di Franco CARDINI
ARMI E POTERE nell’Europa del Rinascimento
Quanti simboli in una corazza!
Abou Art è lieta di ospitare l’importante contributo che il Professor Franco CARDINI ha scritto per “la Repubblica” in occasione della esposizione.
E’ passato un mezzo secolo da quando Christopher Dawson, nel suo Progresso e religione, si chiedeva come mai un guerriero fosse tanto più “bello” di un agente di commercio. Oggi, gli sviluppi delle scienze umane ed in particolar modo l’etologia ci forniscono, al riguardo, qualche nuova risposta: Ereneus Eibl Eibensfeldt, allievo di Konrad Lorenz, ha studiato il rapporto, in molte specie animali, tra bellezza esibizionismo e violenza (pensate ai galli). E ha scoperto, tra l’altro, che gli animali non tato si scontrano, quanto fanno tra loro veri e propri “tornei”, delle esibizioni di forza e di bellezza, scopo delle quali è impaurire il nemico e quindi evitare il combattimento. Perché dietro la fierezza minacciosa di chi vuol far paura si cela un’altra paura, più grande. La sua. Potere, forza, bellezza e paura sono un seducente e terribile quadrato magico. Lo sapeva Omero quando ci mostrava, davanti alle porte Scee, il pianto irrefrenabile del piccolo Astianatte pieno di terrore di fronte all’ondeggiare del cimiero colorato dell’elmo del padre Ettore. E il più grande romanziere cavalleresco del XII secolo, Chrétien de Troyes, ci fa assistere alla disperazione della madre dinanzi all’ingenuo figlio Perceval, che per la prima volta ha incontrato sul suo cammino un gruppo di cavalieri coperti di ferro ed è rimasto innamorato della loro bellezza fino a crederli angeli:
”Oh, figlio mio, io credo che tu ti sia imbattuto in quegli angeli che distruggono tutto quello che toccano !”.
Le armature, quelle perfette e complete coperture d’acciaio messe a punto gradualmente a partire a partire da Quattrocento, che dominarono (o sembrarono dominare) i campi di battaglia per poco più di un secolo ma che rimasero poi a lungo nell’uso militare e principesco, specie come oggetti di parata, almeno fino al Settecento furono a lungo le glorie di fabbri e decoratori specializzati, specie tedeschi e norditaliani;
enorme il loro peso, che poteva superare i trenta chili; astrale il loro costo; lunga e difficile la loro preparazione, sempre ‘su misura’. Lunghissima la loro preistoria. Nella mitologia degli sciti e dei sarmati c’è un dio, Batraz, tutto di ferro meteorico incandescente temprato nelle acque del Mar Nero: la sua spada è il prolungamento del suo braccio. Ammiano Marcellino ci parla di cavalieri “catafratti” sarmati -ausiliari delle armate romane- chiusi in tute fatte di scaglie di ferro che aderivano al loro corpo.
Alla base dell’armatura quattro e cinquecentesca, alla quale si pervenne gradualmente, v’era l’utopia dell’immortalità: quindi l’utopia della paura. Il cavaliere nei secoli XI – XII, con la sua maglia di ferro e il suo grande scudo, era quasi invulnerabile quando si scontrava con i miserabili fanti del suo tempo. Ma già alla fine del Duecento, armature sempre più sicure e pesanti si rivelavano spesso suscettibili di sconfitta. Se un nobile cavaliere cadeva da cavallo, o la sua bestia moriva sotto di lui, egli si trovava impotente come un povero crostaceo sotto i colpi delle crudeli fanterie. Poi arrivò il tempo degli invincibili picchieri con i loro quadrati irti di picche come aculei di riccio, che non lasciavano avvicinare i cavalieri; e arrivò il “maledetto abominoso ordigno” esecrato dall’Ariosto, l’arma da fuoco che uccideva a distanza e non c’era coraggio, non c’era valore che tenessero.
A partire dai primi anni del Cinquecento, la cavalleria si rifugiò nel sogno delle corti e del bel gioco crudele del giostre e dei tornei: le armature rimasero il guscio dorato del potere dei re nelle parate e –significativamente soprattutto- nelle cerimonie funebri; ma, salvo rarissimi casi particolari, non vinsero, anzi non combatterono più. Alter ego del cavaliere, suo mirabile “doppio” cesellato e niellato era in realtà ridotto ad un ammirevole Nulla. Il Cavaliere inesistente di Italo Calvino ne è il simbolo più appropriato: irreprensibile armatura che combatte e mima perfino l’atto amoroso, ma che al suo interno è spietatamente irrimediabilmente vuota.
La mostra di Roma può far chiedere a qualche visitatore: come si può profanare tanta bellezza nella costruzione di un oggetto di morte? Chi lo pensa potrà consolarsi riflettendo che quelle erano armi difensive e miravano a preservare la vita. Utopia anch’essa. A differenza del guerriero samurai, che combatte con armi di difesa leggerissime, affidandosi tutto all’abilità, al coraggio e alla sopportazione del dolore, il guerriero occidentale si concentrò sulla speranza di una invulnerabilità garantita dalla tecnica. Che sia questo uno dei tanti aspetti del “conflitto di civiltà” tra Oriente ed Occidente?
ARMI E POTERE nell’Europa del Rinascimento
Ideata e realizzata dal Polo Museale del Lazio, si è aperta lo scorso 26 luglio nella doppia sede di Castel Sant’Angelo e di Palazzo Venezia una grande mostra sulle Armi nel periodo del Rinascimento, testimonianza certamente di un’epoca di conflitti e di accadimenti storici, allorquando gli stati della penisola divennero terra di scontro tra le grandi potenze dominanti, in primis Spagna e Francia, ma anche di un periodo di grandi progressi scientifici e tecnologici, oltre che commerciali, che ovviamente fecero progredire anche l’uso e la produzione degli strumenti di guerra.Il nucleo centrale della esposizione si fonda sulla collezione Odescalchi, costituitasi a partire dalla metà del XIX secolo e poi ampliata grazie ai contatti con antiquari internazionali, fino al 1959 quando venne in larga misura donata al Museo nazionale di palazzo Venezia. In questo contesto la storia dell’arte s’inserisce in modo eclatante, perchè riconosce alle armi la qualifica di manufatti di grande livello -pari a volte ai manufatti della grande oreficeria- e non a caso in mostra esse sono accompagnate da dipinti ed abiti di rilievo assoluto.
Roma luglio 2018