di Francesco MONTUORI
Migranti sull’About
di M. Martini e F. Montuori
I giardini della Val D’Orcia si affacciano su un’ampia vallata pianeggiante chiusa a sud dalla massiccia mole del Monte Amiata.
Ad essi si può pervenire percorrendo a piedi la via Francigena. La via, provenendo da Siena, attraversa il corso principale della cittadina di San Quirico (fig. 1) e grazie ad una delle numerose varianti raggiunge Pienza; da qui, avviandosi in direzione di Chianciano, permette di raggiungere la Villa La Foce.
Un paesaggio vasto ma costruito: la Francigena contribuì infatti alla fondazione di numerosi insediamenti, pievi rurali, ostelli, posti di ristoro, ospedali, per quanti, viandanti, pellegrini o semplici viaggiatori, si recavano a Roma.
Gli Horti Leonini
Nell’anno 1535 Diomede Leoni riceve in dotazione dal vescovo di Pienza e dagli eredi del notaio Ser Cristofano di Fuoco un’area comprendente una “torre scoronata” con i suoi rivellini per la maggior parte in rovina e altri 5 torrioni compresi nel circuito degli orti urbani di San Quirico d’Orcia.
Altri terreni il Leoni acquistò o gli furono ceduti dal Comune e dall’Ospedale della Scala, che aveva una sede nel centro storico della città. Su questi terreni Diomede creò quelli che attualmente sono nominati Horti Leonini o Giardino Chigi, essendo la famiglia senese dei Chigi divenuta proprietaria di quei terreni.
Diomede Leoni realizzò un giardino senza villa e dunque non come luogo di delizie riservato a pochi, come si usava fare in età rinascimentale, ma piuttosto, come dichiara in una sua celebre lettera al granduca Ferdinando de’ Medici, come giardini “che tornano a qualche comodità ancora delli viandanti…”. Dunque, un caso singolarissimo di giardini urbani, realizzati a ridosso dell’antica pieve di Santa Maria Assunta, già nota come Santa Maria ad hortos, e del il vicino Spedale della Scala di San Quirico d’Orcia. (fig. 2).
San Quirico era infatti, fin dal 990, come attestato dal diario di viaggio dell’arcivescovo di Canterbury Sigerico, una “statio” importantissima della Francigena, perché di lì a poco la strada entrava nel dominio papale dello Stato della Chiesa.
Entrando negli Horti Leonini da Piazza della Libertà, subito dopo la Porta Nova, leggiamo su una lapide “Qui è sempre primavera”. Il Parco si divide in due parti: la parte pianeggiante e la collinetta terminale. La zona inferiore, alla quale si accede da un piccolo atrio in mattoni, è recintata da muri e da lecci ben potati a stanze; si tratta di un giardino all’italiana composto da doppie siepi di bosso a forma triangolare delimitate da viali secondari (fig. 3).
Al centro, fra le siepi di bosso, la statua di Cosimo III de’ Medici, scolpita da Bartolomeo Mazzuoli nel 1688, proveniente dal attiguo palazzo Chigi Zondadari. Il disegno scenografico del parterre degli Horti Leonini è stato dagli studiosi interpretato come una croce di Malta, la croce ottagona usata sin dalla prima crociata.
Tra le sculture presenti nel parco si notano due teste leonine poste sui portali di ingresso e la testa di Giano bifronte collocata al confine fra la zona delle siepi di bosso e del bosco di lecci. Le prime alludono al nome del promotore del giardino, mentre la testa di Giano vuole sottolineare la diversità dei due luoghi di cui segna il limite.
Il viale principale taglia simmetricamente il giardino e conduce ad una scala che lo collega al un piazzale superiore e al così detto bosco inglese, con folti e secolari lecci. Qui rimangono resti della torre medioevale distrutta dai nazisti nel corso dell’ultima guerra mondiale. Il viale di confine con il centro abitato, diviso dal giardino da un antico muro di cinta, (fig. 4), porta ad un secondo ingresso cinquecentesco; un antico orto situato nell’angolo est delle mura (fig. 5)
con semplice ingresso autonomo è stato recentemente trasformato in una piccola e prezioso giardino, Il Giardino delle Rose, grazie ad un progetto degli architetti Anna Di Noto, Massimo Franceschi e Francesco Montuori e al contributo dell’Unione Europea (figg. 6 e 7).
