di Francesco MONTUORI
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M.Martini e F. Montuori
La Secessione viennese
Olbrich, Klint, Hoffmann
Negli ultimi anni del secolo XIX Vienna era attraversata dai segni di una crisi incombente. Sul piano sociale la classe operaia avanzava rivendicazioni democratiche ma veniva rudemente repressa; tensioni indipendentiste agitavano le diverse nazionalità – magiari, croati, polacchi, cechi, triestini, slovacchi, sloveni, serbi, bosniaci, rumeni – che costituivano l’impero asburgico; Vienna contava inoltre una numerosa comunità ebraica che ricopriva ruoli di grande rilievo, medici, avvocati, attori, giornalisti, poeti che rivendicano la piena cittadinanza e il riconoscimento dei loro diritti al pari degli altri cittadini.L’imminente crollo dell’impero asburgico determinava un sentimento di angosciosa precarietà, la coscienza di un vuoto incombente, la mancanza di certi punti di appoggio. La cultura mitteleuropea si avvitava su se stessa. Vienna diviene il teatro dove le certezze positiviste del vecchio mondo intravedono l’immanente rovina. La quarta sinfonia di Malher si conclude con un lungo interminabile silenzio.
In questo quadro, le arti rappresentano sorprendentemente alti livelli qualitativi, i più avanzati d’Europa. Gli intellettuali e gli artisti fra loro, avvertono un sentimento di precarietà e di irresistibile decadenza e lo esprimono nelle loro opere, convinti in tal modo di contribuire a superare la crisi imminente.
L’Art Nouveau, il movimento che fu chiamato modernismo, chiedeva eguaglianza sociale ed un arte rinnovata ed adeguata ai nuovi tempi. Si organizzano grandi esposizioni e fiere internazionali che celebrano il progresso industriale ed offrono occasione ad architetti, pittori e scultori di costruire i loro edifici e di esporre le loro opere. Mercanti dotati di interesse e gusto orientano la buona borghesia viennese; in America cominciano a costituirsi le prime grandi collezioni; sorgono nelle capitali europee i primi musei di arte moderna e nasce la Biennale di Venezia.
Nei paesi dell’Europa centrale artisti modernisti si associano e costituiscono gruppi a Monaco di Baviera, Berlino, Vienna che prendono il nome di Secessione. Gli artisti abbandonano le scuole di Belle arti ed Il termine Secessione starà a significare il loro radicale distacco dalla formazione accademica.
Nel 1897 i principali fautori della Secessione viennese si organizzarono attorno alla rivista Ver Sacrum, per celebrare la Primavera Sacra che avrebbe caratterizzato il nuovo tempo che si apriva. Tra loro i pittori Gustav Klimt, Egon Schiele, Kolo Moser, gli architetti Josepf Maria Olbrich, Josef Hoffmann, Otto Wagner. A presidente della Secessione degli artisti viennesi viene nominato il pittore Gustav Klimt.
Il Palazzo della Secessione
A Vienna fervono grandi lavori di rinnovamento; sulla nuova arteria cittadina, la Ringstrasse, si installano i Musei, il Teatro dell’opera, i palazzi della ricca borghesia.. Josef Maria Olbrich, allievo di Otto Wagner insieme ad un altro “secessionista”, Josef Hoffmann costruisce il Palazzo della Secessione, la sede dove gli artisti, pittori e architetti che aderiscono al movimento secessionista potranno esporre le loro opere. Otto Wagner viene chiamato a realizzare le stazioni della metropolitana viennese e Josef Hoffman, responsabile della Wiener Werkstatte, un’associazione produttrice di arte decorativa – arredi interni, posate, vassoi, teiere, ottiene numerosi incarichi di lavoro; fra questi spiccherà il Palazzo Stoclet. Anche Adolph Loos costruirà nel 1911 per la Goldman&Salatsch il palazzo sulla Micheaelerplatz, ma non aderirà all’associazione, criticando aspramente di decorativismo gli artisti della Secessione.
Nella progettazione del Palazzo della Secessione (fig.1) Joseph Maria Olbrich allievo di Otto Wagner, suo professore all’Accademia e presso il cui studio avrà la possibilità di una lunga collaborazione, ebbe come consulente lo stesso presidente Gustav Klimt
L’edificio di impianto simmetrico e cruciforme è costituito da limpidi volumi geometrici alleggeriti da una cupola trasparente in foglie di alloro in bronzo dorato, stretta da quattro torrette angolari. Nell’ingresso (fig.2) si concentrano le decorazioni e i simboli: ancora le foglie di alloro dorate, sorrette da flessuosi rami, e i rilievi di tre teste femminili che simboleggiano la pittura, l’architettura e la scultura. Sopra il portale è scritto il motto della Secessione: ”Al tempo la sua arte, all’arte la sua libertà”. Fu rimossa dai nazisti e reinstallata solo nel dopoguerra. Josef Hoffman sarà incaricato dell’allestimento delle sale espositive.
La mostra inaugurale della Secessione viennese ebbe un grande successo di pubblico; gli incassi furono tali che si riuscì a finanziare buona parte dell’allestimento della sede definitiva.
