di Nicosetta ROIO
Ancora sulla vera età di Antonio Carracci
In occasione della pubblicazione della monografia su Antonio Carracci (a cura di E. Negro – M. Pirondini – N. Roio, 2007, pp.65-84) è stato ampiamente affrontato il tema della data di nascita dell’artista, con l’aspirazione di mettere un punto definitivo a quell’annoso dilemma grazie alla scoperta di un documento rinvenuto nell’Archivio del Vicariato a Roma, ma la cui lettura si è poi rivelata controversa(1). Nella stessa circostanza si erano potuti rivedere tutti i dati storiografici e documentari esistenti (informazioni che, a distanza di poco più di un decennio dall’uscita di quel libro, sono rimaste più o meno le stesse), in modo da stabilire con sufficiente agio che Antonio Carracci era venuto al mondo entro un lasso di tempo circoscrivibile nel breve arco di tre-quattro anni, quelli che vanno dal 1589/1590 al 1593, e ciò a prescindere dall’interpretazione dell’anzidetta dibattuta carta d’archivio.
Il problema anagrafico del figlio illegittimo di Agostino Carracci, nato a Venezia dalla relazione dell’artista bolognese con una sua “particolare” amica, tale Isabella, deriva sostanzialmente dall’attuale irreperibilità della fede di nascita, essendo andata distrutta nel 1860 la chiesa lagunare di Santa Lucia, la parrocchia di riferimento di sua madre (2): anche lo storiografo felsineo Carlo Cesare Malvasia, che ebbe notizie di Antonio da un cugino prete di quest’ultimo, Giovan Battista Carracci, aveva fatto fare delle indagini in Laguna, ma già allora la ricerca non produsse risultati. Inoltre, nonostante fosse stato un pittore di grande qualità, il più giovane dei Carracci fu a lungo dimenticato dalla storiografia artistica e ciò è dovuto probabilmente alla sua peculiare vicenda personale, soprattutto in ragione del suo concepimento fuori dal matrimonio da parte di una cortigiana conosciuta e frequentata dal genitore durante le sue assidue trasferte lagunari: una vicenda imbarazzante che fu tenuta per lo più segreta o comunque poco divulgata tanto più a Bologna, la seconda capitale dello Stato Pontificio, finendo per rimanere a lungo parzialmente occultata e molto frammentaria tra le pieghe dei resoconti storiografici.
In assenza di indicazioni precise, in passato si era provato a collocare la data di nascita di Antonio Carracci in momenti molto diversi tra loro: nel 1577 circa, nel biennio 1582/1583, in quello 1589/1590 e nel 1593. Al di là della specifica rilevanza della questione, essa ha altresì influenzato in modo determinante – e pare continuare a farlo tuttora – anche il tema delle attribuzioni, specie quelle legate alla sua prima produzione artistica.
Sicuro e documentato nel Libro dei Morti di Sant’Andrea delle Fratte a Roma è fortunatamente almeno il momento del suo trapasso, essendo noto fin dai tempi di Carlo Cesare Malvasia che lo fissava nel “mese di aprile, in giorno della Domenica delle Palme del 1618” (3). Grazie a questo punto fermo della biografia, è stato possibile ricavare un’indicazione decisamente tra le più credibili sull’anno dei natali di Antonio attraverso la testimonianza coeva di Giulio Mancini, archiatra pontificio di Urbano VIII Barberini dal 1623 e noto biografo di artisti suoi contemporanei – assai celebre è, ad esempio, la sua “vita” di Michelangelo da Caravaggio -, ritenuto dagli studi artistici moderni tra i più precisi e attendibili scrittori d’arte dell’epoca. Collezionista perspicace e assiduo frequentatore di pittori, il medico senese aveva conosciuto molto bene Antonio Carracci e di lui scrisse, tra le altre cose, che al momento della morte aveva solo 25 anni, consentendo di collocare la sua nascita nel 1593 (4). Chi più dell’ottimo clinico senese, che ebbe in cura il giovane Carracci frequentemente ammalato, poteva essere meglio informato su un particolare di questo genere?
