di Nica FIORI con un componimento in rima di Francesca Licordari
Ho sempre pensato che Villa Aldobrandini, pur non potendo competere con altre ville storiche romane per via delle modeste dimensioni, abbia un fascino particolare, perché si presenta come un vero e proprio giardino pensile nel cuore di Roma, con scorci mozzafiato sulla Torre delle Milizie, sul Vittoriano e sulle chiese di Santa Caterina e dei Santi Domenico e Sisto.
Per inquadrarla topograficamente, va precisato che questa villa, che deve il nome al cardinale romano Pietro Aldobrandini (1571-1621), occupa lo spazio trapezoidale compreso tra via Panisperna, largo Magnanapoli, via Nazionale e via Mazzarino, sulla quale si apre l’attuale ingresso al parco con una scenografica scalinata, realizzata nel 1938 da Cesare Valle.
Il toponimo del luogo, “monte” Magnanapoli, sarebbe dovuto, con molta fantasia, alla presenza di edifici termali di un certo Paolo (balnea Pauli), ed è legato anche al ricordo di un episodio leggendario che riguarda il poeta Virgilio, trasformato nel Medioevo in una sorta di mago. Rinchiuso in un carcere, dopo aver offeso la dignità di una ragazza che si era presa gioco di lui sospendendolo entro una cesta a metà di una torre, il poeta ne sarebbe fuggito disegnando una nave che avrebbe preso il largo verso Napoli. Secondo un’altra ipotesi il nome è dovuto alla presenza nell’area di costruzioni fortificate dei Colonna, che, essendo conestabili del regno di Napoli, si fregiavano del titolo di Magnus Neapolis Conestabilis. Più probabilmente potrebbe derivare da “Bannum Nea Polis”, ovvero “fortezza della città nuova”, una cittadella militare bizantina del IX –X secolo. Largo Magnanapoli conserva in realtà resti delle Mura Serviane, mimetizzati in un gruppo di palme, e l’imponente Torre delle Milizie, che faceva parte di un fortilizio fatto erigere dai Conti di Segni nel XIII secolo.
Nella villa Aldobrandini natura e architettura convivono in felice ma precario equilibrio, visto che i problemi legati alla sua manutenzione più volte l’hanno costretta a lunghe chiusure e al conseguente oblio. E pensare che un tempo ha ospitato anche una scuola elementare e, d’estate, gli spettacoli teatrali di Checco Durante!
Ogni volta che accedo a questo giardino, dopo aver salito la scalinata che si apre tra ruderi romani, provo un’emozione legata ai miei ricordi di tanti anni fa, quando per la prima volta scoprii un coperchio di sarcofago marmoreo con la raffigurazione di due personaggi acefali, probabilmente due sposi.
Un pezzo notevole, o almeno così mi parve, eppure sconosciuto, come del resto tutte quelle statue acefale che sembrano fantasmi di pietra. A me quei fantasmi dicevano qualcosa, e ancora oggi nel silenzio che ritrovo nelle ore assolate dei pomeriggi estivi, mi parlano dei fasti passati, quando nelle ville urbane era d’obbligo collezionare statue antiche, oltre alle piante rare le cui essenze balsamiche giovavano alla salute, e tra di esse giocare a nascondino, o dilettarsi con gli ospiti nei piaceri dell’otium.
Il luogo godeva un tempo per la sua posizione elevata di un’aria particolarmente pura, pertanto il duca Ippolito d’Este lo scelse per costruirvi una villa, acquistandone il terreno, ma morì senza aver realizzato il suo desiderio. In seguito il monte Magnanapoli fu acquistato da Giulio Vitelli, che nel 1575 commissionò a Carlo Lambardi la costruzione di un palazzo e di un ingresso con loggia soprastante, aperto sulle pendici del Quirinale, ma ben presto la proprietà passò alla Camera Apostolica e fu allora donata da papa Clemente VIII Aldobrandini al nipote Pietro, da poco creato cardinale.
