redazione
Prefazione di Gregory Hanlon
Mauro Barchielli è uno di quegli appassionati di storia locale le cui ricerche possono costituire un importante punto di riferimento anche per gli storici professionisti.
In genere, questi ultimi scrivono la storia basandosi su diverse fonti documentarie, ma spesso sottovalutano i prodotti della tecnologia. Ciò può rappresentare un grave limite del loro lavoro in quanto oggetti apparentemente comuni possono rivestire una notevole importanza come fonte storica. Così, nello specifico, sono pochi gli studi che cercano di far luce proprio sugli apparecchi illuminanti.
Arte e luce è il secondo libro di Mauro Barchielli sull’argomento, ed è importante sia per l’area geografica che copre, principalmente l’Italia settentrionale nella longue durée, sia perché adotta un approccio regionalistico sostenuto comunque da una vasta letteratura italiana, francese, inglese e tedesca sull’argomento.
Il suo primo libro, pubblicato nel 1995, affrontava il tema dell’illuminazione artificiale delle strade cittadine, che era sicuramente costosa e, pertanto, nell’antichità si limitava principalmente a lumi posti davanti alle edicole e alle santelle, nonché a fiaccole collocate nei pressi di qualche taverna o palazzo presenti nel tessuto urbano. Infatti, al calare della sera, la maggior parte delle persone si ritirava nelle proprie abitazioni, uscendone soltanto all’alba. L’utilizzo di apparecchi di illuminazione all’interno delle case, così come le fonti di calore, rappresentava sostanzialmente un privilegio riservato alla parte più abbiente della popolazione. Le persone, talvolta insieme agli animali, dovevano accontentarsi di abitazioni con spazi ridotti, spesso prive di finestre o con aperture molto piccole. I palazzi italiani del Rinascimento, con ampie finestre regolarmente distanziate ed eleganti camini lungo le pareti sono innovazioni più recenti di quanto generalmente si pensi.
Nemmeno l’avvento delle finestre con vetri nel XVII secolo, ancora poco studiato, riuscì a rompere completamente con un passato di poca luce, anche perché le vetrate spesso erano composte da piccoli tasselli che offrivano una trasparenza limitata.
Per lungo tempo, l’illuminazione interna si basò sulla luce emanata dal focolare, che veniva utilizzato anche per accendere le candele da portare in altre stanze. Coloro che si avventuravano all’esterno, nell’oscurità, portavano con sé lampade rudimentali, non sempre affidabili in presenza di vento.
Le grandi città, a partire da Parigi durante il regno di Luigi XIV, introdussero l’illuminazione delle strade principalmente come misura di sicurezza pubblica. Progressivamente questa misura consentì alle élite europee di prolungare le ore di attività, favorendo così una socialità urbana che poteva svolgersi fino a tarda notte. In seguito l’illuminazione si diffuse anche negli studi e nelle officine, portando a un aumento della produttività lavorativa in Europa. Tuttavia essa continuava a essere costosa. Considerando anche la pericolosità delle fiamme libere, che erano ampiamente utilizzate, sorprende il fatto che gli incendi devastanti non fossero più frequenti negli ambienti urbani.
Questo nuovo libro si concentra sugli strumenti di illuminazione impiegati negli interni ed è arricchito da una serie di illustrazioni dettagliate che vanno oltre la tradizionale raffigurazione di beaux objets aristocratici e borghesi.
Per comprendere correttamente questi apparecchi, è importante ricordare che, prima della diffusione del camino, avvenuta in Europa nel XV e XVI secolo, i bracieri antichi rappresentavano la tecnologia più comune per la cottura dei cibi, mentre una semplice candela, magari fissata a una staffa sporgente dai muri, poteva essere sufficiente per illuminare un ambiente. Tuttavia, la cera, indipendentemente dalla sua qualità, era un materiale costoso e le candele di sego erano maleodoranti. Le piccole lampade portatili, alimentate a olio, consentivano di trasportare una fonte di luce all’interno delle zone più buie delle abitazioni.
Negli anni Settanta del secolo scorso, mentre vivevo da studente squattrinato nella campagna senese, dove le interruzioni di corrente erano frequenti, avevo imparato a creare un oggetto simile utilizzando una tazzina da caffè e un piccolo batuffolo di cotone che galleggiava su un filo di olio d’oliva. Il cotone fungeva da stoppino e veniva acceso solo quando necessario. Nonostante la luce che si diffondeva fosse molto debole, questo tipo di oggetto è stato utilizzato dalla maggior parte degli europei per molti secoli.