Pur mettendo in conto la possibilità di un fisiologico margine di errore da parte di Giulio Mancini, è bene rilevare che la sua dichiarazione non si discosta di molto da quanto derivato dalla postilla a margine di una missiva compilata da Giovan Battista Agucchi per conto di Antonio Carracci:
“[Antonio] nacque a Venezia, figlio naturale di Agostino; il Tintoretto lo tenne a battesimo, morì giovine in età di ventotto anni in Roma, fu sotterrato in Sant’Andrea delle fratte l’anno 1617”5
(quest’ultima data errata va riconnessa al testamento di Antonio redatto quando era in punto di morte il 6 gennaio 1617, più di un anno prima della sua effettiva scomparsa (6). Secondo Roberto Zapperi (7), grazie a quel promemoria Giovan Pietro Bellori poté ricollegare la nascita del figlio di Agostino con la famosa incisione riproducente la Crocifissione di Tintoretto, datata dal Carracci nel 1589 (fig.1).
L’episodio del grande entusiasmo di Jacopo Robusti per quella bella stampa era già stato messo in luce dal biografo del Tintoretto stesso, Carlo Ridolfi (8), accennando all’abbraccio che era seguito tra i due artisti, passaggio riportato e ampliato più tardi dal Bellori:
“Dicesi che il Tintoretto vedendo la stampa della sua Crocifissione dipinta nella Scuola di San Rocco se ne compiacque tanto che abbracciò Agostino, a cui essendo nato un figliuolo in Venezia, volle stringersi seco maggiormente con essergli compare, e lo tenne al battesimo; che fu Antonio Carracci”9.
Anche in questo caso è da mettere in conto una certa elasticità della cronologia post 1589 derivante da questi dati, trovandoci comunque di fronte ad una soluzione del nostro quesito che vira concordemente verso quell’intervallo davvero circoscritto tra lo scadere degli anni Ottanta e l’avvio del decennio successivo, come già ampiamente documentato nella monografia del 2007.
Se lo scrupoloso Donald Posner accoglieva per la nascita di Antonio Carracci il probabile anno 1589, intorno al 1589/ 1590 la collocava un’altra studiosa ugualmente molto attenta e precisa come Diane DeGrazia (10), che indicava le ragioni stilistiche di una cronologia sul 1590-1595 per altre due famose incisioni di Agostino, note con le intitolazioni di Satiro scandagliatore e il Vecchio e la cortigiana (o Ogni cosa vince l’oro, dal rebus presente nella fascia inferiore, fig. 2).
Generalmente inseriti nella famosa serie delle Lascivie, i due fogli – pur illustrando temi parimenti sensuali a quel “libretto di scherzi di donne ignude” (Bellori) – sono di formato maggiore e celano degli enigmi magistralmente camuffati, destinati ad un pubblico iniziato di un certo livello culturale (11), un mondo intellettuale che ricercava con grande coinvolgimento le composizioni di Agostino Carracci, ovvero la più fiera, intelligente e satirica penna di quell’epoca (12). L’aspetto più curioso della carta raffigurante il Vecchio e la cortigiana sembra essere un peculiare riferimento alla “famiglia” veneziana di Agostino, come qualche anno fa venne indicato da Lionel Dax: se l’interpretazione va accolta con ovvia prudenza, non si può non rilevare che nello sfondo a sinistra dell’immagine compaiono un uomo affacciato di spalle sulla terrazza di un’elegante residenza veneziana (13), una sorta di autoritratto di Agostino Carracci assorto che sembra far finta di ignorare quanto sta accadendo nella stanza adiacente tra la bella cortigiana – che potrebbe essere la sua Isabella – e il vecchio e ricco avventore (da qui il rebus sottostante Ogni cosa vince l’oro). A rafforzare la singolarità della scena è la presenza dell’infante colto mentre cammina con l’aiuto di una cesta-girello rincorrendo inconsapevole un frutto (fig. 3), ragionevole raffigurazione di Antonio Carracci bambino e insieme allegoria del piccolo Adamo che vuole gustare i frutti della conoscenza e del piacere (il suo gesto di allungarsi verso l’oggetto del desiderio evoca poi quello del vecchio proteso verso la donna)14; meno efficace sembra invece l’interpretazione di Ogni cosa vince l’oro col tema delle “Tre età dell’uomo” (15) e in ogni caso la convincente cronologia della stampa nei primi anni Novanta confermerebbe la nascita del figlio di Agostino e Isabella nel medesimo periodo desumibile dalla dichiarazione di Giulio Mancini.
