di Stefano Di RIENZO
Stefano Di Rienzo, è laureato in “Storia e Conservazione dei Beni Culturali” e in “Storia dell’Arte” presso Università Roma Tre, con specializzazione in Restauro e Storia delle Tecniche Artistiche. Master in “Pianificatore d’Arte ed Eventi Culturali” e “Museotecnica e Allestimenti d’Arte”. Corso triennale in “Arte Sacra” presso Accademia Urbana delle Arti di Roma. Diplomato con attestato di merito in “Gestione dei Beni Culturali Ecclesiastici” “presso il Centro di Ricerca Markets Culture and Ethics della Pontificia Università della Santa Croce di Roma. Ha pubblicato su Thema, Arti Sacre News, ArcheoMolise. Con questo articcolo inzia la sua xollaborazione con About Art.
Un recentissimo testo curato da Mariano Apa, Registri di arte. Le necessità del Sacro. Un album di immagini, edito da Gangemi (FIG 1), propone una impegnativa catalogazione degli artisti contemporanei dediti alle tematiche dell’arte sacra, e tra questi, nel secondo capitolo dedicato a “Luoghi della globalizzazione” viene inserito Rodolfo Papa «per la sua multiforme attività di artista e di storico dell’arte»[1]. I riferimenti iconografici sono principalmente dedicati alla Cappella del Perdono interamente dipinta nel 2020 dal maestro Papa nella chiesa parrocchiale del Santissimo Sacramento a Tor de’ Schiavi[2] ed alla grande tela dedicata a San Pietro e San Paolo, posta all’inizio del 2020 nel Pontificio Collegio Missionario Internazionale San Paolo a Roma[3]. Appare opportuna la collocazione della produzione di Papa dentro il capitolo dedicato alla globalizzazione, per la sua capacità di inserire la sua scelta pittorica figurativa nei più svariati contesti: dalla parrocchia di una periferia romana ad un Collegio internazionale pontificio.
In un altro testo recente, curato da Yvonne Dohna Schlobitten, Esperienza religiosa, estetica e spiritualità. Verso una teologia della teoria e critica dell’arte contemporanea, edito da Gregorian & Biblican Press nel 2021 nella collana Pope Art (FIG. 2), un intero capitolo scritto da Giulia Licitra viene dedicato a Rodolfo Papa, La trasfigurabilità di Cristo e il realismo moderato di Rodolfo Papa. Il testo, esito di una ricerca condotta per una tesi di laurea, affronta principalmente la decorazione pittorica della intera Cappella di Gesù Nazareno nella Basilica di San Crisogono a Roma, opera commissionata dall’Ordine Trinitario in occasione dell’ottavo centenario della Regola e dei 150 anni della presenza dei Trinitari in Trastevere, ed inaugurata il 30 maggio 1999 da Mons. Francesco Marchisano, all’epoca presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa[4]. Licitra conclude la sua analisi osservando:
«Rodolfo Papa si colloca in perfetta relazione tra tradizione e innovazione, con uno sguardo al tempo passato e al tempo moderno-contemporaneo, attraverso l’applicazione volontaria di una contemporaneità e una ri-semantizzazione iconografica e iconologica […] teorizza un realismo moderato che si pone al limite tra una visione simbolista e una visione razionalista»[5].
Nel libro curato da Apa ci si concentra, dunque, sulle opere più recenti, mentre il testo della Licitra si rivolge ad una delle prime esperienze di ampio respiro effettuate da Papa nell’ambito dell’arte sacra. Occorre anche rilevare che nel 2002, dunque ben venti anni fa, fu pubblicato un testo collettivo intitolato Epifania della bellezza. Riflessioni sulle opere di arte sacra di Rodolfo Papa[6], un testo di taglio transdisciplinare, con testi di teologi quali Piero Coda e José Maria Galvan, filosofi quali Francesca Rivetti Barbò, Sante Babolin, Maria Bettetini, Mario Pangallo, Aldo Vendemiati, storici dell’arte quali Augusto Gentili, Luciana Cassanelli, Heinrich Pfeiffer, Stephen Pepper e Stefania Severi, ma anche un archeologo quale Paolo Moreno e un musicista quale Marco Frisina, solo per citarne alcuni. Peraltro, un paio di anni prima, a soli 36 anni, Rodolfo Papa veniva nominato Membro Ordinario della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon, nella classe dei Pittori[7]. La filosofa del linguaggio Maria Bettetini definì Rodolfo Papa «un ragazzino che dipinge affreschi per le antiche chiese di Roma»[8] e ne sottolineava come tratto caratteristico la capacità di dipingere i corpi[9].
