di Nica FIORI
“Niente è più inabitabile di un posto in cui siamo stati felici”.
Questa frase, dal romanzo di Cesare Pavese “La spiaggia”, ha particolarmente colpito la Presidente di Cinecittà Chiara Sbarigia che, partendo dal concetto di impraticabilità e inabitabilità di una costruzione, ha pensato a una mostra fotografica su architetture tutt’altro che vivibili, ma in grado di suscitare in chi le osserva suggestioni varie.
In effetti sono molti i fotografi di successo che si sono dedicati negli ultimi decenni proprio a immortalare monumenti “inabitabili” ed edifici industriali, che non di rado vengono riconvertiti in qualcosa di diverso, mentre in altri casi rimangono come reperti di interesse paesaggistico, che fanno riflettere sulla loro rilevanza simbolica.
Anche Roma ha avuto un passato produttivo documentato in numerosi manufatti ed edifici di discreto valore architettonico, impiantati all’inizio del Novecento in alcune aree che potremmo definire industriali, come per esempio il quartiere Ostiense, con l’intento di soddisfare le esigenze industriali e di servizio di una città molto più piccola dell’attuale e che sono stati poi abbandonati o trasferiti altrove. Uno degli edifici più interessanti dell’area industriale è la Centrale termoelettrica Montemartini, che conserva una parte originale del 1910 ed un secondo corpo degli anni Trenta; una parte dei macchinari, non più in uso, è conservata accanto a statue, sarcofagi e mosaici romani, perché fortunatamente l’edificio ospita attualmente uno dei musei di Roma Capitale.
Ed è proprio in questa particolare sede museale che si tiene la mostra “Architetture inabitabili”, in programma dal 24 gennaio al 5 maggio 2024. L’esposizione, promossa dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e realizzata da Archivio Luce Cinecittà, è a cura di Chiara Sbarigia con Dario Dalla Lana.
Protagoniste sono otto architetture italiane, distribuite da nord a sud, scelte prendendo in esame tipologie diverse, tecniche costruttive diverse ed epoche diverse, cercando, quando possibile, anche dei collegamenti con i materiali dell’Archivio Luce. Si parte dal Campanile semisommerso di Curon in Alto Adige, e si prosegue con il Memoriale Brion ad Altivole (in Veneto), il Lingotto di Torino, la Torre Branca (già Littoria) di Milano, gli Ex Seccatoi di Città di Castello in Umbria, il Gazometro di Roma, i Palmenti di Pietragalla in Basilicata e il Cretto di Alberto Burri a Gibellina (in Sicilia).
“L’idea della mostra nasce dall’unione di suggestioni e reminiscenze culturali – ha dichiarato Chiara Sbarigia nel corso della presentazione alla stampa – in questo caso le parole di Pavese su un luogo che ho visitato da ragazza, alla foce del Po, e su tante altre esperienze. E naturalmente c’è Cinecittà, che è a sua volta un luogo inabitabile ma popolato di lavoro e di esseri immaginari. Se fossimo stati all’estero avrei messo le Water Towers o la Tour Eiffel. Ho cercato posti riconoscibili, noti, che si possano visitare, tranne forse i Palmenti di Pietragalla, più sconosciuti. (…) Dopodiché ho cercato di coinvolgere scrittori e fotografi. Ciascuno, una volta scelti i luoghi, doveva essere legato al territorio. Il lavoro degli scrittori, speciale, sarà soprattutto presente nel catalogo”.
Tra le circa 150 immagini che fanno parte della mostra, ricordiamo quelle di Gianni Berengo Gardin, Guido Guidi, Marzia Migliora, Gianni Leone, Mark Power, Sekiya Masaaki, Steve McCurry. Appositamente realizzate per la mostra sono poi le bellissime immagini di Silvia Camporesi e di Francesco Jodice, autore della foto della torre Branca scelta per la prima di copertina del catalogo (edito da Archivio Luce con Marsilio Arte). Alle fotografie si aggiungono alcuni filmati d’epoca, visibili al piano superiore del museo, che provengono in buona parte dall’Archivio Luce. Oltre a essere immortalate dallo sguardo di fotografi contemporanei, le architetture prese in esame sono raccontate dagli scrittori Edoardo Albinati, Stefania Auci, Gianni Biondillo, Andrea Canobbio, Andrea Di Consoli, Francesca Melandri, Tiziano Scarpa, Filippo Timi.
