di Giorgia TERRINONI
Un paio di settimane fa sono andata a vedere la mostra su Banksy al Chiostro del Bramante. La visita è durata esattamente diciassette minuti, ma sarebbero stati circa tredici se i miei tempi non fossero stati scanditi dalle nuove regole che il COVID-19 c’impone.
Non mi aspettavo assolutamente niente da una mostra su Banksy.
Se non fosse stato per il fatto di scriverne, non ci sarei andata. Chi mi conosce, conosce anche la mia passione per l’artista inglese. Ora, passione non è una parolaccia, anche se a critici e storici dell’arte fa storcere il naso; tuttavia, io credo che la passione sia un coacervo impetuoso che si addice molto all’arte. Quindi sto per denigrare la mostra e il fenomeno sociale che l’accompagna, non Banksy.
Partiamo da alcuni presupposti:
- al Chiostro del Bramante non si espone mai arte, si vende intrattenimento low cost;
- fare una mostra su Banksy non ha alcun senso.
Chiarito ciò, sarà più facile passare oltre! Nel testo che accompagna l’esposizione, all’inizio, si legge:
«Oltre 100 opere, in un percorso espositivo rigoroso, raccontano il mondo di Banksy. All’interno dell’architettura cinquecentesca del Chiostro del Bramante, a Roma, trova spazio l’artista “sconosciuto” che ha conquistato il mondo grazie a opere intrise di ironia, denuncia, politica, intelligenza, protesta. Da Love is in the Air a Girl with Balloon; da Queen Vic a Napalm, da Toxic Mary a HMV, dalle stampe realizzate per Barely Legal, una delle più note mostre realizzate, ai progetti discografici per le copertine di vinili e CD».
Mi ha colpito l’uso del termine “rigoroso” perché di rigoroso, a parte la linea del tempo, nel percorso espositivo non c’è assolutamente nulla. E questo perché il lavoro di Banksy è sostanziato dall’impermanenza quindi, se gli ideatori avessero voluto essere davvero rigorosi, non avrebbero dovuto costruirci sopra proprio nessuna mostra. A quei giovani e meno giovani che dovranno prenotare e poi fare anche la fila per entrare al Chiostro a visitare un prodotto commerciale scadente e mal illuminato, mi viene voglia di suggerire di guardarsi intorno sperando di trovarlo per strada o per mare un intervento di Banksy.
Insomma, è da oltre un secolo che Marcel Duchamp e Man Ray – artisti per certi versi intercambiabili – ci hanno regalato la possibilità di fare a meno dei luoghi comuni dell’arte … ma a noi piace restarci impantanati dentro! Durante la visita, davanti a me, c’erano due cinquantenni anglosassoni che guardavano la stampa della bambina con il palloncino con un misto di ammirazione e meraviglia, condite da un’inevitabile nota sentimentale. Mi hanno fatto lo stesso effetto di quelli che sostano interi minuti davanti all’orinatoio di Duchamp. Povero Marcel, per farsi capire ha anche dovuto spiegarlo per iscritto, che in arte può contare solo l’idea! A guardare con attenzione l’orinatoio si potrà al massimo rilevare che la porcellana è un po’ ingiallita o segnata, ma da quell’oggetto ormai obsoleto non verrà fuori un disegno preparatorio o una velatura pittorica.
Non si possono guardare Duchamp, Warhol e Banksy come si guarda Raffaello perché non si vedrà mai niente.
L’arte contemporanea rende necessario spostare quel sottile quanto pesante velo di Maya di cui parlava Schopenhauer.
Poi, se vogliamo affrontare la questione della nota sentimentale che spesso si associa alla bambina, allora arriviamo al demenziale puro. Facciamoci stampare una maglietta con la riproduzione dello stencil, compriamoci un quaderno, facciamoci pure un tatuaggio sul braccio, ma siamo degli orchi se guardiamo all’irreparabile perdita dell’innocenza mettendo gli occhi a cuoricino! Non è un caso che, in occasione di un’asta da Sotheby’s, Banksy abbia finalmente e letteralmente fatto a pezzi Girl with balloon. E invece, appena entrati al Chiostro, ci sbattono davanti la ragazzina in formato gigante e illuminata come un’icona. E davanti a lei i due cinquantenni di cui sopra non si sono presi la mano e dati un bacetto è sempre perché le norme anti-Covid (!) non lo permettono.
Banksy, chiunque sia, è a mio avviso uno dei pochissimi artisti molto noti ma di valore in circolazione. È uno che rovista nella spazzatura, apre i sacchi dell’immondizia e lascia i rifiuti in strada. Guardate, sembra dire! La spazzatura l’avrete anche messa fuori dalla porta, ma è roba vostra, vi riguarda! Ad essere sincera, penso che con l’età stia diventando sempre meno vandalo e un po’ più buonista – il che un po’ mi dispiace – ma c’è ancora qualcosa di molto potente in quello che fa.
Probabilmente molte delle persone che sono andate o andranno a vedere la mostra non sanno che da oltre un anno c’è una nave che batte il Mediterraneo alla ricerca di migranti da salvare. Quella nave porta il nome di una coraggiosa donna francese, Louise Michel, che ha trascorso la vita a battersi contro le disuguaglianze. Ora, è Banksy che paga il lavoro svolto dalla Louise Michel e lo fa con i soldi guadagnati attraverso la riproduzione delle sue opere ispirate alla crisi dei migranti. Il punto non è che Banksy è ricco e filantropo! Il punto è che ha scelto la via dell’arte come azione. La nave è appariscente, è verniciata di rosa e reca l’immagine di una bambina con un giubbotto salvagente. Non è artistica e nemmeno bella. Il suo essere appariscente funziona un po’ la spazzatura sparsa per strada e la Louise Michel sembra dire: fate qualcosa anche voi, non vi voltate ancora e ancora dall’altra parte!
Giorgia TERRINONI Roma 4 ottobre 2020