Rodolfo Papa non è più un ragazzino e si è affermato, come scrive Marco Bussagli, quale «esponente di spicco del recupero figurativo dell’arte sacra»[10], confermando la sua scelta pittorica per la corporeità[11], e nel suo percorso pluridecennale ha realizzato molte altre opere di arte sacra, tra cui sembra opportuno citarne alcune: la tela Madonna del Manto commissionata nel 2000 da don Andrea Santoro -poco prima della sua partenza per la Turchia dove sarà ucciso nel 2006[12]– l’opera è tuttora collocata nell’esterno della Basilica dei Santi Fabiano e Venanzio a Roma[13]; la decorazione pittorica dell’intera Antica Basilica di Bojano in Molise, a cui ha lavorato dal 1999 al 2011[14], con inaugurazione finale avvenuta il 25 settembre 2011 alla presenza del card. Angelo Bagnasco, allora presidente della Conferenza Episcopale Italiana, questo lungo lavoro eseguito a Bojano ha avuto come committente Angelo Spina all’epoca arciprete della Cattedrale, divenuto poi vescovo nel 2007, commissionò a Rodolfo Papa sei tele per la cattedrale della sua prima sede episcopale, ovvero Sulmona: Virtù Cardinali, Virtù Teologali, Maddalena; San Pietro; San Giovanni, Papa Benedetto guida la barca della Chiesa; in questo contesto Papa dipinse anche una lunetta, ovvero una tela di forma semicircolare, per la realizzazione del mosaico della porta d’ingresso laterale per celebrare la visita di Benedetto XVI a Sulmona il 4 luglio 2010; tra il 2008 e il 2010 alcune tele per la collezione internazionale di arte sacra di Steen Heidemann, tra cui The priest who identifies himself in Christ e The priest who sees Christ in the laity entrambe di forma semicircolare[15]; il Ciclo della Eucaristia nella cripta della Basilica di Karaganda in Kazakistan, inaugurato il 9 settembre 2012 dal card. Angelo Sodano[16]; i Quattro Evangelisti per l’Aula Magna della Pontificia Università Urbaniana a Roma e l’Annunciazione e l’Adorazione dei Magi per il grande corridoio dell’Edificio Antico della medesima Università, lavori eseguiti tra il 2014 e il 2016, durante il rettorato del prof. Alberto Trevisiol IMC.
Tra il 2016 e il 2018 ha iniziato un ciclo decorativo, ancora da concludere, per la Curia Generalizia dei Teatini a Sant’Andrea della Valle tra cui un’opera eseguita con tecnica pittura su ceramica e su porcellana insieme ad alcuni allievi della sua Accademia[17] (FIG. 3); la tela Visitazione[18] nel Collegio Missionario Internazionale San Paolo inaugurata nel 2020 da mons. Remigio Bellizio, direttore della Fondazione “Domus Missionalis” e la tela San Giuseppe Missionario[19] nel Pontificio Collegio San Pietro inaugurata il 19 marzo 2022 dal card. Luis Antonio Tagle, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.
Vorremmo dedicare questo articolo all’analisi di due opere dipinte a Roma per la chiesa parrocchiale di San Giulio I papa, tele che non costituiscono un vero ciclo, ma si presentano come interessanti ed esemplificative della originale modalità pittorica con cui Rodolfo Papa affronta le tematiche sacre ed in modo particolare l’iconografia dei santi. Si tratta di San Giulio (FIG. 4) inaugurata il 13 aprile 2013 da Mons. Matteo Zuppi
(FIG. 5), all’epoca vescovo ausiliare di Roma, oggi cardinale e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, e San Francesco inaugurata il giorno 4 ottobre 2013 con una solenne concelebrazione presieduta dal Cardinale Antonio Cañizares, all’epoca Prefetto della Congregazione per il Culto Divino (FIG. 6).
