di Nica FIORI
Eco e Narciso. Ritratto e autoritratto
L’idea di tracciare su un muro con una linea il contorno di un’ombra umana è, secondo alcune leggende, all’origine delle arti figurative. Se Plinio parla di una giovane che per prima fece quest’operazione per conservare il ricordo dell’innamorato che stava partendo, Leon Battista Alberti attribuisce, invece, la nascita della pittura al mito di Narciso, il bellissimo cacciatore che s’innamorò della sua immagine riflessa nell’acqua. Così come lo specchio riflette un’immagine, per l’Alberti la pittura fissa quell’effimera apparizione, permettendo di “abbracciare con arte quella ivi superficie del fonte”. Il mito di Narciso si arricchisce così di una valenza che va al di là del semplice innamoramento di sé stesso, che lo porterà a morte (al suo posto nascerà il fiore omonimo) e che coinvolge anche la ninfa Eco, personaggio altrettanto interessante che ha a che fare con la riflessione sonora. La voce della ninfa, che aveva il compito di parlare continuamente ad Era per distrarla, mentre Zeus la tradiva con le altre ninfe, venne trasformata dalla dea in un’eco, e quando successivamente Eco si innamorò di Narciso, che la respinse, si consumò dal dolore, fino a diventare sasso e non ne rimase altro che la flebile voce.
La mostra Eco e Narciso, ospitata a Palazzo Barberini, trae spunto dalla mitica storia, narrata da Ovidio nelle Metamorfosi, per approfondire il discorso su Ritratto e autoritratto nelle collezioni del MAXXI e delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini, come specifica il sottotitolo, accostando linguaggi antichi e contemporanei per far riflettere visivamente e concettualmente sulla complessa rappresentazione dell’identità. D’altra parte, come ha sottolineato Giovanna Melandri, presidente della Fondazione MAXXI, nel corso della presentazione alla stampa, ”nell’epoca dei selfie e dell’ossessione per il ritratto, il tema dell’identità non può che risuonare straordinariamente attuale”.
Si tratta indubbiamente di una mostra di grande respiro, pensata apposta per inaugurare le undici nuove sale museali, che si estendono su una superficie di oltre 750 metri quadri e che vengono restituite alla fruizione di tutti dopo 70 anni. Era infatti il 1949 quando lo Stato italiano acquistò Palazzo Barberini, a quel tempo in parte occupato dal Circolo Ufficiali delle Forze armate, per farne la sede della Galleria Nazionale di Arte Antica. Solo ora, conclusasi la lunga vicenda conflittuale tra i ministeri dei Beni culturali e della Difesa, possiamo finalmente ammirare dopo un adeguato restauro quest’ultima ala del palazzo, che costituiva l’Appartamento nuovo, destinato ai cardinali della famiglia, e che da ora entrerà a far parte del percorso espositivo, così come la scala elicoidale di Borromini.
La mostra parte dal monumentale Salone Pietro da Cortona per mettere a confronto il gigantesco affresco della volta raffigurante l’Allegoria della Divina Provvidenza del Cortona con un’installazione di Luigi Ontani, intitolate Le Ore. I due curatori della mostra Flaminia Gennari Santori, Direttore delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, e Bartolomeo Pietromarchi, Direttore del MAXXI Arte, spiegano in una guidina il significato di questo e degli altri accostamenti tra antico e contemporaneo. “Tutta la volta non è che un ritratto di Urbano VIII in absentia: del pontefice c’è tutto tranne la sua stessa immagine”, scrive la Gennari Santori. Gli animali che simboleggiano le virtù del pontefice, le enormi api araldiche, il serto di alloro che allude alle sue velleità liriche, la tiara e le chiavi pontificie “fanno dell’affresco una specie di ritratto allegorico e concettuale, estremamente moderno”.
Le 24 gigantografie di Ontani disposte lungo una linea ellittica che ricorda un orologio ci mostrano, come scrive Pietromarchi, “un moderno Narciso, la cui presenza si ostenta ed estremizza, ossessivamente ripetuta, per reinterpretare attraverso lo specchio della propria identità non solo il mito culturale, ma anche la problematica attuale del mascheramento, del teatro, della messa in scena…”. Il dialogo tra le due opere non è poi così strano, anche se ricco di contrasti, a partire dal movimento ascensionale barocco, pieno di luce allegorica, del Cortona, che si contrappone a quello terreno che dobbiamo compiere nella semiombra per osservare le 24 figure autoritratto di Ontani che rimandano al mito, alla storia, alla letteratura secondo una sequenza temporale ciclica.
Dal Salone si passa nella Sala Ovale, un gioiello barocco realizzato da Bernini, che era destinato alle riunioni dei Purpurei Cygni, un cenacolo di letterati che gravitava intorno al cardinale Antonio Barberini. È qui che troviamo il capolavoro simbolo della mostra, quel Narciso di Caravaggio (o, secondo alcuni studiosi, di Spadarino) che mostra il giovane perso nella sua immagine riflessa, con le braccia aperte in un abbraccio amoroso verso il suo doppio, che in realtà è solo illusione, nient’altro che un cerchio nero, il nulla.