Gli Horti Leonini, che sono dal 1975 di proprietà del Comune di San Quirico d’Orcia, vengono regolarmente aperti al pubblico ogni giorno. L’impianto si è mantenuto inalterato fino ad oggi attraverso una serie d’interventi conservativi operati dal Comune, sotto la direzione della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici. Nel Parco si svolge fin dagli anni ‘70 una manifestazione culturale denominata “Forme nel Verde” dove prestigiosi scultori italiani e stranieri espongono le loro opere.
I giardini di Palazzo Piccolomini
Poco distante da San Quirico d’Orcia è la cittadina di Pienza. Nel Quattrocento Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II, uomo colto e visionario, volle trasformare un piccolo centro toscano in una delle città ideali del Rinascimento italiano.
Fu lo stesso Leon Battista Alberti che suggerì al papa di affidare il progetto della rinnovata città all’architetto fiorentino Bernardo Rossellino. Questi, interpretando la lezione albertiana, innestò il nuovo spazio rinascimentale sul preesistente tessuto medioevale.
Bernardo Rossellino risolse il problema dell’esiguità dello spazio creando una pianta trapezoidale imperniata sulla Cattedrale, ai lati della quale si dispongono i corpi divergenti del palazzo Borgia, poi vescovile, e del palazzo Piccolomini; la nuova residenza papale chiude il lato della piazza a destra della Cattedrale; la convergenza geometrica voluta dal Rossellino favorisce l’effetto prospettico del complesso architettonico, impensabile per una città medioevale, per la prima volta un complesso urbano monumentale è legato ad uno spazio verde e ad una visuale paesistica.(fig. 8 ).
Il Palazzo Piccolomini fu progettato a pianta pressocchè quadrata con un cortile, cinto da un portico ad arcate. Sul lato a valle del cortile si stende il giardino di Palazzo sul quale si affaccia una grandiosa loggia a tre ordini (fig. 9).
Il giardino è delimitato da un lato dall’abside della cattedrale mentre di fronte si apre lo splendido panorama della Val d’Orcia, i campi ricchi di messe e vigneti, le rocche, i castelli, con in fondo l’alto profilo del Monte Amiata (fig. 10).
Il semplice giardino è composto da quattro aiuole di forma rettangolare delimitate da due viottoli che si incrociano perpendicolarmente. Nel punto di incontro è posta una fontana, mentre nei quattro angoli di ogni aiuola, disegnata da doppie siepi di bosso, sono piantati alberi di alloro potati a forma di cupola. Sul fondo il giardino è chiuso da un muro del Palazzo ricoperto di edera.
Il paesaggio assume un ruolo primario nell’ideazione di questo giardino. Scrive lo stesso pontefice:
“Nel lato che guarda a mezzogiorno e il monte Amiata, hanno costruito tre portici (o logge) […]. Il primo portico, sotto un’alta e austera volta, offre un piacevolissimo passeggio nell’attiguo giardino; il secondo, con un soffitto di travi adorno di dipinti a vivaci colori, offre un soggiorno piacevolissimo nell’inverno, con una balaustra elevata fino ad arrivare con il suo orlo all’ombelico di una persona. Simile è la proporzione del terzo portico, sebbene più semplici siano i pregi del soffitto a cassettoni” (fig. 11).
Al papa Pio II Piccolomini riconosciamo un’autentica carica innovativa, una raggiunta capacità di dominio su un paesaggio di fondamentale importanza urbanistica.
Egli realizzerà un opera che sarà esemplare per il Rinascimento italiano.
Villa La Foce
L’antica villa La Foce fu costruita dall’Ospedale della Scala di Siena nel tardo quattrocento per essere un ostello di pellegrini e mercanti, come molte altre costruzioni, dimore, ospedali, grancie disseminate nel territorio senese.