La chiesa parrocchiale dedicata a San Giulio I si trova nel quartiere di Monteverde Vecchio ed è stata per decenni officiata dai Canonici della Immacolata Concezione che accolsero le tele del maestro Papa; la chiesa ha subito una recente ristrutturazione nella quale le due tele, così come anche altre opere prima esposte, ancora non hanno trovato una nuova collocazione.
Pur non costituendo un vero ciclo, tuttavia occorre notare che le due opere dovevano essere le prime realizzazioni di un progetto di decorazione complessivo della chiesa, con il fine di dotarla di strumenti iconografici per la predicazione. Le opere, per il loro tema e per la loro impostazione, assolvono infatti il compito parenetico e catechetico proprio delle opere di arte sacra[20], con una notevole e peculiare qualità artistica a cui vorremmo dedicare specifica attenzione.
Analizziamo adesso le opere, entrambe di dimensioni cm 260 x 200, eseguite con tecnica di pittura ad olio su supporto di tela di lino.
Per la tela dedicata a San Giulio I[21], notiamo innanzitutto un tipico tratto della ricerca artistica di Rodolfo Papa, ovvero l’indagine storica e iconografica che costituisce lo sfondo di ogni sua produzione. Egli, infatti, studia il soggetto da rappresentare, cercando poi di tradurlo con una sensibilità contemporanea, senza commettere però alcun anacronismo stilistico.
San Giulio I venne eletto papa nel 337 e nel Catalogus Liberianus, un documento manoscritto che elenca i vescovi di Roma fino a Liberio morto nel 366, Giulio I viene ricordato anche perché “multas fabricas fecit”. Infatti sotto il suo pontificato e per sua iniziativa, furono edificate a Roma quelle che oggi chiamiamo Basilica di Santa Maria in Trastevere e Basilica dei Santi Apostoli, ed inoltre la chiesa di San Valentino nel cimitero sulla via Aurelia, la chiesa di San Felice nel cimitero sulla via Portuense e la chiesa del cimitero di San Calepodio nel luogo del sepolcro del papa Callisto, morto martire.
Proprio questo aspetto del Pontefice come costruttore di chiese viene enfatizzato da Rodolfo Papa che pone sullo sfondo la chiesa più importante realizzata da Giulio I, ovvero Santa Maria in Trastevere, già fondata come domus ecclesiae da san Callisto, la prima chiesa mariana di Roma, che grazie a Giulio I assunse la dimensione e l’importanza che la porteranno nei secoli ad essere una delle più belle basiliche romane. Rodolfo Papa propone una sua ipotesi ricostruttiva di come potesse essere Santa Maria in Trastevere nel IV secolo. Lo sfondo della tela, dunque, costituito proprio dalla facciata di questa chiesa, è il punto di vista da cui partire per la ricostruzione iconografica del santo così come viene proposto da Rodolfo Papa.
Giulio I viene rappresentato in ginocchio, in una loggia, nel contesto della complessa ritualità del tempo, dunque circondato da figure che possiamo immaginare di diaconi e suddiaconi. La figura del santo inginocchiato è monumentale ma nello stesso tempo intima, senza alcuna retorica compositiva. Appare interamente entro la loggia ed il volto si taglia sulla parete grigia, e solo le mani sporgono verso l’apertura da cui si può vedere la facciata di Santa Maria in Trastevere, come se la figura umana del vescovo di Roma si facesse indietro, additando verso la chiesa stessa, non solo edificio ma istituzione e comunità. Si nota che la tiara pontificia non è indossata da Giulio I, ma viene dipinta posta per terra, a sottolineare l’umiltà di questo papa del IV secolo ma anche come riferimento al momento storico in cui Rodolfo Papa dipinge, ovvero i giorni immediatamente successivi alle dimissioni di Benedetto XVI, quegli insoliti giorni di attesa della fumata bianca che segna la fine risolutiva del conclave elettivo, essendo però ancora vivo il papa precedente.