I grandi lampadari a soffitto, che potevano ospitare numerose candele o lampade, spesso decorati e realizzati anche con metalli preziosi, erano principalmente riservati agli edifici sacri. La Chiesa cattolica aveva compreso bene che l’illuminazione straordinaria delle città e delle chiese poteva suscitare ammirazione e al contempo promuovere l’edificazione dei fedeli. D’altra parte, le principali famiglie cittadine contribuivano a creare effetti scenici particolari con l’uso di torce appese alle facciate delle loro abitazioni.
Alla fine del XVII secolo i grandi lampadari, ornati con cristalli e inserti metallici che riflettevano la luce prodotta, furono utilizzati per amplificare l’effetto luminoso, che sarà ulteriormente moltiplicato quando saranno collocati, lungo le pareti delle sale di ricevimento, diversi elementi luminosi da parete: si trattava delle ventole o applique, apparecchi adatti a sostenere una o più candele, la cui capacità illuminante veniva spesso rafforzata da uno specchio posto dietro al lume. Questa evoluzione del modo di illuminare sale e saloni fu in gran parte di origine italiana, ma si diffuse rapidamente tra le élite europee. Tuttavia, la manutenzione di questi apparecchi richiedeva una considerevole forza lavoro addetta all’accensione e allo spegnimento delle candele, nonché alla pulizia e alla lucidatura delle superfici riflettenti. Mentre la manodopera era relativamente economica, i mezzi per produrre l’illuminazione erano decisamente costosi.
Anche le élite vivevano la vita di ogni giorno senza eccessi d’illuminazione, che invece riservavano per momenti particolari (anche loro riciclavano la cera). La gente comune si accontentava di pochi apparecchi illuminanti nelle proprie case cittadine, mentre nelle campagne prevalevano metodi di illuminazione più primitivi.
Del resto, per tutti l’unica fonte di luce artificiale rimaneva il fuoco il cui potenziale distruttivo era controllato grazie a speciali apparecchi come torce, lumi a olio, candele e candelieri, lampade e lampadari. La situazione subirà un cambiamento radicale con l’introduzione dell’illuminazione a gas e, più ancora, con quella elettrica che consentirà di illuminare uno o più ambienti con il semplice tocco di un interruttore.
Mauro Barchielli è uno dei pochi storici che ha effettuato un conteggio degli apparecchi illuminanti in specifiche aree geografiche e per un determinato periodo di tempo, utilizzando centinaia di inventari e distinguendo accuratamente tra le case urbane e quelle rurali. Il suo lavoro rappresenta una risorsa concreta e affidabile su un argomento sicuramente interessante.
Gregory Hanlon Munro Professor of History
Distinguished Research Professor Dalhousie University, Halifax.
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Presentazione di Stefano MACCONI (Storico dell’arte)
A distanza di quasi trent’anni dall’uscita del primo volume, datato 1995, Mauro Barchielli torna ad analizzare un aspetto singolare ma di grande interesse per la storia dell’umanità: l’evoluzione dei corpi illuminanti avvenuta nel corso dei secoli.
Se nella sua prima opera l’autore ha esaminato in particolar modo l’impatto avuto dall’illuminazione artificiale sulla vita delle città e degli abitanti che vi risiedevano, in questo nuovo lavoro, intitolato Arte e Luce, Mauro Barchielli ripercorre le tappe fondamentali che hanno segnato le trasformazioni degli apparecchi illuminanti dall’antichità fino ai giorni nostri.
La minuziosa ricerca storica e documentaria è messa inoltre a confronto con una serie di opere d’arte, di diverse epoche, in cui l’autore ha rintracciato la presenza di esemplari di corpi illuminanti. Quanto esposto nei capitoli che compongono il saggio trova così concreta dimostrazione nei capolavori scelti dallo scrittore.
Si tratta di un percorso affascinante dove l’elemento luminoso non è solo l’espediente scelto dall’artista per illuminare le differenti composizioni. La luce assume, in certi casi, un valore simbolico e spirituale: essa è infatti segno visibile della presenza del divino. Tale lettura viene ripresa nel proseguo del saggio soprattutto in relazione con gli sviluppi dell’architettura religiosa medievale romanica e gotica. Sebbene i due stili divergano nettamente nelle scelte compositive, trovano invece terreno comune sull’utilizzo della luce che, penetrando all’interno degli edifici sacri, diventa per il fedele testimonianza della presenza di Dio.
A conclusione del suo saggio lo studioso torna poi sul tema oggetto del precedente lavoro, l’avvento dell’illuminazione artificiale prima per le strade delle città e poi nelle case dei privati, tappa fondamentale dell’evoluzione umana.
L’ampio respiro dello scritto di Mauro Barchielli è il frutto di una ricerca appassionata e competente che restituisce, a lettori incuriositi e studiosi, un prezioso saggio rispetto a un argomento ancora scarsamente indagato.
Stefano MACCONI (Storico dell’arte) Cremona 21 Luglio 2024