di Nica FIORI
Mascheroni di Roma: elementi decorativi e talvolta funzionali che si ispirano a mitiche figure del mondo classico e alle maschere teatrali
“Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione. E questo grazie alle vostre mani …”.
Con queste parole Paolo VI l’8 dicembre 1965, al termine del Concilio Vaticano II, si rivolgeva agli artisti, auspicando un duraturo legame fra bellezza, verità e arte.
Se per molti questa utopistica equivalenza espressa da un papa santo è decisamente affascinante, è pur vero che la bellezza non è qualcosa di assoluto e di oggettivo. Gli umani, infatti, trovano l’appagamento anche in ciò che è disarmonico, nel mostruoso, nell’osceno, intendendolo come bello.
I mostri, in effetti, ci respingono e ci attraggono allo stesso tempo, come è sempre stato dagli albori dell’umanità, altrimenti non si spiegherebbero tutti quei miti relativi a spaventose creature immaginarie, che alimentano la nostra fantasia ed evocano azioni eroiche. Uno dei miti più raffigurati nel mondo classico è quello del mostro che uccide con il suo solo sguardo e dell’eroe che riesce ad averne ragione tagliandogli la testa.
Parliamo in questo caso di Medusa, l’unica mortale tra le terribili Gorgoni, la cui testa anguicrinita, tagliata da Perseo, ha avuto una straordinaria fortuna in campo artistico, a partire dalla sua raffigurazione sull’egida di Atena e di Zeus, e poi nei frontoni, negli acroteri e nelle antefisse dei templi greci ed etruschi. Nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia si conserva un’antefissa di argilla con Gorgone, proveniente dal tempio di Portonaccio a Veio, che ha mantenuto una straordinaria policromia (foto 1). La testa di Medusa, detta Gorgoneion, fino al V secolo a.C. era raffigurata con la lingua sporgente, zanne di cinghiale, sguardo fisso raggelante, guance rigonfie, mentre in seguito diventa non di rado meno orrifica, limitando la sua terribilità ai soli serpenti attorcigliati intorno al collo.
Nel Foro di Leptis Magna (in Libia), la città che ha dato i natali all’imperatore Settimio Severo, la troviamo raffigurata centinaia di volte con un volto sempre diverso e con una capigliatura serpentiforme riccioluta che sembra rispecchiare quella cura per le ricche acconciature che è tipica dell’età imperiale (foto 2). Nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo si conserva una testa bronzea di Gorgone, proveniente da una delle navi di Caligola del lago di Nemi, che sembra quasi ingentilita da due ali sulla capigliatura (foto 3).
È proprio da questa e da altre mitiche figure che deriva l’uso del mascherone come elemento ornamentale di opere architettoniche e scultoree nel mondo moderno.
È stato detto più volte che le sculture di teste (umane e talvolta animalesche) dai tratti deformi e inquietanti venissero collocate sulle porte, sulle cornici, sulle finestre degli edifici con una funzione apotropaica, allo stesso modo delle maschere tragiche e rituali, alle quali si deve il nome dell’elemento decorativo stesso. Poiché gli spiriti maligni, secondo le credenze popolari, erano sempre in agguato presso le aperture delle case e delle costruzioni in genere, si cercava di allontanarli spaventandoli con figure di mostri abnormi.
Perduta nel tempo questa primitiva valenza, il mascherone divenne a poco a poco un elemento decorativo e a volte funzionale, come quando è stato adoperato come bocca di fontana. A Roma si conoscono diversi esempi di questo genere, risalenti per lo più al Cinquecento e al Seicento. Tra questi la gigantesca testa marmorea dalle fattezze femminili, con lo sguardo fisso e la bocca aperta, inserita nella fontana di via Giulia voluta dai Farnese e chiamata popolarmente proprio col nome di Mascherone. La costruzione di questa fontana è contemporanea a quella delle due fontane di piazza Farnese (1626), che sono costituite da grandi vasche termali gemelle, ed è probabilmente opera di Girolamo Rainaldi. Un tempo sorgeva isolata in una piazzetta, mentre ora è addossata a un ottocentesco muro di mattoni, che ne altera l’impostazione originaria (foto 4).
Un’altra fontana che utilizza un grande mascherone è quella di piazza Pietro d’Illiria, all’Aventino, presso l’ingresso del Giardino degli Aranci. Il volto raffigurato sembra quello di una divinità fluviale o marina, inserito entro una conchiglia. Realizzato nel 1593 dallo scalpellino Bartolomeo Bassi per una fontana di Giacomo della Porta, poi demolita, che si trovava nel Foro Romano (chiamato all’epoca Campo Vaccino), è stato collocato nel 1936 nell’attuale sede insieme a una vasca ovale di granito grigio con maniglie, proveniente da un edificio termale (foto 5).