Tutte queste notizie, coerenti e razionali deduzioni logiche, non hanno mai ricevuto sufficiente considerazione né in passato, né nel presente, tanto da essere sopraffatte in genere dall’analisi di altre ipotesi che appaiono tuttavia assai meno congruenti: l’accennato 1577 come anno di nascita del più giovane dei Carracci è, ad esempio, una conseguenza della notizia di Malvasia che tramanda di come Antonio fosse stato “ottenuto” da suo padre Agostino “giovanetto ancora” in “Venezia (come dovea dirsi altrove) da una tale Isabella sua particolare amica”. Essendo egli nato nel 1557, si è supposto che fosse all’incirca ventenne quando – appunto ancora “giovanetto” – avrebbe conosciuto la donna che lo rese padre. Ma l’ambiguo giro di parole del canonico bolognese pare orientato più che altro ad un tentativo di discolpare l’artista bolognese, trovatosi in quella “scabrosa” congiuntura per inesperienza e intemperanza giovanile anziché per sua volontà (16). Piuttosto forzata appare l’interpretazione di un’altra nota manoscritta dello stesso Malvasia rievocata da Roberto Zapperi: si tratta dell’accenno all’apprezzamento espresso da Agostino per una “Madonna” che il figlio avrebbe dipinto all’età di 17 anni (ne sarebbe conseguito che, essendo morto Agostino nel 1602, Antonio sarebbe nato prima del 1585) 17. Peccato che quest’altra iperbole letteraria malvasiana, comunque rimasta tra gli appunti preparatori alla Felsina pittrice, rinvii con troppa precisione alla notizia di un’opera eccezionalmente lodevole raffigurante “Angelica e Medoro” realizzata da un parimenti diciassettenne Carletto Caliari, figlio ed erede artistico di Veronese.
Rimane da affrontare l’ultimo presunto periodo di nascita di Antonio Carracci, il 1582/1583, sostenuto dalla gran parte degli studiosi che si sono occupati della macchinosa questione (fondamentale si era rivelata l’opinione in tal direzione di Zapperi18), e riproposto anche di recente da Clovis Whitfield in questa stessa sede (www.aboutartonline.com/2018/05/21/novita-su-antonio-carracci/). La data 1583 ebbe origine dalla “vita” del Carracci compilata da Giovanni Baglione, secondo il quale il “giovane” Antonio non era “d’età molto grande” quando, nel 1609, morì suo zio Annibale, con cui aveva vissuto a Roma dopo la morte di Agostino nel 1602. Annibale fece “imparar le lettere” ad Antonio, e “dapoi il disegno”; se “fusse campato” egli “haverebbe fatto nella pittura gran profitto”, ma scomparve anche lui, all’età di 35 anni, lasciando “honorata fama di buon giovane” (19) Sono piuttosto evidenti le incoerenze del resoconto baglionesco, che sottolinea forse troppe volte le peculiarità legate all’estrema giovinezza del pittore, in contrasto con l’affermazione del suo trapasso a ben 35 anni. Se è vero che la vita media maschile a quei tempi faticava a raggiungere i 40 anni, è realmente assai difficile che un trentacinquenne potesse essere considerato ancora “buon giovane”. Gli “anni 35” di Baglione potrebbero allora corrispondere razionalmente ad un banale refuso (Donald Posner ritenne il dettaglio esplicitamente errato20), in luogo dei “25” dichiarati dal Mancini, un’età quest’ultima che – guarda caso – rappresentava a quei tempi l’ingresso nell’età adulta. A ulteriore sostegno di quest’ultimo orientamento va menzionata pure la testimonianza scritta di Giovan Battista Agucchi che, in una lettera del 12 settembre 1609, affermava che il “fare” di Antonio a quei tempi pareva ancora “da principiante” (21).
Va sottolineato che sia Mancini che Baglione avevano conosciuto personalmente Antonio Carracci, quest’ultimo verosimilmente in occasione delle sedute dell’Accademia di San Luca presso cui erano entrambi associati, mentre del primo si è già detto che fu per molti anni in contatto con l’artista, di cui fu medico curante e attraverso il quale provò anche ad acquistare più di un quadro destinato alla propria cappella di famiglia a Siena, dove lo storiografo consigliò ad Antonio di trasferirsi nel 1617 per trascorrere la sua convalescenza (anche se nello stesso periodo il rapporto tra i due si interruppe 22); certamente, tuttavia, il clinico senese cominciò a stendere il suo manoscritto con la biografia del Carracci quando il pittore era ancora vivente, intorno allo stesso 1617, mentre più tarda è la redazione del volume di Baglione con le sue vite degli artisti, pubblicate nel 1642, il che potrebbe giustificare questa sua svista sull’età di morte di Antonio a 35 anni piuttosto che a 25. Resterebbe da comprendere il motivo del generalizzato discredito degli studiosi nei confronti dell’importante, per non dire sostanziale, testimonianza manciniana: ma questa è un’altra questione.
Nicosetta ROIO Bologna giugno 2018
Note