Ad esso si contrappone Eco nel vuoto, l’installazione di Giulio Paolini che si presenta come una specie di roccia scura intorno alla quale troviamo i frammenti di “vuoto”, corrispondenti all’immagine riflessa di Narciso, e a cornici vuote. Si tratta di un’opera di non immediata comprensione, ma, come spiegano i curatori della mostra, sottolinea l’aspetto dell’assenza e della solitudine del mito in un gioco illusorio di rifrazioni.
L’attigua Sala dei Paesaggi, decorata nell’Ottocento dal pittore Filippo Cretoni con vedute dei possedimenti Barberini, nell’intento di rievocare la grandezza del passato, ospita i delicati Libri cuciti dell’artista sarda Maria Lai (1919-2013), scelti per la loro dimensione autobiografica, direttamente correlata all’idea di paesaggio quale elemento capace di costruire un’identità storica e narrativa. Cos’è un libro se non un paesaggio dell’anima? -sembra chiedersi l’artista, che, invece della scrittura o del pennello, usa il filo che fa pensare a quei lavori femminili tipici della società arcaica sarda.
La Sala delle Cineserie, o Stanza Giapponese, con decorazioni di metà Ottocento, ospita due dipinti del viennese Markus Schinwald e il Ritratto di filosofo (raffigurante probabilmente il cinico Cratete) di Luca Giordano in un confronto sul tema della deformazione fisica e della distorsione in relazione al contrasto tra etica ed estetica. Il volto deforme del filosofo cinico è l’altro aspetto del narcisismo, perché la bruttezza è contrapposta alla genialità di pensiero, ed è tipica di alcuni filosofi, a partire da Socrate, che veniva raffigurato con fattezze decisamente brutte che ricordano quelle di un vecchio Sileno. Schinwald, partendo da opere già esistenti, aggiunge delle estensioni come se fossero delle protesi, così che la deformazione assume una valenza psicoanalitica che richiama il conterraneo Freud.
Nel cosiddetto Appartamento d’estate, in origine composto dalla stanza da letto estiva e dalla sala delle udienze del Cardinale, i ritratti astratti di Michel Butor e Hermann Melville, due degli scrittori preferiti dell’artista Richard Serra, si contrappongono al Ritratto di Enrico VIII, di Hans Holbein, e a quello di Stefano IV Colonna di Bronzino. Questi ritratti celebrativi della metà del Cinquecento sono due capolavori che sottolineano, attraverso dettagliati e chiari attributi, l’identità del soggetto, mentre nei ritratti di Serra prevale l’astrazione e la matericità. I personaggi appaiono come grandi cerchi neri che emergono dalla superficie, pertanto la loro identità di grandi scrittori non viene affatto fuori, volutamente.
La grande Sala del Trono, decorata con le monumentali tele di Giovanni Francesco Romanelli raffiguranti Le nozze di Bacco e Arianna e Peleo e Teti, ospita un filmato di Shirin Neshat, artista che ha sempre posto al centro della sua ricerca l’emancipazione femminile, soprattutto in relazione alla cultura musulmana. Il video Illusions & Mirrors mostra una donna che insegue i suoi fantasmi tra uomini che fuggono e familiari che appaiono. Purtroppo l’oscurità in cui è tenuta la sala per poter vedere il filmato non consente di apprezzare le tele a soggetto mitologico, dove le donne sono pure protagoniste.
Un’identità emblematica della ribellione femminile è quella di Beatrice Cenci, il cui famoso ritratto attribuito a Guido Reni è collocato nella Cappella. Si tratta di uno dei personaggi più famosi della cronaca romana, essendo stata decapitata nel 1599 per aver ucciso, insieme al fratello e alla matrigna, il padre dispotico e violento. La sua figura di parricida e di vittima, tanto cara alla letteratura romantica, diventa quella di “un angelo caduto, senza peccato”, come scrive Hawthorne, punita in modo eccessivo da una sorte ingiusta.
Nelle sale successive, individuate convenzionalmente con l’Appartamento d’inverno del Cardinale, si trova un ambiente conviviale antesignano del salotto, dove sono state collocate l’opera di Kiki Smith, anche lei molto impegnata sulle questioni femministe, Large Dessert, costituita da deliziose statuine di porcellana bianca disposte su un lungo tavolo, 5 pastelli di Rosalba Carriera e 5 di Benedetto Luti, tutti a rappresentare la donna, idealizzata come figura elegante e delicata. Mentre la Smith lo fa con una visione critica e problematica, i piccoli ritratti settecenteschi hanno un sapore allo stesso tempo etereo e sofisticato, ma incisivo e puntuale nell’introspezione psicologica.