Gustav Klimt ed Egon Schiele interpretarono due aspetti opposti della società viennese.
Klimt, destinato a diventare il paladino della buona società viennese, (fig.3) seppe portare a sintesi le due fondamentali tendenze artistiche, il Simbolismo, come esperienza individuale, ed inconscia del mondo, e il modernismo dell’Art Nouveau che auspicava il miglioramento della condizione umana; Schiele, suo allievo, che nel superare l’ambiguità simbolista e la persistenza decadente del suo stile elegante di Klimt, vi contrappose la sue rappresentazioni erotiche, segno della sua prorompente vitalità rispetto alla mentalità repressiva della borghesia viennese (fig.4).
Comprese che la società viennese perversa ed alienante, fondava sul rapporto uoma-donna la sua egemonia culturale ed aprì la sua pittura alle tensioni erotiche rimaste per tanto tempo sotterranee.
Il programma della Secessione riteneva fondamentale la collaborazione fra pittori, scultori e architetti. Klimt costituirà un gruppo di lavoro detto Klimtgruppe con Josef Hoffmann e Kolo Moser, pittore, designer e decoratore, ed organizzò un esposizione cui aderirono ben 170 artisti. Klimt tenne il discorso inaugurale:
“concepiamo il termine artista in senso ampio come il concetto di opera d’arte. Chiamiamo artisti non solamente i creatori ma anche coloro che godono l’arte, che sono cioè capaci di rivivere e valutare con i propri sensi ricettivi le creazioni artistiche.”
Nella sala principale del Palazzo della Secessione viene esposta una grande statua policroma di Beethoven, il “genio del nuovo spirito viennese”. Klinger che la realizzò volle emulare la grande statua crisoelefantina di Giove che fu di Fidia, ricordata dagli scrittori greci (fig.5)
A Klimt, in occasione della XIV mostra della Secessione del 1902, viene affidato il compito di decorare una delle sale come parte integrante dell’allestimento. Klimt realizzò il Fregio di Beethoven, progettato come cornice per il monumento di Klinger. Klimt scelse come motto per il suo fregio, una frase che Richard Wagner scrisse su Beethoven, riprendendo quanto fu detto da Gesù Cristo: “Il mio regno non è di questa terra”, con cui sanciva il distacco della Secessione dal mondo eclettico e realista dell’Ottocento. Il riferimento al grande musicista viennese era concluso da una citazione del coro della IX sinfonia, l’Inno alla gioia, per sottolineare in tal modo l’autonomia delle arti.
Gustav Klimt dipinse una serie di momenti simbolici che si snodano su tre pareti della sala della Secessione per rappresentare la ricerca umana della felicità appagata grazie all’arte.
Nella prima parete lunga ritrasse L’anelito alla felicita’ (fig.6).
Un cavaliere armato, che ha le fattezze di Malher, allora direttore all’epoca dell’Opera di Vienna, è spinto ad intraprendere la lotta per la felicità dalle suppliche dell’umanità debole. Si colgono qui le costanti dell’intera opera: il suo carattere ornamentale, l’importanza delle linee di contorno, la polimatericità e le frequenti citazioni. L’uomo forte e ben armato, rappresentato da un guerriero in armatura dorata, si prepara a superare le avversità spinto dalle suppliche di due figure inginocchiate, personificazione dell’Orgoglio e della Compassione.
La seconda parete rappresenta “L’ostilità delle forze avverse” (fig.7).
Vi compaiono Il gigante Tifeo, rappresentato come un enorme gorilla contro il quale gli dei stessi inutilmente combatterono, le sue tre figlie, le tre Gorgoni che rappresentano la Malattia, la Follia e la Morte con a destra le tre figure allegoriche della Lussuria, la Voluttà e l’Incontinenza. Isolata entro spire soffocanti è invece la personificazione del Dolore struggente. Sguardi, gesti, capelli e posture caricano i corpi nudi di una prepotente sensualità.
Nella terza parete il Fregio rappresenta “L’anelito della felicità si placa con la Poesia” (fig.8)
Vi sono rappresentate le arti che conducono l’uomo in un mondo ideale, l’unico in cui possano trovare Gioia e Amore. Il Fregio si conclude con la rappresentazione di un coro di angeli del Paradiso e l’abbraccio di una coppia. Le figure sono rigorosamente stilizzate, tanto da apparire ornamenti esse stesse. La ripetizione dei visi, delle pose e degli abiti, conferisce all’insieme un carattere rituale, che ricorda i mosaici ravennati amati da Klimt.
L’abbraccio finale è protetto da una grande campana dove l’ondeggiare delle linee conferisce alla scena un’impressione di armonia e l’uso dei colori brillanti e degli ori evocano un’idea di sacralità:
“in quest’unione con l’Amore umano universale, consacrato da Dio, ci è concesso di godere la più pura delle gioie”.
I giornali accusarono Klimt di aver dipinto un’orgia e le sue protagoniste, in particolare della seconda parete, vennero definite “nudità modernizzate in forma di allegorie ospedaliere… in cui si potevano studiare gli effetti di malattie veneree.”…..
