di Carla GUIDI
Giornalista, scrittrice
Antonella Cappuccio, instancabile e geniale artista, è nota per la sua grande abilità tecnica ma soprattutto per la sua personale interpretazione del mondo, un procedere che lei stessa definisce simbolismo polimorfo.
Attraverso una lunga carriera, prolifica di opere anche di grandi dimensioni, e l’uso di svariate tecniche del linguaggio creativo di grande raffinatezza formale, si è sempre espressa attraverso sintesi visuali che ho chiamato narrazioni antropologiche per sottolineare quanto le rappresentazioni di figure umane vi abbiano piena cittadinanza, viaggiando in più direzioni ma ogni volta seguendo i fili di un complesso raccontare, dalla storia dell’arte (citando le opere dei grandi maestri rivisitati) a sequenze cinematografiche di inquadrature ora sovrapposte, ora sequenziali …
In tal senso esse sono visionarie e rigenerative, dove il corpo è abilitato a pensare (siamo ormai nella fecondità dell’approccio mente-corpo come sistema) e riferendosi all’umano procedere proprio nell’accezione che James Hillman attribuisce alle capacità dell’inconscio di usufruire dei racconti mitici comuni al genere umano che al nostro credere, sentire e soffrire, offrono modelli di guarigione, attraverso il ritrovamento del senso perduto in un cosmo immaginale.
Impossibile riassumere in due pagine le varie fasi della sua produzione artistica e le sue predilezioni poetiche nel tempo, nonché riportare in sintesi le osservazioni di critici, storici dell’arte, amici attori e registi, cineasti e del teatro, poiché Antonella si è da sempre legata a questo mondo della rappresentazione. In famiglia una zia cantante lirica, la madre pianista con un particolare talento per il ricamo, un fratello attore di teatro ed apprezzato doppiatore, infine lei stessa madre di tre figli, anch’essi professionisti del campo; il più noto dei quali è Gabriele Muccino consacrato come uno dei protagonisti della scena cinematografica italiana dal 2001, come regista del film del L’ultimo bacio.
Alcuni di questi commenti e relazioni critiche si possono leggere sul sito https://www.antonellacappuccio.it e seguire una selezione della sua attività artistica dal 1973 ad oggi, dove anche la stessa Antonella Cappuccio Muccino si presenta con queste semplici ed essenziali parole:
“Sono nata due volte: la prima, nell’isola di Ischia, governata dalla sempre mutevole, tenace costellazione dei Pesci, almeno per quelli che credono in queste cose. (…) La seconda volta sono nata diciassette anni più tardi, a Roma, nella casa Cecchi. Per un lungo periodo ho studiato con Maria Baroni e Dario Cecchi, entrambi costumisti designer, ed è a loro che devo la mia formazione artistica e culturale. Dario era anche scenografo, pittore e scrittore. Loro sono stati i miei primi “Maestri d’Arte” e con loro ho iniziato a lavorare per il cinema e il teatro. Inizialmente come assistente, in seguito, all’età’ di ventitré anni, come costumista designer; ho avuto la fortuna di lavorare con la “creme” del teatro italiano, da Pierluigi Pizzi a Danilo Donati, da Maria De Matteis a Ezio Frigerio, Luigi Squarzina, Daniele D’Anza fino a Orazio Costa, Edmo Fenoglio, Silverio Blasi, Giulio Majano , Lina Wertmuller e Paolo Poli. (…) Contemporaneamente, insieme alla mia passione per il costume teatrale, poco a poco, nasceva il mio amore per la pittura. In questo settore, Dario Cecchi si rivelò un inestimabile e indimenticabile insegnante, guidandomi in un attento e profondo studio di Mantegna, Botticelli, Raffaello, Bellini, da cui ho sviluppato la tecnica del tratteggio e fui iniziata ai segreti della sezione aurea … “-
Per una lettura trasversale della sua opera possiamo cominciare dalla sua particolare interpretazione dell’Assenza.
Dacia Maraini così commentava infatti una delle sue prime mostre nel 1976 alla Galleria Sirio, dal titolo “Un’Assenza Quotidiana”.
Non è una denuncia contro il potere reso invisibile dalla corruzione. È una constatazione poetica e dolorosa di una generale assenza quotidiana. L’assenza di chi patisce, di chi subisce, di chi appunto non c’è perché ha alienato se stesso ai valori, ai miti, all’ideologia dominante, di chi ha regalato se stesso per un piatto di lenticchie. Curiosamente i soli testimoni di questa dissoluzione umana sembrano essere le pareti, le tappezzerie, i cieli, le stanze, le strade, che comunicano una tranquilla e gloriosa gioia di esistere. Assistiamo così ad una strana scomposizione ovvero inversione formale: gli oggetti inanimati prendono colore e forma, si fanno veri, animati, e gli esseri umani diventano irreali, sfuggenti, senza vita. La colorata dolente assenza riguarda sia gli uomini che le donne. Ma mentre per gli uomini si rivela saltuaria e rimediabile, per le donne sembra essere costante e irrimediabile. (…) La chiave figurativa è il surrealismo. Ma un surrealismo rivisitato con occhi consapevoli. Un surrealismo rinato dall’amore doloroso della pittrice per la realtà sfuggente, irrappresentabile e illeggibile di un tempo di transizione fra la vecchia affascinante barbarie storica e una nuova sconosciuta ammaliante barbarie senza nome …-
Ma dell’Assenza Antonella non ha cessato in seguito di dare interpretazioni, come per esempio nella serie Costumi del 1998, che sembrano abitati da fantasmi, o negli abiti flosci del tizianesco Amor sacro e amor profano, oppure negli Addii, sempre del 2009 dove le celebri figure botticelliane vengono ritratte di spalle mentre si allontanano.
