanti per poterli catalogare e studiare.
Come si può vedere dalle fotografie in bianco e nero relative ai dipinti spediti in Venezuela, la Fabriani ha poi ripreso uno dei soggetti dell’epoca nel dipinto Scorfano del 1998, caratterizzato da una moderna inquadratura cinematografica.
In alcune opere della Fabriani sembra di cogliere una sorta di latente inquietudine. Anche soggetti apparentemente rasserenanti, come possono essere i fiori o la frutta, possono trasmettere un pensiero angosciante, come in Magnolie – L’urlo, di esuberante esplosione di colore, come in Peonie di Lella, o un’atmosfera di mistero, come in Girando l’angolo. La sensazione è che ci sia qualcosa di non detto, di non raccontato, forse per una sorta di pudore, o di timidezza, quella stessa “sofferta timidezza”, che secondo Efisio Oppo caratterizzava il suo maestro Socrate.
Nica FIORI Roma 8 Settembre 2024
“Anna Maria Fabriani. Riverberi e trame della Scuola Romana”
Palazzo Merulana, via Merulana, 121 Roma
5 settembre – 6 ottobre 2024
Orario: da mercoledì a domenica ore 12-20. Biglietto euro 12 (ridotto euro 10).
Per informazioni 0639967800,