Questo ciclo di affreschi non sarà l’unico. Nel 1904 le Wiener Werkstratte ricevettero la commissione per la realizzazione di un palazzo nella periferia di Bruxelles per l’industriale Adolph Stoclet. I lavori che riguardarono il Palazzo, il vasto giardino, i decori e gli arredi interni terminarono nel 1911.
L’edificio riassume in sé due caratteristiche tipologiche: quella del “palazzo” e quella della “casa di campagna”. Stoclet era un ricchissimo e colto imprenditore; disponeva di una vasta collezione di opere d’arte: una natività di Giotto, un Crocefisso di scuola fiorentina, miniature persiane, sculture cinesi. Non badò alle spese.
Il Palazzo Stoclet
Joseph Hoffmann progettò una fastosa residenza di oltre quaranta stanze con due profonde gallerie destinate alla collezione del proprietario, disimpegnate da un grande atrio centrale a doppia altezza che costituisce il perno dell’organizzazione sia planimetrica che altimetrica di tutto il complesso (fig.9).
Le gallerie longitudinali sono articolate e variate da numerosi episodi volumetrici secondo le necessità funzionali. L’unità del complesso edilizio è affidata a un raffinato rivestimento in marmo bianco di Norvegia bordato agli spigoli dei volumi da cornici in bronzo brunito che scompongono i volumi in setti bidimensionali togliendo peso e gravità ai partiti murari. L’andamento orizzontale dei volumi è opportunamente interrotto dalla scala-torre che svetta terminando in alto con le figure dei quattro Ercoli di Franz Metzner (fig.10).
La vastità dell’edificio permise agli artisti artigiani della Wiener Werkstatte di dispiegare tutto il loro talento; accolse opere di Minne, Fernand Khnopff, Kolo Moser ed altri artisti contemporanei della Wiener Werkstatte.
Hoffmann chiese a Klimt di occuparsi della decorazione della sala da pranzo; l’artista disegnò tre pannelli, realizzati successivamente in mosaico. Per il lato corto della stanza progettò un soggetto puramente decorativo, mentre per i due lati lunghi ideò cartoni lunghi sette metri interamente occupati dall’arricciarsi dei rami dell’albero della vita, collocato al centro della composizione; nei due pannelli sono rappresentate l’Attesa e il Compimento.
L’Attesa (fig.11) assume la forma di una danzatrice egiziana, con il volto di profilo e gli occhi rivolti in lontananza.
Tutto diventa decorazione: i capelli neri della danzatrice, la spalla nuda, le mani e principalmente la grande veste della ballerina, realizzata come un lungo triangolo. La stoffa è essa stessa composta di triangoli a cui si alternano fasce orizzontali di differenti colori. La veste muta così in puro ornamento.
Sulla parete opposta Il Compimento (fig.12) è simboleggiato da una coppia abbracciata; l’uomo e la donna vengono rappresentati in un atteggiamento di pace e di appassionato affetto. Negli abiti della coppia prevalgono i cerchi e motivi fitomorfi.
I cartoni conservati a Vienna all’Osterreichisches Museum rimangono una preziosa testimonianza del metodo di lavoro dell’artista, che utilizzerà colori a tempera e ad acquarello, applicazioni in oro ed argento, gessetti, matite colorate. I pannelli in mosaico furono realizzati dalle Wiener Werkstatte; montati nella sala da pranzo di Palazzo Stoclet nel 1911, si trovano ancora a Bruxelles.
Tutta la rappresentazione è concepita in senso bidimensionale in modo che il primo piano e la sfondo possano giacere sulla stesso piano del quadro. Descrizione e decorazione sono la cifra compositiva dell’opera di Klimt; le figure, in prevalenza femminili, tendono a dissolversi integrandosi con lo sfondo fino a dilagare verso i bordi dell’opera; il disfacimento delle figure rappresentate sfuma quindi nella decorazione e nell’ornamento.
Scriverà Achille Bonito Oliva nel Catalogo della mostra Gustav Klimt Cento disegni alla Pinacoteca Capitolina del Campidoglio del 1983:
“Tutta la Secessione viennese ha posto il proprio lavoro sotto il segno di un’ineluttabile astrazione, come perdita progressiva del senso, come assenza di una motivazione centrale della vita. Da qui il capriccio della decorazione, l’opulenza dell’ornamento, la gratuità di un linguaggio che mima la gratuità dell’esistenza, l’improbabilità di ogni progetto.”
Il 1918 segnerà la fine di un mondo; moriranno Otto Wagner, Gustav Klimt, Egon Schiele e Kolo Moser; la buona società viennese, che malgrado la disfatta incombente cercò invano di ingannare se stessa, fu ridotta alla assoluta miseria. L’impero austro-ungarico crollerà, si fonderanno nuovi stati nazionali e comincerà il novecento, il secolo che Eric Hobsbawn definirà secolo breve.
Francesco MONTUORI Roma 12 aprile 2020