di Maria Grazia BERNARDINI
Jacopo Curzietti, Antonio Raggi, scultore ticinese nella Roma barocca (Immagine di Roma. Studi e memorie, 1), Aracne Editore, Roma 2021
La monografia che Jacopo Curzietti ha dedicato ad Antonio Raggi, pubblicata dalla casa editrice Aracne e promossa dal Centro di Studi sulla Cultura e l’Immagine di Roma che l’ha inserita nella collana “Immagine di Roma. Studi e memorie”, offre un panorama compiuto e approfondito dell’intera attività dello scultore ticinese.
Frutto di anni di studi e ricerche, il volume è un testo poderoso per la mole dei dati che vi presenta, importante per le novità storico artistiche e per la lettura dell’arte dello scultore, magistrale per l’accuratezza delle informazioni, per l’analisi critica, per la sequenza della struttura del catalogo. Il catalogo contempla il saggio introduttivo, le appendici documentarie, il catalogo generale delle opere e il catalogo delle opere rifiutate, la cronistoria bio-bibliografica e la bibliografia generale.
Antonio Raggi ha svolto un ruolo da protagonista nella Roma del Seicento, con incarichi di prestigio accanto al maestro, Giovan Lorenzo Bernini, tra gli anni 1647 -1670 circa, e con una propria attività autonoma, dove rivelò un progressivo allontanamento dall’influenza berniniana. Wittkower[1], nel suo monumentale manuale sul Barocco, dedicò a Raggi un breve accenno ma lo inserì tra i giovani scultori che nella seconda metà del Seicento si erano distinti per la loro maestria, Ercole Ferrata, Domenico Guidi, Melchiorre Caffà. Nonostante gli studi già effettuati nel passato, e in particolare da Donati nel 1941[2] e da Westin nel 1978[3], l’artista era ancora rimasto nell’ombra, oscurato dalla personalità potente e prorompente di Bernini, considerato fondamentalmente aiuto del maestro, accanto ai numerosissimi collaboratori che parteciparono agli immani cantieri berniniani che rinnovarono l’aspetto della città di Roma. Da anni ormai la critica si sofferma su questo aspetto dell’arte scultorea nella Roma del Seicento.
Allo studio della bottega e dell’organizzazione dei cantieri e alle maestranze che vi parteciparono si sono dedicati Francesco Quinterio, Damian Dombrowski, Jennifer Montagu, Maurizio Fagiolo dell’Arco, Alessandro Angelini, Andrea Bacchi, Stefano Pierguidi, Marina Carta e Laura Falaschi[4] con saggi basilari. Nel 2001, in occasione del 400° anniversario della nascita di Bernini Maurizio Fagiolo dell’Arco pubblicò un saggio dal titolo emblematico Un modello di cantiere berniniano. La fabbrica di San Tommaso da Villanova a Castel Gandolfo, in cui l’autore descrivendo la fabbrica, evidenziò l’apporto dei vari collaboratori del maestro, gli architetti Mattia de’ Rossi e Luigi Bernini, i pittori Pietro da Cortona, il Borgognone e Giacinto Gimignani, lo scultore Antonio Raggi, Antonio Chicari falegname, Francesco Perone argentiere e altri artigiani e operai.
Nel 2005 è stato pubblicato il catalogo di François du Quesnoy da Boudon-Machuel e nel 2010 quello di Domenico Guidi da Giometti: i due artisti non furono veri e propri allievi di Bernini ma collaborarono con lui in varie occasioni; nel 2019 sono stati pubblicati i cataloghi di due scultori che fecero parte della vera e propria bottega di Bernini, Giuliano Finelli e Andrea Bolgi, con uno straordinario apparato iconografico che permette di ammirare le sculture nei vari dettagli. Recenti sono anche gli studi di Andrea Spiriti su Ercole Ferrata. Nel frattempo sono stati pubblicati due repertori di fondamentale importanza per una visione generale dell’arte scultorea a Roma nel Seicento a cura di Andrea Bacchi nel 1996 e di Oreste Ferrari e Serenita Papaldo nel 1999[5]. A poco a poco dunque si è allargato l’ambito degli studi su tutti quegli artisti che lavorarono alle dipendenze di Bernini e che ebbero una dimensione individuale e creativa, pur in stretto rapporto con il maestro.