Le Architetture Inabitabili raccontate dalla mostra sono dei luoghi noti e in qualche caso addirittura iconici, perché presenti in alcuni film e nelle serie televisive degli ultimi anni, come nel caso del Gazometro di Roma, che si staglia come un castello d’acciaio a due passi dalla stessa Centrale Montemartini.
Ricordiamo che i gazometri erano le officine di fabbricazione e immagazzinamento del gas di città, sostituito da tempo con il metano. Il “Grande Gazometro” di Roma è caratterizzato da un’incastellatura in ferro a maglia reticolare, alta quasi 90 metri, che poggia su una base di pannelli in lamiera, nel tipico stile fin de siècle che realizzava ardite costruzioni intrecciando travature metalliche come in un gigantesco giocattolo meccanico. Tra le fotografie che lo raffigurano, colpisce il nostro sguardo soprattutto quella di Paolo Di Paolo, intitolata Pier Paolo Pasolini al Monte dei Cocci. Anche altri personaggi del cinema sono stati immortalati con il Gazometro sullo sfondo, in particolare Totò sul set del film La banda degli onesti di Camillo Mastrocinque del 1956 e Valeria Golino sul set di Storia d’amore di Citto Maselli (1985).
L’architettura forse più affascinante è il “Campanile di Curon”, che sembra sospeso tra acqua e cielo nel lago di Resia in Trentino-Alto Adige. Parliamo di una struttura romanica trasformata dalla costruzione di una diga che portò alla creazione del lago artificiale per scopi idroelettrici, sommergendo il paese, i cui edifici vennero prima distrutti, e lasciando emergere solo la torre campanaria. Dario Dalla Lana, nel suo saggio in catalogo “Costruire, abitare, guardare”, la paragona a un’immagine archetipica della cristianità, presente nel Pastore di Erma, uno scritto apocrifo del II secolo d.C., che descrive una torre sorgente dalle acque, edificata con pietre estratte dagli abissi: un’allegoria della Chiesa, in quanto edificio “costruito” con i corpi dei fedeli. Tra le fotografie contemporanee è spettacolare quella di Silvia Camporesi del 2014, intitolata Curon Venosta, nella quale il campanile appare proprio come una simbolica apparizione in un paesaggio bianco di neve. Alcune immagini in bianco e nero, appartenenti al Museo Alta Val Venosta, sono d’interesse documentario, perché raffigurano la vecchia Curon.
Un complesso sepolcrale in forma di giardino idilliaco è il “Memoriale Brion” ad Altivole (Treviso), progettato dall’architetto Carlo Scarpa tra il 1970 e il 1978 per accogliere Giuseppe e Onorina Brion (famiglia nota per i prodotti di elettronica Brionvega); la coppia dei sarcofagi dei committenti è affondata nel terreno e protetta da un pesante arcosolio a volta ribassata. Questo complesso monumentale, capolavoro di un modernismo un po’ straniante, evoca metaforicamente una città murata simile ad altre disseminate nella pianura circostante (come Cittadella o Castelfranco Veneto con le mura ritmate da torri perimetrali). Particolarmente affascinanti sono le fotografie di Masaaki Sekiya che ritraggono il memoriale alle prime luci dell’alba o illuminato dalla luna, come si addice a una città di morti.
