di Beatrice BUSCAROLI
Astrazione come resistenza
A chi, o a che cosa si deve “resistere”?
Già a partire dal titolo, il volume di Roberto Floreani – Astrazione come resistenza, De Piante Editore, Varese, pp.376, euro 25 – ci invita a considerare l’universo dell’arte contemporanea come un campo di battaglia, come un luogo di scontro – e non solo di confronto – dove niente è scontato. Non è un “pranzo di gala”, ma una lotta il cui esito non è scontato.
Sun Zu, autore dell’ Arte della guerra, scriveva che “le armi sono strumenti diabolici, cui si ricorre se non ci son alternative”. E questo il celeste generale cinese lo scriveva 2500 anni fa. Il che è un po’ come dire: le guerre migliori si vincono senza schierare gli eserciti. Ma per Floreani l’avvertimento di Sun Zu non vale: oggi occorre fare chiarezza, oggi occorre “resistere”.
Ma perché l’incitamento alla resistenza è rivolto all’ “astrazione”?
Per comprendere l’invito occorre addentrarsi nell’intrico delle riflessioni di Floreani che, in ogni capitolo, definisce altrettante ipotesi che ci avvicinano al concetto stesso di “astratto”.
Si tratta, in fondo, di una sorta di diario, di “diario intimo”, che un poco alla volta ci invita a considerare come la resistenza immaginata dall’autore non si concentri sulla stantia, “passatista” contrapposizione tra astrazione e figurazione. Ogni sezione dell’opera è un tentativo di approssimazione al concetto stesso di astrazione, attraverso il quale ricercare l’origine di qualche cosa che concerne una crisi innescata già alla fine dell’Ottocento. Una crisi che ha a che vedere con il tema della rappresentazione, della mimesis.
Una prima avvisaglia la fornisce Paul Gauguin, nel 1895:
“grazie ad accostamenti di linee e di colori, con il pretesto di temi tratti dalla vita o dalla natura, riesco a ottenere delle sinfonie, delle armonie, che mi fanno pensare come mi fa pensare la musica”.
Accostare linee e colori, con il pretesto … E’ il pretesto che fa la differenza: ogni opera, nella sua stessa essenza “spirituale”, altro non è che accostare linee e colori. Ecco l’astrazione: una convenzione, libera, sottile, spudorata.
Poco importa, penso, se il primo astrattista sia stato Kandinskij, Ciurlionis, Kupka, o, forse – come orgogliosamente rivendicava – Ginna con i suoi Contrasti cromatici del 1908. Floreani propende per una soluzione ardita: la prima vera scaturigine dell’astrazione – attorno alla quale si definiscono i cardini della “resistenza” – è quella sollecitata da Giacomo Balla, nel 1912 con le Compenetrazioni iridescenti, motore primo dell’investigazione sulla manifestazione stessa della luce. Una luce che è all’origine non solo delle nostre percezioni, ma dello stesso movimento spirituale che consente alla pittura di prendere corpo.
Floreani ha, in effetti, un “nemico” contro il quale rivolgere la resistenza: è un nemico astuto, di cui occorre conoscere e smascherare le strategie (come per altro Sun Zu sempre consigliava, per evitare perdite eccessive e, soprattutto, di affrontare il nemico con armi “spuntate”). Si tratta del critico d’arte, di un certo critico d’arte: quel critico che rifiuta di “afferrare il vivente” – avrebbe detto Marc Bloch – come qualità sovrana del gesto artistico.
Perché la cattiva critica alimenta la cattiva arte, e la cattiva arte è quella che subordina l’esercizio della ricerca, l’impegno quotidiano, “inattuale”, che ci consente – con Malevic – di “trasfigurarsi nello zero delle forme per andare al di là dello zero”. Che subordina lo spirito, lo Zeitgeist, il carattere di cui l’arte si sostanzia – e qui è una delle radici dell’ “astrazione” – al consumo, alla visibilità immediata, alla pura “comunicazione”.
Si tratta di resistere a un contagio che sta avvelenando l’arte asservita “allo scintillio della visibilità obbligata”, incapace di fornire risposte a domande che non sono ancora state formulate.
L’arte è proprio questo esercizio impossibile. Non una massa di merci in vendita, non un’arte da asta o da Biennale, non il racconto di un naufragio che produce un gesto servile, ma gesto che rende visibile l’idea, lo spirito e la sua bellezza.
Floreani, inattuale, rivendica attraverso questo diario di letture che si rincorrono attraverso l’arte di un secolo, del “secolo breve” e dei suoi invitabili postumi odierni, la necessità di resistere alle lusinghe di un’arte che si prosciuga nell’evento comunicativo, nell’evidenza dell’ hic et nunc. Dove tutto è trasparente … come il mercato.
Ma l’arte, quella vera, “astratta”, è un’altra cosa. E deve resistere.
Roberto Floreani (Venezia 1956) inizia l’attività espositiva nel 1981 dopo la laurea in Economia presso l’università di Padova. Al suo attivo conta più di 80 personali, di cui oltre 20 in spazi museali, anche all’estero. Nel 2004 partecipa alla XIV Quadriennale di Roma, nel 2009 rappresenta l’Italia alla LIII Biennale di Venezia nell’ omonimo Padiglione. È considerato uno degli astrattisti di riferimento della sua generazione, presente nelle collezioni permanenti di numerosi musei e nelle collane dei principali editori. Appassionato studioso di Futurismo, ha scritto numerosi saggi tra cui, I futuristi e la Grande Guerra (Campanotto, 2015) e Umberto Boccioni. Arte-Vita (Mondadori Electa, 2017
Beatrice BUSCAROLI Bologna 20 Febbraio 2022