La cura nella pittura del mantello dorato e la sobria ricostruzione dei paramenti mostrano il gusto estetico di Papa che non indulge mai negli eccessi, come scrive la già citata Licitra.
La composizione è molto “urbana”: si svolge dentro un’architettura a loggia e si affaccia sul quartiere di Trastevere dominato dalla chiesa di Santa Maria ma, seppure quantitativamente limitato, il cielo è senz’altro protagonista: si può notare il realismo della rappresentazione del cielo, realmente aderente a un tipico cielo romano di mezza stagione, e nello stesso tempo il valore iconologico di cui si fa portatore.
Papa ha, infatti, sviluppato negli anni il tema dei cieli come Theophania[22], ovvero come manifestazione di Dio, una ricerca feconda, che cammina insieme alla ricerca dei colori in cui il blu e tutte le sue sfumature sono sovente protagonisti. Papa realizza da solo i propri colori, come gli antichi artigiani, partendo dalle polveri, ed il blu è uno dei suoi pigmenti preferiti, tanto che alcuni parlano di “blu Papa”.
Il cielo è il vero tratto di unione tra la tela dedicata a San Giulio e quella dedicata a San Francesco, tele che si pongono in contrapposizione compositiva, ma legate dal tratto del cielo.
Infatti, mentre la tela di San Giulio propone la ricchezza del culto e l’attività edificatoria del pontefice, la tela dedicata a San Francesco[23] propone una totale immersione nella natura ed il cielo, che nella prima tela occupa solo un riquadro, nella seconda si amplia a coprire tutta la metà superiore dell’opera, avvolgendo San Francesco dipinto a braccia alzate nel momento del ricevimento delle stimmate (FIG. 7).
Anche in questa opera c’è un legame con il momento presente, infatti la tela, dipinta a pochi mesi di distanza dalla prima, fa chiaro riferimento al nome del nuovo Pontefice, Francesco, ed anche alla sua sensibilità ecologica che alcuni anni dopo troverà espressione nella enciclica Laudato Si’ del 24 maggio 2015.
Tuttavia anche in questa tela, non notiamo alcun anacronismo: l’opera è dedicata a San Francesco ed alla devozione francescana presente nella comunità parrocchiale di San Giulio.
Francesco è rappresentato nel paesaggio della Verna, dove ricevette le stimmate. Anche qui notiamo la sobrietà della composizione: san Francesco è abbracciato da una luce alle sue spalle, luce che è insieme naturale e soprannaturale, senza alcuna forzatura o effetto speciale. Occorre notare che Rodolfo Papa, come artista e come storico dell’arte, ha dedicato molti studi a Leonardo[24] e alla sua capacità di costruire la pittura sulle luci e sulle ombre che definiscono i corpi e, come Leonardo, proprio dipingendo la luce naturale può alludere alla luce soprannaturale, in quella funzione del pittore “nipote di Dio”[25] di cui scriveva Leonardo nei suoi Codici.
Rodolfo Papa metabolizza sempre nella sua produzione artistica le sue ricerche storico-artistiche e nelle sue ricerche storico-artistiche utilizza quelle conoscenze tecniche che gli consentono un approccio oggettivo alle opere, di cui in genere lo storico dell’arte puro è privo. Il metabolismo dei segni fa parte di quello che Papa stesso ha chiamato “risemantizzazione” del segno[26], ovvero un utilizzo del significante con un cambiamento di significato.
Per entrambe le tele in analisi, i riferimenti artistici sono molti: possiamo notare suggestioni che derivano da Guercino[27], Carracci, Caravaggio, Guido Reni, Zurbarán, suggestioni che vengono attualizzate, senza essere strumentalizzate o tradite. Proprio la profonda comprensione della storia dell’arte ed il rispetto per la grande pittura consentono a Papa di dare sensibilità contemporanea alle sue opere.