Addossata al Casino di Pio IV, all’angolo tra via Flaminia e via di Villa Giulia, vi è un’interessante fontana, precedente al casino stesso e voluta da Giulio III (1550-1555) per pubblica utilità, nella quale l’acqua fuoriesce da una bizzarra testa di divinità marina tra festoni di frutta e delfini. Il carattere marino della figura è sottolineato dai fluenti capelli ondulati modellati a formare una conchiglia, mentre altre conchiglie sono sui lati a guisa di enormi orecchie (foto 6).
Le conchiglie, i delfini e altri animali acquatici si abbinano anche ai mascheroni della Fontana del Moro a piazza Navona, realizzata da Giacomo Della Porta nel 1575, ma i cui gruppi scultorei originali sono stati sostituiti da copie, e in quella di piazza della Rotonda, sempre dello stesso architetto (foto 7).
Pure le bocche da cui fuoriesce l’acqua nella Fontana del Cupido a Villa Pamphili sono dei mascheroni dalle sembianze ora maschili ora femminili, tra cui Satiri e Gorgoni (foto 8).
Vi sono anche alcune fontane minori all’interno di cortili signorili, dove possiamo trovare l’abbinamento tra un sarcofago antico, riutilizzato come vasca, e una testa leonina o un mascherone come bocca di fontana. Un esempio lo troviamo nel Palazzo Varese, in via Giulia, 16, dove ben due fontanelle sono costituite da un mascherone che sovrasta un antico piccolo sarcofago istoriato (uno è autentico, l’altro è un’imitazione), e a sua volta è sovrastato da un busto romano (foto 9).
Ben più appariscente è il grande mascherone da fontana in travertino, che è collocato nel secondo cortile del cinquecentesco Palazzo Mattei di Giove (in via Caetani), che vanta nei suoi cortili una ricchissima collezione di statue e rilievi di epoca romana. Questo mascherone antico raffigura un volto maschile curiosamente deformato a formare un cerchio e con trafori che lo rendono meno pesante; è posto al di sopra di un sarcofago strigilato con due protomi leonine (foto 10).
Un’utilizzazione diversa, come chiusino da fogna, è documentata in epoca romana. L’esemplare più noto è la cosiddetta Bocca della Verità, nel portico della chiesa di Santa Maria in Cosmedin già dal 1632. La sua fama è legata alla credenza che la misteriosa maschera sarebbe stata in grado di giudicare sulla verità delle parole di un imputato, che doveva a questo scopo introdurre una mano nella bocca. Se la mano gli veniva mozzata, la sua colpevolezza era data per certa. La sua strana funzione è stata riconosciuta per la prima volta da Luigi Canina, che ha pensato a un chiusino della Cloaca Massima, l’importantissima fogna che passa proprio nei paraggi (foto 11).
Altri mascheroni funzionali sono quelli che costituiscono la porta e le finestre del cinquecentesco Palazzo Zuccari dal lato di via Gregoriana. Stavolta siamo di fronte ad originalissime creazioni del manierismo romano (l’autore è Federico Zuccari), che hanno una certa affinità con i mostri del parco di Bomarzo. L’atmosfera è decisamente bizzarra per via delle grandi bocche spalancate, trasformate in aperture, che sembrano introdurre in un mondo misterioso popolato dagli orchi delle favole. Niente di strano perciò che Gabriele d’Annunzio abbia scelto l’edificio come raffinata abitazione del suo eroe decadente Andrea Sperelli, nel suo celebre romanzo Il Piacere (foto 12).
A parte questi esempi più vistosi, a Roma possiamo osservare innumerevoli mascheroni che hanno uno scopo prevalentemente decorativo. Anche se non mancano esempi di epoca rinascimentale e barocca, essi risalgono per lo più al periodo compreso tra la proclamazione di Roma Capitale (1870) e i primi decenni del Novecento, quando ci fu nella città un notevole incremento dell’edilizia, che si rifaceva per le decorazioni ai modelli classici, non solo greco-romani, ma anche egizi, persiani, assiri. In questo gusto eclettico il mascherone ebbe un enorme successo perché dava modo ai decoratori di sbizzarrirsi con figure sempre più fantastiche e strane, talvolta caricandosi di significati allegorici.