Ora la monografia su Antonio Raggi di Jacopo Curzietti apporta un significativo avanzamento degli studi in questa direzione, perché offre non solo una approfondita analisi dell’arte di Raggi, ma anche un panorama straordinario dell’ambiente artistico di quel tempo, che è uno dei tanti pregi del volume. Il primo capitolo del saggio introduttivo è infatti dedicato all’arrivo a Roma di Antonio Raggi e alla sua formazione. Il giovane artista, nato a Vito Morcone nel 1624, si trasferì nel 1635 a Roma per raggiungere il padre Andrea Raggi, che già da vari anni si trovava nella città eterna, spinto dalle opportunità di lavoro come muratore offerte dai numerosi cantieri aperti a Roma. In queste pagine Curzietti offre il primo affondo della sua ricerca, descrivendo la realtà ticinese da dove proveniva la famiglia Raggi e sull’operatività incalzante di tante maestranze nell’infinita varietà di fabbriche in corso a Roma. Il trasferimento dei Raggi veniva certamente assecondato dalla presenza di una colonia davvero cospicua di concittadini, che favorì il loro inserimento nel complesso e variegato contesto romano.
Altrettanto interessante è il paragrafo dedicato alla formazione di Antonio Raggi, unico scultore della sua famiglia, che si può circoscrivere agli anni 1635-1643. In assenza di documenti certi, Curzietti, dopo aver escluso scultori attivi in quegli anni di origine ticinese, quali Bernardino e Giovan Battista Caccia, Filippo e Stefano Castelli, Giovan Battista Ferrabosco, avanza una ipotesi “suggestiva e verosimile”, l’apprendistato presso Giovanni Domenico Prestinari, soprattutto perché
“il linguaggio da entrambi utilizzato sembra nutrirsi delle stesse componenti, rendendo manifesta una comune ricerca figurativa che trae origine dagli stilemi della scultura lombarda di fine Cinquecento appena mitigata dallo studio sui modelli classici”.
Un pregio indiscutibile del catalogo dell’opera del Raggi è lo straordinario e vasto apparato documentario. Tutta l’analisi dell’arte di Antonio Raggi, la sequenza delle opere, lo studio dei rapporti con Giovan Lorenzo Bernini e con gli altri scultori si basano su dati certi, che permettono a Jacopo Curzietti di dipanare l’attività e la vita dell’artista ticinese con mano sicura, fin dal suo esordio nel cantiere di Santa Maria dell’Umiltà nel 1643.
Dopo una breve esperienza con Alessandro Algardi, Raggi entrò nell’orbita di Bernini, partecipando alla decorazione dei pilastri nella navata di San Pietro (1647-1648), voluta da Innocenzo X in vista del Giubileo del 1650, e collaborando contemporaneamente alla decorazione della navata di San Giovanni in Laterano, coordinata dal Borromini (1648-1649).
Da quel momento iniziò lo stretto e lungo legame con Bernini, il quale, definendolo “giovine di buonissimo talento”, gli affidò il ruolo principale in tante fabbriche avviate sotto la sua direzione. Dopo aver partecipato alla decorazione scultorea della Cappella Cornaro e aver eseguito la figura del Danubio per la Fontana dei Fiumi, Raggi fu incaricato da Bernini di recarsi a Sassuolo per realizzare alcune fontane volute da Francesco I d’Este per il suo Palazzo Ducale, la Fontana con divinità marina, la Fontana della Galatea e del Nettuno e le due figure simboleggianti l’Architettura civile e l’Architettura militare (oggi in pessimo stato di conservazione).
Nel successivo cantiere per la decorazione della navata e transetto di Santa Maria del Popolo, Raggi ricevette l’incarico più cospicuo a fronte dei suoi numerosi colleghi che parteciparono all’impresa: Raggi scolpì sei figure allegoriche, gli splendidi angeli delle cantorie dell’organo, uno dei quattro Angeli reggicornice sull’altare del transetto sinistro.
La carriera dello scultore ticinese continuò in modo folgorante e non solo alle dipendenze di Bernini: realizzò una scultura per la Cappella Chigi di Santa Maria della Pace sotto la direzione di Pietro da Cortona, la figura di San Bernardino per la Cappella Chigi e la statua di papa Alessandro VII per il Duomo di Siena di nuovo sotto la supervisione di Bernini; realizzò l’apparato decorativo della Sala Ducale dei Palazzi Vaticani, partecipò al cantiere della Cattedra di San Pietro; eseguì la bellissima Madonna con Bambino per St. Jospeh des Carmes di Parigi (1659-1660), la Carità per il Monumento funebre di Domenico Pimentel in Santa Maria sopra Minerva, la decorazione delle cupole di Sant’Andrea al Quirinale e di San Tommaso da Villanova a Castel Gandolfo, l’Angelo con la colonna per Ponte Sant’Angelo (1668-1670); il gruppo scultoreo del Noli me tangere per la chiesa dei Ss. Domenico e Sisto (1673-734); numerose sculture per la decorazione della chiesa del Gesù, accanto al Gaulli (1677-1679).
