Artiste, teoriche e militanti: una conferenza su una Storia dell’arte contemporanea scritta dagli uomini.

di Gabriele PANDOLFELLI

Artiste, teoriche e militanti

Lo scorso martedì 24 settembre a Roma si è tenuta all’interno del salone del Casino Nobile di Villa Torlonia la conferenza dal titolo “Artiste, teoriche e militanti”. L’incontro è collegato alla mostra “Artiste a Roma. Percorsi tra Secessione, Futurismo e Ritorno all’Ordine” nel Casino dei Principi di Villa Torlonia.

Mari Grandinetti Mancuso, Astrazione di natura morta (Natura morta)

È ancora sostenibile una Storia dell’arte del Novecento priva di riferimenti alle molte artiste che pure sono esistite e hanno contribuito a scriverla?

Su questo interrogativo retorico si è aperta la conferenza moderata da Claudio Crescentini (Soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali), con introduzione di Federica Pirani (Direttrice della Direzione Patrimonio artistico delle Ville Storiche) e con gli interventi delle docenti: Maria Grazia Messina (già docente di Storia dell’arte contemporanea, Università di Firenze), Laura Iamurri (docente di Storia dell’arte contemporanea, Università Roma Tre) e Raffaella Perna (docente di Storia dell’arte contemporanea, Sapienza Università di Roma).

L’iniziativa è in dialogo con la mostraArtiste a Roma. Percorsi tra Secessione, Futurismo e Ritorno all’Ordine” con una grande selezione di opere (quasi 100) di artiste italiane e internazionali nella prima metà del ventesimo secolo, realizzata anche in collaborazione con gli studenti di Storia dell’arte della Sapienza.

L’incontro, facendo seguito ad uno precedente sulle artiste delle prime decadi del secolo scorso, è stato previsto dalle organizzatrici per fare luce sulle artiste della seconda metà del Novecento. Sin dalle prime battute è emersa la tematica dell’esclusione delle artiste donne da una Storia dell’arte contemporanea scritta dagli uomini. Partendo dall’estromissione storica delle donne dalle scuole d’arte, private quindi della formazione necessaria alla pratica artistica, Federica Pirani ha ricordato la mostra “L’altra metà dell’avanguardia 1910 – 1940” (fig.1) curata da Lea Vergine nel 1980 a Milano.

1 Lea Vergine, L’altra meta dell’ avanguardia

L’esigenza, in quegli anni di fermento, era quella di raccontare per la prima volta i maggiori movimenti artistici del ventesimo secolo attraverso il contributo sottovalutato delle artiste che vi parteciparono. Il tentativo di quella mostra di lasciare un’esperienza seminale appare oggi fallito, da qui il rinnovato impegno nella generale rivalutazione delle artiste contemporanee. Il tema è esemplificato dal dilemma denunciato dall’attivista Carla Lonzi, tra forte protesta e rischio di ghettizzazione, mantenendo però l’esigenza di testimoniare le esperienze politiche o artistiche.

Notevole è risultato lo sforzo da parte delle studiose per realizzare tale progetto, poiché tra le difficoltà vi è stata quella di trovare le fonti per lo studio di molte artiste. Maria Grazia Messina, nell’avvertire oggi il rischio di una deriva inflazionata del femminismo e di una sua riduzione a moda, ha sottolineato l’importanza della figura artistica di Carla Accardi e del suo lavoro sugli stereotipi e il politicamente corretto, menzionando la recente mostra “Unica. Sei storie di artiste italiane, Carla Badiali, Carol Rama, Giosetta Fioroni, Tomaso Binga e Maria Lai” (curata dalla stessa Maria Grazia Messina).

2 Legarsi alla montagna

Il tema centrale è quello della solitudine di queste artiste, costrette a lottare contro una duplice discriminazione: in quanto donne e in quanto artiste. Giosetta Fioroni, tacciata di sentimentalismo e malinconia, è un’artista pop che critica la donna Glamour, Carol Rama nelle sue tele con tracce di corpi arsi dal Napalm esprime temi forti, dando vita a ciò che Edoardo Sanguineti definirà “l’informe dell’inconscio”. Infine, Maria Lai con la densa simbologia del filo, ad un tempo elemento di fragilità e di resistenza, oppure legame che spezza la solitudine, conferisce un fondamentale avvio al delineamento del concetto di relazionalità (fig. 2), trasversalmente indagato da altre artiste.

Laura Iamurri ha rimarcato la peculiarità e l’eccentricità del binomio Accardi – Lonzi che si esprimeva, certo, in un posizionamento politico femminista, ma per Accardi ciò doveva rimanere al difuori della sua arte astratta, che manteneva un linguaggio di ricerca rifiutando l’incasellamento in arte politica. È stata ricordata Ploti Ricciardi e la sua dirompente iniziativa di portare un collettivo femminista negli spazi di Mappa 72 a Palazzo Taverna a Roma nell’ambito degli Incontri internazionali d’arte (1972), dove venne vietato l’ingresso al pubblico maschile.

3 Il complesso di Michelangelo

Inoltre, è stato menzionato l’impegno editoriale di Simona Weller nel fondamentale testoIl complesso di Michelangelo” (fig. 3) che racchiude le problematiche fondamentali delle artiste donne nonché il mirabile tentativo di far emergere artiste sconosciute.

Raffaella Perna ha evidenziato il problema di come far emergere figure di artiste donne all’interno di una Storia dell’arte scritta da uomini, che pertanto risente inevitabilmente della disparità di genere prescindendo dall’innegabile valore artistico del lavoro di tali personaggi femminili. Il ritardo pure esistente, denunciato da Perna, degli studi di genere in Italia non dovrebbe trasformarsi in un complesso di inferiorità nei confronti della cultura statunitense, a causa della profonda diversità dell’esperienza del femminismo italiano. È stata citata Laura Grisi, pittrice e pioniera della videoarte, ascrivibile alla Pop Art, la quale nonostante il rilevante lavoro su grandi temi come l’Infinito nel tempo e nello spazio, è stata quasi esclusivamente ricordata per la sua bellezza fisica. Un oblio dal quale oggi si cerca di farla riemergere. Le grandi questioni discusse nella conferenza rimangono aperte e attuali; basteranno nomi nuovi di artiste per scardinare la Storia dell’arte tradizionale?

Gabriele PANDOLFELLI  Roma 29 Settembre 2024