Altra significativa tendenza è la manipolazione dei corpi, rappresentati in specularità anamorfiche, metamorfosi, mutazioni, aggregazioni, moltiplicazioni …
In tal senso la stessa specularità aiuta a significare aggregazioni riflessive, che dalla nostra psiche alludono agli strati di identificazioni con i personaggi importanti della nostra vita. Rimarchevole anche il suo rapporto con l’acqua, sia come Totem iniziatico zodiacale, come nel caso dell’immagine del Subacqueo che sta emergendo nell’atto di posizionare la preda/pesce bicefala al posto della propria, sia attraverso le sue frequenti rappresentazioni ad immersione psichica totale .
L’acqua è del resto anche la prima superficie specchiante dove l’essere umano senziente ha riconosciuto per la prima volta se stesso, suscitando in lui meraviglia e consapevolezza, ma anche reazioni di significato opposto. Questo ci ricollega alla natura stessa delle immagini, in fondo al loro potere seduttivo ed al principio formale di essere profondamente ambigue. Freud ha osservato che nelle immagini dei sogni si opererebbe una fusione tra riferimenti contrari che finiscono per l’essere rappresentati da un’unica situazione, da un’unica figura, esattamente come nelle lingue antiche, dove parole contenenti significati opposti venivano espresse con la medesima radice linguistica.
Ma la specularità è anche metafora dell’occhio e della vista come specchi dell’anima e strumento di conoscenza del mondo esteriore ed interiore, concetti spesso legati all’antica iconografia della Verità e della Prudenza, rappresentate nell’atto di tenere in mano questo oggetto e contemplarlo. Così la superficie specchiante ci dà un indizio di totalità ideale ma sempre biffata, barrata dal mistero del dubbio, dal timore della frammentazione e della vacuità della consapevolezza totale.
Altre predilezioni della Cappuccio sono il dare vitalità ai corpi sognanti e plasticità creativa a gli eterni amanti.
Il sogno di ogni artista è sempre stato quello di Pigmalione; in tono minore le glorificazioni espressive dei tableau vivant rappresentavano la ricezione del tocco divino della creatività. Nell’interessante volume Immagini che ci guardano di Horst Bredekamp (Ed It R. Cortina 2015) una Teoria dell’atto iconico raccoglie anni di studi con la strenua volontà di riportare le immagini e l’atto del guardare all’interno di connessioni con l’estesa gamma umanistico/scientifica del sapere umano e con l’etica.
Riguardo questa vitalizzazione delle immagini dando loro spessore, nel 2017/2018 la Cappuccio compone piccole scenografie teatrali che riproducono note opere di Botticelli, Raffaello, Chagall, Seurat, Hayez ed altri, ma riproposte ironicamente, non in bassorilievo di marmo o ceramica ma in una vera e propria animazione tattile di morbida stoffa … proprio oggi, quando sembriamo completamente assuefatti all’accelerazione temporale ed al bombardamento di immagini virtuali attraverso i media elettronici. Ma queste morbide creature rappresentano anche un gioco, avendo fatto parte (attraverso sporadiche e divertenti collaborazioni) del Teatro dei burattini di Idalberto Fei, con il quale l’artista ha costruito vari spettacoli, curandone scene e personaggi.
Infine citiamo la serie di Corpi Amorosi degli arazzi di cotone e seta, I Ric/amanti, realizzati durante il primo periodo del lockdown, il proseguo ideale di tutta una serie di disegni erotici realizzati in vari momenti della sua vita. Questi corpi sono sdraiati tra foglie di seta o in giardini segreti e le energie della Natura sono palpabili. Citando a proposito Massimo Recalcati, in un piccolo ed intelligente libro denuncia così le nostre nevrosi –
La spinta verso il Nuovo incenerisce lo Stesso rivelandolo come luogo della morte del desiderio. Il nostro tempo ha fatto diventare una legge universale la tesi di Freud relativa alla comune degradazione della vita amorosa nel nevrotico, caratterizzata dall’incompatibilità tra la tenerezza, capace di durare nel tempo e la corrente sensuale del desiderio, che esige la novità dell’oggetto: se c’è l’amore, non c’è il desiderio; se c’è il desiderio, non c’è l’amore. Eppure sappiamo che esistono alcuni amori nei quali non cessa di ripetersi lo sguardo dell’inizio, nei quali il primo bacio e il primo sguardo continuano ad essere sempre nuovi pur essendo sempre gli stessi. Vi sono amori nei quali si mantiene il bacio. (pag 113/114 da Mantieni il bacio. Lezioni brevi sull’amore – Su licenza G Feltrinelli Milano, abbinamento a La Repubblica marzo 2019)
Carla GUIDI Roma 17 gennaio 2021