Pietro Aldobrandini affidò all’architetto Giacomo della Porta il restauro del primo edificio cinquecentesco e del giardino (che comprendeva il padiglione d’angolo che si affaccia su largo Magnanapoli dal lato della chiesa di Santa Caterina): il tutto fu portato a compimento nel 1602, come risulta dalle cronache dell’epoca che riportano alla data del primo maggio una visita del papa per ammirare i lavori.
L’edificio principale, di sobrie linee, presenta una facciata su via Panisperna, situata a sinistra dell’ampio portale che introduce a un giardino privato, al quale fa da fondale il ninfeo di Venere, opera ottocentesca di Giovanni Battista Benedetti; un’altra facciata coronata da statue si trova sul lato ovest verso il giardino pensile. Il dislivello del terreno portò a un differente numero di piani: tre su via Panisperna, due sul lato ovest. Mentre il pianterreno era adibito ai servizi, i piani superiori erano sontuosamente decorati e soprattutto ricchi di opere d’arte.
La collezione di capolavori raccolta dal cardinale Aldobrandini comprendeva dipinti di Tiziano, del Correggio, del Parmigianino, ora dispersi in vari musei, e le celeberrime Nozze Aldobrandine (ora nella Biblioteca Vaticana), un dipinto murale databile al I secolo d.C. scoperto per caso sull’Esquilino da due “tombaroli” dell’epoca, che fu ammirato e studiato da Pietro da Cortona, da Rubens e molti altri artisti. Dopo la morte del proprietario la villa appartenne per un certo periodo ai Pamphilj, quindi ai Borghese e acquistò nuova importanza quando divenne sede del governatore francese di Roma, il conte Sextius de Miollis, tra il 1811 e il 1814. Dopo tornò nuovamente alla famiglia Aldobrandini fino al 1929, quando lo Stato, per evitare che fosse venduta a privati per fini speculativi, la acquistò destinando il palazzetto principale a sede dell’Istituto per l’Unificazione del Diritto Privato, mentre il giardino venne ceduto al Comune di Roma per fini di pubblica utilità.
La villa ha subito negli anni diverse modifiche, ma le maggiori sono state eseguite nel 1876, in occasione dell’apertura di via Nazionale. La proprietà, che arrivava fino al Palazzo Pallavicini Rospigliosi, venne drasticamente ridotta e lungo il muro di cinta del giardino, su via Nazionale, vennero costruiti due padiglioni gemelli (destinati inizialmente a coffee-house e aranciera), simili a quello tardorinascimentale già eretto dal Lambardi, mentre negli anni Trenta del Novecento fu aggiunto un nuovo edificio su via Panisperna (a destra del portone), opera di Marcello Piacentini.
Il giardino attuale non conserva più le statue antiche (sostituite da copie in resina), che lo ornavano, ma è sopravvissuto quel pregevole gruppo marmoreo che io chiamo “sarcofago degli sposi”.
Fino al 1929 vi erano anche le statue delle Stagioni, ora nella villa Aldobrandini di Frascati, che sono state riconosciute dal critico Federico Zeri come opera di Pietro e Gianlorenzo Bernini. Una serie di tortuosi vialetti circoscrivono le aiuole e una fontana circolare, risalente alla sistemazione data nel 1927.
Ciò che lo rende particolare, oltre agli affacci panoramici sulla Torre delle Milizie e sull’Angelicum, è la presenza di alberi d’alto fusto, tra cui un gigantesco platano e un maestoso Gingko Biloba (albero considerato un fossile vivente perché appartenente ad una specie presente sulla Terra già 250 milioni di anni fa), frammisti a molti esemplari di agrumi, a cespugli di mirto e gruppi di palme dalle foglie a ventaglio.
