di Giorgia TERRINONI
Diversi giorni fa si è riacceso un tormentone artistico: finalmente l’identità di Bansky – l’uomo che nasconde la testa dentro un sacchetto di carta (ovviamente riciclabile!) – sembra essere stata svelata
Infatti, durante una trasmissione radiofonica, uno sconsiderato dj – si tratta di Goldie, ovvero il guru della drum and bass – si sarebbe lasciato sfuggire un nome proprio mentre parlava (chissà perché) del marketing che ruota intorno all’arte di Banksy. Ebbene, il nome incriminato sarebbe Robert. Robert è un nome assai comune – ma, guarda caso – si sposa perfettamente con l’ipotesi per cui Bansky sarebbe in realtà Robert 3D Del Naja dei Massive Attack.
Tale ipotesi, pubblicata circa un anno fa sul Daily Mail, era stata avanzata da un tal Craig Williams, studente di giornalismo e appassionato di musica. Secondo le indagini condotte da Williams, alcuni graffiti di Banksy sono apparsi nelle stesse città in cui i Massive Attack hanno suonato o registrato. E ovviamente nello stesso periodo. L’inchiesta si alimenta di altri fatti concomitanti! Bansky e i Massive Attack sono entrambi originari di Bristol; inoltre Robert Del Naja, come pure Goldie il chiacchierone, è stato legato negli anni Ottanta al mondo dei graffiti. Ora, siccome sembra leggermente improbabile che Del Naja abbia potuto condurre in parallelo – e senza mai commettere neanche una svista – entrambe le attività, Williams ha leggermente modificato l’ipotesi iniziale. Dietro il nome di Bansky non ci sarebbe solo 3D, ma un vero e proprio collettivo di writers.
Ovviamente, il musicista ha smentito affermando che lui e Bansky sono solo buoni amici. Dal canto suo, Bansky ha spesso espresso ammirazione nei confronti dei Massive Attack. Niente di strano in questa reciprocità. Uno degli artisti più noti al mondo. Una band di culto.
Nel corso degli anni sono fioccate le ipotesi circa l’identità dell’artista, alcune sono state più credibili o interessanti di altre. Forse è vero che Bansky e Robert Del Naja sono la stessa persona. Ma perché c’interessa tanto smascherare Bansky, risalire a una sua verosimile identità? In realtà, sappiamo perfettamente chi è. E lo sappiamo anche se continua a nascondere il volto dentro un sacchetto di carta.
Bansky è un artista.
Egli ha verosimilmente iniziato la sua attività negli anni Ottanta a Barton Hill, un distretto disagiato di Bristol. Bansky però deve avere un’estrazione diversa e proviene da tutt’altra zona della città. Ha frequentato Barton Hill perché questo è stato uno dei centri della prima street art europea, grazie anche all’attività di John Nation che ha visto nei graffiti un’opportunità espressiva e non solo un atto di vandalismo. E che ha trovato il modo di mettere a disposizione di ragazzi talentuosi ma un po’ sbandati uno spazio all’interno del centro giovanile del quartiere. In quest’ambiente i graffiti hanno proliferato, i giovani writers si sono osservati, esercitati, imitati e scontrati a suon di segni. Anche Bansky ha bazzicato il Barton Hill Youth Center, firmandosi talvolta Robin Banx – un diminutivo storpiato di robbing banks (rapinare banche) – ironico, ma troppo lungo per essere scritto su un muro.
A questi anni risale anche l’intuizione dell’uso dello stencil. L’artista capisce di dover ridurre i tempi di realizzazione dei suoi graffiti, anche perché la street art è un’attività illegale e particolarmente perseguita nel mondo anglosassone. L’uso dello stencil per Bansky non ha una funzione puramente strumentale, ma anche una valenza politica. I muri cittadini di tutto il mondo sono stati tappezzati di slogan rivoluzionari e pacifisti, parole scritte con lo stencil, veloci da realizzare e d’inequivocabile lettura.
Le immagini che egli realizza in questi primi anni hanno un carattere volutamente rozzo, primitivo, eppure sempre ironico, metalinguistico e, più o meno velatamente, politico. Pochissime sono quelle sopravvissute; però, ce n’è una conservata nell’atrio di uno studio di tatuaggi a Bristol. Qui, alcune vespe giganti armate sul dorso di monitor televisivi, assaltano un quadro che rappresenta un mazzo di fiori.
L’iconografia di Bansky – che comprende anche scimmie, topi, forze dell’ordine e figure più o marginali – è abbastanza fissa, in certa misura stereotipata e perfettamente riconoscibile, eppure sempre versatile. O meglio, sempre al servizio di un messaggio diversamente attuale. Prendiamo i topi, ad esempio. Creature considerate prive di qualsiasi utilità, praticamente disgustosi e, quindi, maltrattati. Tuttavia, nella storia umana hanno rappresentato e possono forse ancora rappresentare una forza.
Un esercito di topi può mettere in ginocchio una comunità umana.
Per via di metafora, i significati sono molti!