Pur continuando la collaborazione con Bernini, già dagli anni sessanta Antonio Raggi intraprese una propria attività autonoma: nel 1662 ricevette dal principe Camillo Pamphilj la prestigiosa commissione per la pala d’altare raffigurante la Morte di Santa Cecilia (1662-1666) per la chiesa di Sant’Agnese in Agone, il Battesimo di Cristo per San Giovanni dei Fiorentini (1665-1669) per Orazio Falconieri, la Cappella Ginetti per Sant’Andrea della Valle (1673-1677), il Monumento funebre di Lady Jane Cavendish Cheyne (Londra, Chelsea Old Church, 1671), la figura di San Carlo Borromeo per la chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane, Angeli e figure allegoriche per la chiesa di Santa Maria dei Miracoli (1679-1680).
Molte sono le novità e le precisazioni cronologiche che Curzietti ha apportato al catalogo delle opere del Raggi, che fa emergere l’artista quale uno dei più significativi protagonisti dell’arte scultorea della Roma seicentesca. Le più significative puntualizzazioni sono quelle relative alla Cappella Alaleona della chiesa dei Ss. Domenico e Sisto e al Monumento funebre di Lady Jane Cavendish Cheyne.
La Cappella Alaelona era stata commissionata da suor Maria Eleonora Alaleona a Bernini che preparò un progetto noto attraverso un disegno conservato nel Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi e come riportato nell’elenco delle opere posto in calce alla biografia dell’artista di Flippo Baldinucci (1682) e dalla guida del Titi del 1674, in cui si precisa che la cappella era stata realizzata su disegno del Bernini e il gruppo scultoreo da Antonio Raggi. Le due fonti non indicano la data di esecuzione e l’opera venne riferita intorno al 1650 in base a quanto indicato in una cronaca del monastero di San Sisto, riportata dal Berthier[6].
Già Stefano Pierguidi, in base ad un accurato esame stilistico aveva spostato verso il 1673 l’anno di esecuzione del gruppo scultoreo[7], ora Jacopo Curzietti, in base alla sua indagine archivistica ha rivelato che la Cappella Alaleona fu in realtà un tipico cantiere berniniano, dove lavorarono più aiuti su progetto del maestro, tra gli anni 1664-1674: Gabriele Renzi, Carlo Malavista, Giovanni Artusi, Vincenzo Corallo, Pietro Sassi, Lazzaro Morelli e Paolo Naldini. Quando la cappella fu pronta, intervenne Raggi che realizzò il gruppo scultoreo.
Il Monumento funebre di Lady Jane Cavendish Cheyne si trova a Londra presso la Chelsea Old Church: commissionato da Lord Charles Cheyne nel 1671, l’opera testimonia della fama raggiunta dall’artista anche fuori dall’Italia. Curzietti ricostruisce dettagliatamente, attraverso una cospicua serie di documenti, le vicende relative alla realizzazione del monumento funebre e rileva gli accesi scambi di opinione tra l’artista e il committente.
Al di là dei documenti, Curzietti offre una analisi stilistica molto accurata, dotta, articolata dell’arte del Raggi evidenziando l’evoluzione del suo linguaggio nel corso degli anni, in rapporto dapprima con l’Algardi, poi con il Bernini e infine nelle sue opere autonome. L’alunnato presso l’Algardi seppur breve fu determinante per lo scultore ticinese che mantenne spesso un più moderato eloquio nei confronti dell’esuberante arte di Bernini.