A seguire il bellissimo Nudo femminile di schiena (1740) di Pierre Subleyras, quasi sublime nella sua provocatoria carnalità (si tratta di uno dei primi dipinti di una donna nuda che non sia rappresentata come una dea o un’allegoria), è accostato a SBQR, netnude, gayscape, orsiitaliani, etc…, ritratti che
Stefano Arienti ha dedicato a nudi maschili, ovvero a ritratti di di coppie gay, reperiti su internet. Entrambi i lavori giocano sul tema del voyeurismo, in cui lo spettatore viene messo dall’artista nella condizione di osservare di nascosto un’immagine solo apparentemente rubata.
Due culture assai diverse sono contrapposte nella sala seguente, dove è esposto il settecentesco ritratto di gruppo della Famiglia del Missionario di Marco Benefial con The Invisible Man, l’installazione realizzata per l’occasione da Yinka Shonibare MBE. A distanza di secoli, entrambi rappresentano il diverso, l’esotico in modi diametralmente opposti: mentre Benefial punta sul messaggio missionario con alcune declinazioni esotiche nelle decorazioni, l’artista anglo-nigeriano riflette sul tema del post-colonialismo nel mondo globalizzato, raffigurando un servo carico di oggetti con un mappamondo al posto della testa.
Nell’intimità della Camera da letto d’inverno sono in mostra, una alle spalle dell’altra, La Maddalena di Piero di Cosimo e La Fornarina di Raffaello, due ritratti densi di molteplici significati. La Maddalena di Piero di Cosimo è un’immagine particolare, che non mostra la santa come penitente, ma ben vestita e intenta alla lettura. Potrebbe trattarsi di un ritratto di donna ideale, commissionato forse da una signora di nome Maddalena. Quanto alla Fornarina, pur non avendo certezza sulla sua identità, si è pensato che raffiguri una donna reale, consapevole della sua capacità seduttiva, e il braccialetto sul braccio con la scritta “Raphael Urbinas” fa pensare, più che ad un semplice autografo, ad una dichiarazione di possesso, da parte dell’autore, della giovane raffigurata, probabilmente la sua amante Margherita Luti.
Si tratta di dipinti muliebri talmente belli che non avrebbero certo bisogno di dialogare con le opere della sala successiva Bent and Fused di Monica Bonvicini (vedi sopra), una sorta d’installazione accecante di tubi a led, acciaio, fili e cavi elettrici che vogliono esprimere la presa di potere, sia intellettuale che sociale, della donna, ovvero la piena consapevolezza di sé e la propria autodeterminazione.
La mostra si chiude nella Sala dei Marmi (nota nel Seicento come “Camerone delle Commedie o “del Camino”), il primo ambiente dell’appartamento del Cardinale al quale si accedeva direttamente sia dall’atrio sulla scala di Borromini che dal Salone di Pietro da Cortona. Qui il busto in marmo di Urbano VIII Barberini, di Gian Lorenzo Bernini, è fiancheggiato dai monumentali ritratti Pape (Giovanni Paolo II) e Mao di Yan Pei-Ming. Gli artisti, lontani cronologicamente e geograficamente, hanno interpretato entrambi il tema del ritratto ufficiale di un potente, il primo rendendolo “vivo” attraverso la capacità straordinaria di rendere l’idea del movimento e della vibrazione nella pietra, e il secondo con il gigantismo delle sue tele.
Pur con qualche perplessità sulla scelta di alcune opere contemporanee, bisogna riconoscere che l’itinerario proposto è nel complesso suggestivo e si presta a interessanti riflessioni, anche perché alcune opere sono state realizzate ad hoc per questa mostra e quindi gli autori hanno avuto modo di confrontarsi con opere della Galleria di arte antica, alcune notissime e altre poco note, che, come ha fatto notare Flaminia Gennari Santori, devono essere “riscoperte”, ovvero “guardate con nuovi occhi”. L’espressione, già usata da Proust riferendosi al viaggio di scoperta di nuove terre, suona altrettanto bene per le opere d’arte che, accostate adeguatamente, continuano a meravigliarci e a sorprenderci in un continuo gioco di riflessi e di rimandi culturali.
MOSTRA: Eco e Narciso. Ritratto e autoritratto nelle collezioni del MAXXI e delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini
CURATORI: Flaminia Gennari Santori e Bartolomeo Pietromarchi
Roma, Palazzo Barberini, via delle Quattro Fontane, 13 Dal 18 maggio al 28 ottobre 2018; martedì/domenica 8.30- 19.00. La biglietteria chiude alle 18.00; chiuso il lunedì; Biglietto Intero 12 € – Ridotto 6 €
Nel periodo di apertura della mostra Eco e Narciso (fino al 28 ottobre) ridotto speciale per i possessori di biglietto del MAXXI: 8€ | Nello stesso periodo con il biglietto delle Gallerie Nazionali l’ingresso al MAXXI è ridotto a 8€
Nica FIORI Roma 18 maggio 2018