Autenticità dell’opera d’arte: azione di annullamento e azione di risoluzione.

di Leonardo ROCCO

Autenticità dell’opera d’arte: azione di annullamento e azione di risoluzione

  1. Premessa.

La verifica dell’autenticità è senza ombra di dubbio il momento cruciale nell’acquisizione dell’opera d’arte. È difatti fondamentale, per chi acquista un’opera d’arte, condurre una due diligence non solo sulla provenienza, sullo stato di conservazione e sulla presenza di una eventuale dichiarazione d’interesse culturale che ne possa limitare la circolazione ma, in particolar modo, sulla sua autenticità.

Perciò la prima domanda che ci dobbiamo porre è: qual è il significato di “autenticità”?

La risposta può desumersi a prima vista per esclusione dalle condotte criminose di contraffazione, alterazione o riproduzione; in altri termini può sostenersi che un’opera è autentica quando non risulti contraffatta, alterata o riprodotta e quando non ha subito alcuna manomissione. Ciò posto, il concetto di autenticità di un’opera è indissolubilmente legato al suo autore, che creandola l’ha resa autentica e unica.

Tuttavia può accadere che un’opera ritenuta autentica o, meglio, di un determinato autore, risulti in seguito di altro artista (spesso si verifica con l’arte antica), oppure, persino contraffatta. Da qui la necessità da parte del legislatore di introdurre una norma che obblighi il venditore professionale al rilascio di attestati di autenticità e provenienza.

Ma nell’eventualità che un’opera venga dichiarata non autentica dopo il suo acquisto, quali sono i rimedi previsti dalla legge a tutela del malcapitato acquirente?

In Italia può essere proposta, nella sede giudiziaria competente, l’azione di annullamento per errore e/o l’azione di risoluzione per inadempimento (aliud pro alio).

  1. Obbligo di rilascio di attestati di autenticità e provenienza.

A tutela del compratore l’art. 64 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio disciplina l’obbligo per chi esercita attività di vendita al pubblico, di esposizione ai fini di commercio o di intermediazione finalizzata alla vendita e, comunque, attività di vendita abituale delle opere di pittura, scultura, grafica, di oggetti d’antichità o d’interesse storico e archeologico, di consegnare al compratore la documentazione che ne attesti l’autenticità o almeno la probabile attribuzione e la provenienza.

In mancanza di tale documento, il venditore deve rilasciare una dichiarazione contenente tutte le informazioni disponibili sull’autenticità o la probabile attribuzione e provenienza.

Ai fini della predisposizione dell’attestato non sono previste formalità di alcun tipo, esso può provenire anche da un terzo (si può trattare ad esempio di un expertise). La disposizione in commento responsabilizza di fatto i venditori professionali di opere d’arte, imponendo loro un obbligo di informazione trasparente ed adeguata alle condizioni dell’acquisto.

  1. Sviluppo giuridico sul tema.

La qualificazione giuridica della vendita di un’opera d’arte non autentica è stata oggetto nel corso degli anni di un ampio dibattito da parte della dottrina e della giurisprudenza, che hanno tentato di preservare la peculiarità della commercializzazione dei prodotti artistici. Bisogna infatti considerare l’aleatorietà di tale contratto, dovuta in taluni casi dall’insanabile incertezza sull’esatta paternità di determinate opere d’arte, specialmente quelle antiche, dove le attribuzioni sono affidate al giudizio degli studiosi e alle loro personali opinioni. Si racconta che Federico Zeri sostenesse paradossalmente l’erroneità di ogni attribuzione, poiché siamo a conoscenza solamente di una piccola parte dei pittori dei secoli passati e, di conseguenza, ogni riconoscimento non potrebbe che essere parziale e aleatorio.