Dalla fine degli anni Novanta Bansky è sempre più spesso presente a Londra e, a breve, anche nel resto del mondo. In questa fase, inizia a difendere strenuamente il proprio anonimato. È probabile che all’origine di quest’atteggiamento vi sia la necessità di sottrarsi alle forze dell’ordine, come pure il rifiuto di una riduttiva identificazione dell’artista con la propria opera. In questo periodo, le opere iniziano ad assumere il carattere di azioni composite e corali. Nel 2001, con altri street artists, si appropria momentaneamente di un tunnel in Rivington Street e ne ridefinisce lo spazio. Nel 2003, in un magazzino dismesso di Hackney, installa la Turf War, una fiera, un macabro carnevale. Parallelamente, iniziano le incursioni nei musei. In una sala della Tate Bansky riesce ad appendere un suo lavoro, passando del tutto inosservato. Si tratta di un modesto dipinto a olio trovato in un mercato di Londra e che rappresenta una scena rurale. Su questa immagine è intervenuto dipingendo con lo stencil i nastri della polizia che servono a delimitare una scena del crimine (Crimewatch UK Has Ruined the Countryside For All of Us). Al MET di New York riesce a introdurre un piccolo ritratto ottocentesco che raffigura una donna il cui volto è stato modificato dall’aggiunta di una maschera antigas.
L’artista ha fatto incursione nei maggiori musei del mondo – quelli sorvegliatissimi – passando praticamente inosservato!
Nel 2005 ha iniziato a minare l’integrità della West Bank Barrier in Cisgiordania. Come molti di noi, Bansky non ha potuto niente contro quell’orrendo muro. Ma, a differenza di quasi tutti noi, egli è riuscito ad aprirvi delle crepe metaforiche, fatte di bambini che, per aggirarlo, volano aggrappati a dei palloncini. O che immaginano, oltre il muro, un mondo senz’altro migliore. Lo scorso 20 marzo, a Betlemme, ha inaugurato il Walled Off Hotel, l’albergo con la vista peggiore del mondo. Si tratta di un albergo in stile coloniale, all’interno del quale vi sono dieci stanze concepite come installazioni. Nella stanza chiamata Artist, per esempio, il muro che sovrasta la testiera del letto mette in scena una lotta con i cuscini; i protagonisti – qui si mescolano ironia e amarezza – però, sono un soldato israeliano e un manifestante palestinese. Scenic, invece, è la stanza che garantisce la migliore vista sul muro, mentre Budget offre l’esperienza di una notte in accampamento; mobili e accessori provengono tutti dalle caserme israeliane.
Dal 22 agosto al 27 settembre 2015, a Weston-super-Mare – una località balneare nel Somerset, situata a sud di Bristol – Bansky è stato l’animatore di un progetto grandioso, Dismaland. Definito come un parco giochi non adatto ai bambini (il breve spot che ne pubblicizzava l’apertura era straordinario), Dismaland è l’anti-Disneyland, dove dismal significa tetro, fosco, scadente e osceno. Al centro del lugubre parco si staglia lo spettrale castello di Cenerentola, un rudere di archeologia industriale circondato da un acquitrino melmoso dal quale emerge una Sirenetta disarticolata. All’interno del castello, Cenerentola – con tanto di carrozza e cavalli – è stata vittima di un incidente. La si vede mentre viene immortalata da una schiera di paparazzi che la illuminano a giorno a colpi di flash.
Tornando all’esterno, poco oltre il castello, un blindato antisommossa si adatta a diventare uno scivolo per bambini. Piccole imbarcazioni precarie cariche d’immigrati clandestini si dirigono verso Dover. Non è certo se arriveranno! Analogamente fosco è il destino dei pennuti della pesca magica, intrisi di petrolio. Tutto il carrozzone di Dismaland è stato in realtà anche una grande collettiva di artisti, con opere disseminate all’interno del parco.
Di quest’aspetto si è si parlato molto e anche malissimo. Come se Bansky non lo avesse mai fatto prima (pensiamo a Turf War del 2003). Come se non avesse continuato a farlo anche dopo. Come se i suoi graffiti fossero qualcosa di diverso da un’esposizione all’aperto.
Chiunque sia Bansky, egli è ovunque! Riesce sempre ad apparire nel posto giusto al momento giusto. E a scomparire, lasciando solo delle tracce. Quelle tracce sono le opere. Opere spesso effimere, come effimere sono le tracce.
Se viene voglia di protestare affermando che le sue opere sono banali, scontate e intrise di cultura popolare, è perché anche il mondo in cui viviamo è banale, scontato e intriso di cultura popolare. Anche se Lawrence Alloway e Andy Warhol dovrebbero averci insegnato che per usare bene la cultura popolare è necessario possedere una bella testa! Bansky è un supereroe con la bomboletta, appartiene al mondo in cui vive e ne combatte gli oltraggi a suon di segni e d’ironia. Sarà un supereroe un po’ vandalo, ma pur sempre un supereroe.
Quindi, vi prego, lasciategli la sua doppia identità. Continuate pure a indagare, ma non smascheratelo!
di Giorgia TERRINONI Roma luglio 2017