Nel ninfeo del giardino di Palazzo Sacchetti, in via Giulia, sono stati collocati ai quattro angoli del tetto dei mascheroni d’epoca romana, dall’espressione tragica. La loro sistemazione risale probabilmente al 1660 circa, quando il ninfeo, costruito un secolo prima da Nanni di Baccio Bigio, venne modificato da Carlo Rainaldi. Queste grandi maschere teatrali, ben visibili dal Lungotevere dei Sangallo, sono una testimonianza della mania della nobiltà romana per il collezionismo antiquario, che ha dato modo di formare non poche prestigiose collezioni d’arte, tra cui anche quella dei Sacchetti (foto 13).
Nella stessa via Giulia, nella facciata dell’edificio contrassegnato dal numero civico 93, troviamo altri due mascheroni degni di attenzione, perché stranamente modellati di tre quarti, nello stemma papale di Paolo III (foto 14),
caratterizzato anche da unicorni e dai gigli dei Farnese, e, poco oltre, ci colpisce una decorazione decisamente macabra, che può rientrare nel tipo del mascherone, nella facciata della chiesa di Santa Maria dell’Orazione e Morte, sede dell’omonima confraternita che si occupava un tempo di raccogliere i cadaveri che si trovavano nelle strade, per dargli adeguata sepoltura. Si tratta dei due teschi, con la fronte ricoperta di alloro e incorniciati da altri motivi vegetali, sugli stipiti del portale: essi fanno buona compagnia ad altri motivi ornamentali, come quello della clessidra, che sembrano rimarcare il trascorrere del tempo e la caducità della vita terrena. La facciata della chiesa, e quindi anche la decorazione, risale alla prima metà del XVIII secolo ed è opera di Ferdinando Fuga (foto 15).
Non lontano da qui, sul Lungotevere Tor di Nona, tra via del Mastro e via della Rondinella, si trovano due maschere ispirate a quelle del teatro greco, poste a coronamento di una stele del 1925, commemorativa del Teatro Apollo che sorgeva nel luogo, sulle rovine della torre Orsini. Una lunga iscrizione ricorda i fasti del teatro, che vide celebri rappresentazioni di melodrammi verdiani, mentre una vasca che imita un sarcofago romano ha al centro l’immagine di Apollo citaredo (foto 16).
Decisamente terrificante è l’espressione dei due mascheroni, dai tratti irrigiditi a formare un rettangolo, sul portale del giardino di Villa Caffarelli, sul Campidoglio, risalente al tardo Cinquecento, mentre quasi disgustosa nella sua bruttezza è quella delle Arpie che ornano i portali laterali di Palazzo della Consulta, nella piazza del Quirinale (foto 17 e 18).
In via Nazionale, sulla facciata del Piccolo Eliseo, non può mancare una maschera, che richiama le fattezze dei personaggi della commedia dell’Arte: è posta al centro dell’arco di ingresso ed è ripetuta in bronzo al di sotto e all’entrata del contiguo Teatro Eliseo. Il complesso dei due teatri risale al 1910 ed è stato restaurato nel 1936/37 (foto 19).
Di fronte, nella sede della Banca d’Italia, costruita tra il 1886 e il 1904 da Gaetano Koch, si notano, sopra i due ingressi principali, dei grandi mascheroni femminili, probabili allegorie della prosperità e dell’abbondanza, cui del resto tutta la decorazione dell’edificio si ispira.
Pure simbolici si possono considerare gli esempi sulle finestre del Palazzo dei Marescialli a piazza Indipendenza, costruito nel 1937 su progetto di Costantino Costantini come sede degli uffici dei Marescialli d’Italia: essi infatti non hanno le solite caratteristiche di stranezza o deformazione delle fattezze umane, ma raffigurano delle normalissime teste di soldati con elmetti.
Unaquantità impressionante di mascheroni è presente negli edifici del cosiddetto “Quartiere Coppedè”, realizzato da Gino Coppedè negli anni tra il 1916 e il 1926. La Casa degli Ambasciatori, che attraverso un arco immette da via Dora in piazza Mincio, è letteralmente piena di questi elementi decorativi, a partire dalla grande testa femminile, sul tipo di Minerva, sorretta da due nudi maschili, al centro dell’arco, a quelle tragiche che si susseguono sugli architravi delle finestre, a quelle animalesche poste sotto il balcone dell’ingresso al n. 2 di via Dora.
La Casa del Ragno, sempre in piazza Mincio, è pure caratterizzata dalla presenza ossessiva di mascheroni, di varia forma ma tutti leonini, mentre il vicino Villino delle Fate mostra una bellissima testa di Gorgone inserita nella decorazione di un grande capitello (foto 20, 21, 22 e 23).