Se in un primo tempo la giurisprudenza prevalente riteneva che il rischio di acquisto di un’opera non autentica ricadesse sull’acquirente, successivamente l’orientamento è mutato, attribuendo all’autenticità il valore di elemento essenziale dell’oggetto del contratto, nella misura in cui essa abbia inciso sull’accordo tra le parti o sia stata dichiarata o garantita dalla parte venditrice. La vendita con garanzia di autenticità, rivelatasi successivamente falsa, a seconda di come si è determinata la volontà dei contraenti può essere ricondotta nella cosiddetta vendita di aliud pro alio oppure nell’ambito dell’errore del consenso.

  1. Azione di annullamento e azione di risoluzione (aliud pro alio).

Tutto ciò premesso, le due azioni esperibili in tale circostanza sono:

  1. l’azione di annullamento del contratto per errore, ritenendosi esso concluso per effetto di una falsa rappresentazione dell’identità e delle qualità essenziali dell’oggetto del contratto al momento della sua conclusione, da proporre entro cinque anni dalla scoperta dell’errore, nel caso in cui l’autenticità non sia stata garantita espressamente nel contratto. Il tal caso può richiedersi esclusivamente la restituzione del prezzo pagato.
  2. l’azione di risoluzione per inadempimento sul presupposto che, nel caso in cui l’autenticità dell’opera sia stata, invece, garantita, la vendita di opera d’arte non autentica costituisca un aliud pro alio, cioè il caso in cui viene consegnato un bene completamente diverso da quello pattuito. Tale azione deve essere proposta nell’ordinario termine di prescrizione decennale e potrà essere richiesto, oltre alla restituzione del prezzo pagato, anche il risarcimento del danno per il maggior valore che l’opera avrebbe avuto se fosse stata autentica. Il termine di prescrizione del diritto dell’acquirente alla risoluzione del contratto e al risarcimento del danno, derivante dalla vendita di aliud pro alio, decorre non dalla data in cui si verifica l’effetto traslativo, ma dal momento in cui, rispettivamente, ha luogo l’inadempimento e si concreta la manifestazione oggettiva del danno, avendo, cioè, riguardo all’epoca di accadimento del fatto lesivo, per come obiettivamente percepibile e riconoscibile, e non al dato soggettivo della conoscenza della mancata attuazione della prestazione dovuta e del maturato diritto risarcitorio da parte del creditore, conoscenza che potrebbe essere colpevolmente ritardata pure per incuria del medesimo titolare del diritto (Cass. Civ. sez. II, 25/01/2018, n.1889)[1].

L’inquadramento dell’una o dell’altra fattispecie non deriva, pertanto, da rigide e tassative classificazioni, ma dal concreto atteggiarsi della volontà dei contraenti. Infatti, sarà necessario valutare se nel caso specifico le parti abbiano implicitamente o esplicitamente dedotto in contratto la paternità dell’opera quale oggetto dello stesso, facendo sì che nel caso di accertata difformità tra risultato traslativo programmato e risultato traslativo effettivamente realizzato sia esperibile l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento; d’altro canto qualora la paternità dell’opera sia stata considerata un elemento incidente sul processo di formazione della volontà negoziale, si ricadrà nella fattispecie di annullamento del contratto per vizio del consenso.

In sede di azione di risoluzione del contratto l’attore dovrà dimostrare innanzitutto l’esistenza dell’obbligazione, cioè che l’autenticità dell’opera sia stata pattuita esplicitamente o implicitamente ovvero garantita dalla controparte e, successivamente, l’inadempimento, cioè la mancata corrispondenza tra l’opera dedotta in contratto e quella effettivamente a lui trasferita.

Al fine di ottenere il risarcimento del danno egli dovrà poi dimostrare l’effettiva esistenza del medesimo e l’effettiva sussistenza della differenza tra il prezzo pattuito e il valore che la cosa avrebbe avuto se autentica, essendo possibile il ricorso a criteri equitativi per la liquidazione del danno nel caso di difficoltà di tradurre la suddetta plusvalenza in un preciso ammontare.

D’altro lato, per evitare la condanna al risarcimento conseguente all’eventuale risoluzione del contratto, il venditore-convenuto dovrà provare che l’inadempimento non è a lui imputabile ex art. 1218 c.c.