A Milano la “Torre Branca” è stata progettata da Giò Ponti con una struttura a traliccio in acciaio su base esagonale, che termina in alto con una piattaforma panoramica coronata da una guglia-antenna. Concepita come una struttura temporanea per la Triennale del 1933, è dotata di un ascensore che permette ai visitatori di raggiungere la cima e godere di una vista panoramica su Milano; dopo un periodo di abbandono e degrado, è stata restaurata ed è ritornata a essere visitabile dal 2002. Il fotografo Francesco Jodice la fa apparire come una sorta di faro trasparente che si erge dal verde del parco Sempione in un’immagine notturna, con il cielo che sembra riflettere lo stesso colore degli alberi.
Un’atmosfera decisamente magica per un monumento inabitabile, il cui nome originario di “Torre littoria” è stato cambiato perché legato al ventennio fascista.
Un edificio simbolo della storia industriale di Torino è il “Lingotto”, famosissimo complesso architettonico che un tempo ospitava la fabbrica della FIAT. L’edificio, inaugurato nel 1923, è stato progettato dall’ingegnere Giacomo Matté – Trucco, rifacendosi a prototipi precedenti, come gli stabilimenti multipiano della Ford a Detroit, e si presenta come un lungo parallelepipedo, scandito da una griglia strutturale cartesiana e con una pista di collaudo al di sopra. Nel 1982 il complesso perse definitivamente la sua funzione e in seguito venne trasformato, su progetto di Renzo Piano, in un edificio polivalente, con un centro congressi, un auditorium, un hotel, una pinacoteca e un centro commerciale. La pista sul tetto è ora diventata un giardino pensile, ispirato al “tetto-giardino” di Le Corbusier.
Altre architetture inabitabili abbastanza note sono il “Cretto di Gibellina”, che è un’installazione commemorativa di Alberto Burri: una sorta di grande sudario di cemento bianco che ricopre le macerie della città di Gibellina (Trapani), distrutta nel terremoto del Belice del 1968, e gli “Ex Seccatoi” del tabacco di Città di Castello (Perugia), che nel 1966 ospitarono i libri alluvionati di Firenze, che qui vennero “curati”; perduta definitivamente la loro funzione originaria con l’abbandono della coltura del tabacco negli anni ‘70, dal 1990 ospitano gli ultimi grandi cicli pittorici di Alberto Burri.
Di particolare fascino sono i “Palmenti di Pietragalla”, oltre duecento costruzioni in parte scavate nella roccia e disposte su diverse quote, un tempo utilizzate come laboratori per la produzione del vino, con vasche per la pigiatura e vasche per il mosto. Il nome “palmento” deriva probabilmente dal latino parlato “paumentum”, che indicava il pavimento del locale dove avveniva la pigiatura. Queste grotte, che sembrano casette di un ambiente fiabesco, sono indubbiamente un’interessante testimonianza dell’ingegno dei vignaiuoli locali e creano un impatto paesaggistico notevole, evocando atmosfere di altri tempi. Se non si entra all’interno, dove sono collocate le vasche scavate nella pietra, si potrebbe avere l’impressione che questi ambienti siano sì abitabili, ma solo dai mitici fauni, quelle divinità campestri che rimandano al mondo dionisiaco dell’antichità magnogreca.
Nel complesso la mostra è di grande fascino e non possiamo che concordare con quanto scrive Lucia Borgonzoni, Sottosegretario alla Cultura, nella prefazione del catalogo:
“Queste costruzioni, pur essendosi rivelate in alcuni casi impraticabili, sono state comunque veicolo di innovazione, manifestazioni di coraggio, un invito a immaginare un mondo al di là delle limitazioni pratiche, stagliandosi come icone di una progettazione che supera i confini convenzionali”.
Nica FIORI Roma 4 Febbraio 2024
“Architetture inabitabili”
Musei Capitolini, Centrale Montemartini, Via Ostiense 106, 00154 Roma
24 gennaio – 5 maggio 2024
Orario: da martedì a domenica ore 9-19 (ultimo ingresso un’ora prima della chiusura).
Ingresso gratuito per i possessori della MIC card