Nella tela dedicata a san Francesco, possiamo notare tre elementi fondamentali. Il primo e più evidente è costituito dalla posizione del corpo e dalla apertura delle braccia che formano un “tau”, ovvero la consonante dell’alfabeto greco scelta dai cristiani in quanto assimilabile alla forma della croce romana, e prescelta dai francescani come loro simbolo, non solo portata al collo come croce in legno, ma anche come forma dell’abito francescano che nella sua semplicità è un saio a forma di T.
La posizione a forma di Tau diviene tipica della rappresentazione artistica della scena delle stimmate, nella pittura tra ‘400, ‘500 e ‘600. Ne abbiamo un chiaro esempio nel dipinto di Agostino Caracci del 1586 San Francesco riceve le stigmate, conservato nella Galleria Nazionale di Parma.
Il secondo elemento è costituito da come il cielo si staglia in forma aurorale sul paesaggio e sul corpo del santo, definendo i confini tra materia e luce, tracciando il profilo del bosco montano che circonda Francesco. La luce è stata sempre importante nelle opere di Papa, tanto che Sante Babolin anni fa scriveva:
«La luce ha priorità sul suono e quindi l’immagine prevale sulla parola. Rodolfo Papa pone l’osservatore in una cascata di luce, difficile non accorgersi che tutto si gioca nella luce e con la luce»[28].
Un terzo elemento, meno evidente, è costituito da una pietra posta ad angolo su cui è inginocchiato il santo: è un chiaro riferimento alla pietra tombale nella Deposizione di Cristo[29] dipinta da Caravaggio per la chiesa di Santa Maria della Vallicella a Roma e ora conservata ai Musei Vaticani (nella chiesa è presente una copia). Rodolfo Papa ha dedicato analisi iconologiche approfondite a questa opera di Caravaggio[30] e qui ne riutilizza il segno che rimanda alla morte nel contesto cristiano.
Nel Cantico delle Creature, dopo la lode per gli elementi naturali, San Francesco parla della morte:
«Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali; / Beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ’l farrà male».
Francesco ringrazia per la morte corporale, che è propria di ogni uomo vivente e non è temibile a meno che non ci si trovi nel peccato “mortale”, quello che conduce alla seconda morte, alla dannazione. Occorre morire a se stessi per non perdersi nella seconda morte. Tutto questo viene narrato figurativamente da Rodolfo Papa ponendo san Francesco sulla pietra tombale che, con il tramite di Caravaggio, rimanda alla morte e risurrezione di Gesù Cristo.
Queste due opere offrono un buon esempio dello stile figurativo colto e realista di Rodolfo Papa, che sa rendere comprensibile, mediante le immagini, contenuti profondi e a volte difficili. La sua tipologia di figurativo è esito di una ricerca non facile; in modo appropriato anni fa Antonello Tonelli scriveva:
«Rodolfo Papa è più concettuale di ogni artista concettuale ma la sua pittura non osa fermarsi alla concettualità»[31]
e inseriva Rodolfo Papa nella ricerca di un “realismo possibile”:
«questo realismo particolare, legato al tempo di chi vive il reale e di chi “sembra rappresentare la cosa” e invece trasfigura il reale nell’invocazione della natura della cosa, si manifesta in una estetica precisa che è diversissima per ogni autore, e nello stesso tempo è espressione di un’etica che fa dello sforzo artistico un comune impegno. Impegno per un’arte per l’uomo e per un’avventura nel mondo»[32].
Questa ricerca di un realismo possibile approderà nel già citato “realismo moderato” di Rodolfo Papa[33]. Inoltre queste tele sono anche una buona esemplificazione di quelle caratteristiche che Rodolfo Papa, in quanto teorico e filosofo dell’arte, argomenta come essenziali alle opere di arte sacra: bellezza, narratività, figuratività, universalità[34] (ovvero comprensibilità).
Possiamo, infine, auspicare che queste due tele trovino presto la loro nuova collocazione nella chiesa di San Giulio, non solo per soddisfare le esigenze devozionali dei parrocchiani, ma anche perché siano nuovamente fruibili al pubblico e agli storici dell’arte.
Stefano Di RIENZO Roma 24 Agosto 2022
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