Certamente la collaborazione con Bernini fu l’esperienza principale dell’artista: la lunga e intensa attività presso i cantieri del maestro gli offrì occasioni di lavoro probabilmente impensabili altrimenti, ma è pur vero che la pressante presenza del Bernini impedirono di fondo al Raggi la possibilità di trovare la propria vena artistica, che si presenta pertanto non sempre coerente, consequenziale, chiara. Ad esempio, nel rilievo della pala d’altare raffigurante l’Annuncio a san Giuseppe dell’Incarnazione del Verbo (1670-1672) per la cappella Ginetti in Sant’Andrea della Valle, Raggi non riesce a raggiungere una armonia tra le parti, tra la figura di san Giuseppe, turbato dall’arrivo dell’angelo, e la Vergine Maria che tiene in grembo il Bambino Gesù ed è assorta nel contemplarlo[8]. Come ben precisa Curzietti
“L’oscillazione tra il recupero delle componenti classiciste e l’esasperazione degli stilemi barocchi berniniani rappresenta bene l’indecisione stessa del Raggi nell’adottare un solo e coerente linguaggio espressivo o nel saperne formulare uno nuovo nel quale questi trovassero sintesi, sulla falsariga di quanto frattanto portato avanti da Ercole Ferrata”.
Ricco di spunti e di approfondimenti, il saggio introduttivo accompagna il lettore attraverso la successione delle opere, sottolineando le grandi doti dell’artista, la sua grande capacità lavorativa, l’eccezionale velocità operativa, la sua abilità nella lavorazione dello stucco, il suo linguaggio che pur non lineare negli anni è comunque caratterizzato da una vena elegiaca, raffinata, aggraziata che resta il suo segno distintivo, e che se già è presente nelle figure di sante nella chiesa di Santa Maria del Popolo, affiorerà chiara nelle sue ultime opere, come ad esempio nelle figure allegoriche della Prudenza e Temperanza (1680) che ornano il presbiterio nella chiesa di Santa Maria dei Miracoli. Le figure hanno una levità, una leggerezza, una briosità che, dimentiche dall’arte barocca del suo grande maestro, aprono all’imminente rococò settecentesco.
L’arte del Raggi quindi si caratterizza da una parte per un carattere fortemente plastico, in cui il panneggio è il vero protagonista, come ad esempio nell’Angelo con la colonna di Ponte Sant’Angelo o nel Noli me tangere. Nell’Angelo del Ponte il panneggio che si addensa soprattutto intorno alla vita, probabilmente per dare sostegno al peso notevole della colonna, diviene un “medium espressivo” che infonde nella statua una profonda tensione drammatica; nel gruppo della chiesa dei Ss. Domenico e Sisto il gioco dei movimenti contrapposti delle vesti consentono a Curzietti di individuare esattamente l’episodio raffigurato, non tanto il rifiuto del Cristo che si allontana dalla Maddalena, quanto “l’istante immediatamente precedente”. Dall’altra parte, il linguaggio del Raggi si contraddistingue per la sua compostezza e levità.
Nello stesso gruppo del Noli me tangere, la “grazia e sofistica eleganza” attenuano la “prorompente immagine ideata dal Bernini”; nella figura di San Bernardino nel Duomo di Siena, Raggi, pur seguendo il modello del Bernini nell’impostazione ad arco della figura, animò la scultura con un sottile gioco di lunghe e morbide linee della veste; nella figura di San Carlo Borromeo, posta nel secondo ordine della facciata di San Carlino alle Quattro Fontane, “eretta come un fuso longilineo”, Curzietti individua una
“straordinaria immagine di intima e composta religiosità, così lontana dalla temperie mistica berniniana” seppure “interamente pervasa da un fremito che ne anima le vesti…”.
Di vasto respiro sono gli approfondimenti sui rapporti tra Antonio Raggi e gli altri scultori del periodo. Ad esempio suggestiva è l’analisi della relazione che si era creata tra il Raggi e il Gaulli nel vasto cantiere della decorazione della chiesa del Gesù. Dal confronto tra sculture del Raggi e dipinti del Gaulli, Curzietti individua un rapporto di scambi e di idee tra i due artisti.
Un altro pregio davvero notevole è il rigore critico di Jacopo Curzietti, che nelle rare opere senza base documentaria non propone mai una attribuzione perentoria ma avanza con cautela le sue ipotesi. Così ad esempio, rifiuta l’attribuzione al Raggi dei due medaglioni che ornano i monumenti funebri nella Cappella Chigi a Santa Maria del Popolo, per i quali propone i nomi di Jacopo Antonio Fancelli o Lazzaro Morelli.
Come affermano Paolo Portoghesi e Marcello Fagiolo nella presentazione del volume, Curzietti, nel suo eccellente lavoro, ha gettato nuova luce su uno dei maggiori interpreti dell’arte barocca e ha realizzato uno studio ormai imprescindibile nei futuri studi dell’arte della scultura non solo del Raggi, ma dell’intera produzione artistica del Seicento.
Maria Grazia BERNARDINI Roma 25 aprile 2021
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