La rarità di alcune piante lo rende un vero e proprio orto botanico, come nel caso di un albero davvero singolare, l’Erithrina cristagalli, così chiamato per i fiori rossi che richiamano nella forma la cresta di un gallo, o il Lagerstroemia Indica, detto “albero di San Bartolomeo”, perché il tronco si squama come una pelle (san Bartolomeo venne scuoiato vivo) e oltretutto la fioritura ad agosto coincide con la festa del santo. Nella stagione primaverile sono notevoli le fioriture delle numerose camelie (spesso veri alberi più che arbusti), dislocate sul lato di via Nazionale e, dal lato di via Mazzarino, dell’acanto, la bellissima pianta invasiva che caratterizza diversi siti romani e la cui foglia è il motivo decorativo dei capitelli corinzi.
Dopo un lungo periodo di chiusura, il giardino è stato riaperto qualche anno fa in seguito a importanti interventi di manutenzione, eseguiti a cura della Sovrintendenza Capitolina, che hanno riguardato il restauro di alcuni pregevoli marmi antichi e delle basi che sorreggono le statue, la pulizia e la riattivazione delle fontane, la messa in sicurezza degli arredi instabili, il recupero degli elementi architettonici deteriorati dei padiglioni.
In area archeologica, gli interventi sono consistiti nella messa in sicurezza di murature e aree a rischio. La villa è stata dotata inoltre di un complesso sistema di videosorveglianza e allarmi antiintrusione che ne assicurano la copertura visuale completa.
Per riassumere le notizie principali sulla villa in modo spigliato, propongo la lettura di un componimento in rima di Francesca Licordari, funzionaria archeologa presso la Sabap per l’area metropolitana di Roma e la provincia di Rieti, che si diletta per hobby a scrivere amene poesie dedicate a monumenti e a personaggi della città eterna.
Nica FIORI Roma 4 luglio 2021
Villa Aldobrandini a Magnanapoli
di Francesca LICORDARI
Un’oasi di pace, ai più sconosciuta, / una villa da pochi veduta, / tra il traffico di Via Nazionale, / e le prime mura di una città fenomenale, / in quel Largo, che secondo la tradizione, / sarebbe stato una prigione, / di un poeta esperto di magia, / che verso Napoli sarebbe scappato via, / quel Virgilio, che per amor di una ragazza, / rimase appeso sulla torre nella piazza. / Imponente quella fortificazione, / ancora oggi dal muraglione, / si intuiscono i fasti del tempo passato, / quando il signor delle Milizie da tutti era rispettato.
Ma su quel parco pensile mi vorrei soffermare, / oltre che sul panorama che da lì si può ammirare, / con un importante cardinale, / che volle una villa trapezoidale, / un tal Pietro, di famiglia Aldobrandini, / che evidentemente s’intendeva di giardini, / lo stesso che a Frascati avea creato, / un complesso da tutti apprezzato…
Folta e rigogliosa la vegetazione, / fiori ed alberi d’eccezione, / di orto botanico si potrebbe parlare, / per la presenza di specie rare, / un Gingko Biloba, un platano gigante / e poi quel fiore assai intrigante, / che ricorda del gallo la cresta, / spicca per bellezza nell’urbana foresta, / anche S. Bartolomeo si può citare, / con quel tronco che si va a squamare. / Tra i viali e le palme puoi incontrare / statue che non sanno più parlare, / tutte della testa private, / le loro identità sono ormai dimenticate.
A colpire in particolare l’attenzione, / due sposi su un sepolcro a decorazione / e per chi fino ad ora ha pensato / che un tal sarcofago solo a Villa Giulia fosse conservato, / scoprirà qui che anche i Romani / avevano abili artigiani, / che sapevano il marmo lavorare, / le loro opere d’arte ci fanno meravigliare…
Non una voce, non un rumore, / passeggiare lì mette il buon umore, / e pensare che la villa era frequentata, /da bambini durante la ricreazione agognata, / lì si andava a scuola per studiare / o semplicemente per giocare, / quanti su quei sassi son cresciuti, / volavano via rapidamente i minuti …
Roma 4 luglio 2021