Quando Iris Cutting (fig.12) nobildonna inglese, e suo marito Antonio Origo acquistarono la tenuta, agli inizi del novecento, si rivolsero all’architetto Cecil Pinsent per ristrutturare gli edifici colonici e creare un ampio giardino. Il giardino venne realizzato in quattro fasi, tra il 1925 e il 1939; la vista si apriva ad occidente sulla profonda val d’Orcia chiusa in fondo dal Monte Amiata.
Pinsent realizzò un classico giardino all’italiana; divise lo spazio in due giardini connessi con una scala a doppia rampa: un viale attraversa la parte superiore dove le siepi di bosso suddividono il terreno in geometriche “stanze” nella parte sottostante le stanze si restringono e convergono geometricamente su un punto segnato da una vasca d’acqua circondata da un gruppo di cipressi (fig.13) Un sentiero di travertino si snoda quindi sotto un pergolato di glicini, arriva al bosco e collega il giardino con il cimitero di famiglia.
Durante la seconda guerra mondiale la marchesa Origo, donna animata da spirito assistenziale, ospitò nella Villa e diede da mangiare a bambini, sfollati, partigiani. Oltre ad occuparsi dei bambini, i contadini che vivevano alla Foce dovevano nutrire i partigiani nascosti nei boschi e dare alloggio a centinaia di persone che si rifugiavano, fuggendo dalla guerra, nelle fattorie disseminate nei campi. Ma La Foce, fattoria centrale di molte residenze contadine disseminate nel territorio della Val d’Orcia, era troppo vicina alle strade principali per essere un nascondiglio sicuro.
Il fronte, dopo la liberazione di Roma, si avvicinò. Obbligata a lasciare la casa nelle mani delle truppe tedesche Iris Onigo fuggì con sessanta bambini per riparare a Montepulciano. Fu una lunga e perigliosa marcia; vide lungo la strada cadaveri ancora scoperti, granate fioccarono nell’aria ed esplosero con gran fragore. Per due volte gli apparecchi tedeschi scesero a volteggiare sulla testa dei fuggitivi. Iris Origo scrisse nel suo diario, che in seguito diverrà un libro, Guerra in Val d’Orcia:
“Dopo quattro ore, arriviamo a San Biagio, ai piedi della collina di Montepulciano…ecco apparire davanti a noi un gruppetto di cittadini: ci hanno veduti dai bastioni e ci vengono incontro a braccia aperte: Molti sono partigiani. Si prendono sulle spalle bambini e fagotti e in trionfante corteo ci arrampichiamo su per la strada del paese…. abbiamo lasciato dietro a noi tutto quello che possediamo, ma mai nella mia vita mi sono sentita così ricca come ora, guardando i bambini dormire. Qualsiasi cosa accadrà domani, stasera sono sani e salvi.”
“Una fuga, una marcia? No, un volo d’angeli che cantano in coro: pagine pure e lievi come una laude.” Così Piero Calamandrei nella recensione al diario della Origo pubblicata sulla rivista “Il Ponte”.
Ritiratesi i tedeschi Iris Origo tornò alla Foce. Annoterà ancora nel suo diario:
“La casa è ancora in piedi, soltanto la facciata che guarda il giardino è stata colpita da una granata. In giardino , dove le granate hanno lasciato molte buche e dove sono rimaste le trincee delle mitragliatrici, limoni ed azalee sono state sradicate dai vasi, e stanno morendo.”
Oggi Villa La Foce con il suo grande giardino è vincolata come Dimora Storica Italiana (fig.16).
La sua posizione strategica su un diverticolo della via Francigena ne aumenta la visibilità e l’importanza; quanti percorrono questa antica strada per Roma si fermano alla Foce, come avviene da cinquecento anni, per riposarsi del lungo viaggio e fotografarsi di fronte a questo luogo ricco di storia.
Francesco MONTUORI Roma 25 ottobre 2020