Come rilevato dalla dottrina, infatti, l’alienante può liberarsi dall’obbligo di risarcimento del danno dando prova della propria non imputabilità nella violazione degli obblighi contrattuali. A quest’ultimo riguardo, si evidenzia che l’art. 1494 c.c. prevede in capo al venditore una presunzione di conoscenza dei vizi della cosa tale che l’obbligo di garanzia di autenticità può essere escluso solo quando il venditore fornisca prova liberatoria di avere ignorato i vizi stessi senza colpa. Si tratta di un criterio di individuazione della colpa più rigoroso rispetto a quanto richiesto dall’art. 1176 c.c. (diligenza del buon padre di famiglia).

In relazione a quest’ultimo aspetto, l’obbligo di consegna degli attestati di autenticità di cui all’art. 64 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio rappresenta un elemento fondamentale per l’effettiva individuazione della responsabilità colposa del venditore.

In sede di domanda di annullamento, invece, l’attore dovrà dimostrare l’errore in cui sia incorso, nonché l’essenzialità e riconoscibilità del medesimo nei termini in cui la controparte, usando la normale diligenza, avrebbe potuto e dovuto accorgersi della falsa rappresentazione della realtà che nel momento della formazione del consenso l’altra parte incorreva. Il venditore, per resistere alla domanda potrà negare la sussistenza dell’errore ovvero dei suoi requisiti ed in particolare della riconoscibilità.

Ovviamente, la mancanza di autenticità invocata dall’acquirente deve essere basata su condizioni concrete e non astratte affinché il giudice possa accogliere la domanda di risoluzione o di annullamento del contratto di compravendita.

Per ultimo, vale la pena menzionare l’eventualità che un’opera, verificata la paternità dell’autore diversa da quella ritenuta in sede di conclusione del contratto, abbia acquisito in tale occasione un valore considerevole e maggiore di quello originariamente creduto, ad esempio perché di autore più quotato, le cui opere hanno un valore di mercato superiore.

L’unica possibilità per il venditore in tale evenienza sarà agire invocando l’errore-vizio di cui all’art. 1429 n. 2 c.c., richiedendo la caducazione degli effetti del contratto e la restituzione dell’opera venduta. Va osservato come dottrina autorevole abbia comunque identificato l’errore quale falsa rappresentazione della realtà solo se di tale realtà si posseggano coordinate certe, tali da permettere di definire oggettivamente l’errore.

Ma si sa, quando parliamo di arte, siamo di fronte ad un settore contaminato da profonde incertezze e in continuo mutamento.

Leonrado ROCCO  Roma  31 Luglio 2022

NOTE

[1] La massima ufficiale, e conforme ad un consolidato orientamento della S.C., viene enunciata con riferimento all’acquisto di un’opera d’arte rivelatasi falsa. Alla fattispecie viene ritenuta applicabile non già la disciplina dei vizi redibitori, ma quella dell’aliud pro alio. L’inadempimento risiede, infatti, nella violazione, da parte del venditore, dell’obbligazione di trasferire al compratore il diritto su opera d’arte determinata con riferimento ad un elemento specifico di identificazione, di carattere sostanziale, quale quello attinente al suo autore (Cass. civ., 23 marzo 2017, n. 7557; Cass. civ., 8 giugno 2011, n. 12527; Cass. civ., 1° luglio 2008, n. 17995; Cass. civ., 26 gennaio 1977, n. 392; Cass. civ., 11 marzo 1974, n. 639). Per conseguenza, l’azione non si prescrive nel termine di un anno dalla consegna della cosa, né vi è termine di otto giorni dalla scoperta per denunciare il vizio (come invece ai sensi degli artt. 1490 ss. c.c.), rimanendo piuttosto soggetta esclusivamente all’ordinario termine di prescrizione decennale. La Corte ribadisce, quindi, che, al fine di determinare il dies a quo di decorrenza della prescrizione dell’azione di risarcimento del danno contrattuale, occorre verificare il momento in cui si sia prodotto, nella sfera patrimoniale del creditore, il pregiudizio causato dal colpevole inadempimento del debitore.