di Daniela CARDONE
Guillame Legros, l’artista francese più noto con lo pseudonimo di Saype, ha girato il mondo con l’opera Beyond the Walls, oltre i muri: due mani che si stringono e che rappresentano idealmente la più grande catena umana del mondo. Per cinque anni in cinque continenti diversi, da Parigi, dove l’opera è comparsa per la prima volta nel 2019, a Ganvié, un villaggio ‘galleggiante’ a sud di Benin in Africa. Una gigantesca stretta di mano, una nell’avambraccio dell’altra, un messaggio universale di solidarietà e amicizia dipinto su campi, prati, distese di sabbia con materiali biodegradabili al cento per cento. Non a caso, Beyond Walls è non soltanto al di là dei muri, al di là degli spazi urbani, ma è oltre i confini di ciascun paese, a suggellare una nuova speranza di solidarietà e di congiunzione umana.
L’immenso affresco lavorato sulla terra (Land Art) è emerso da ultimo nel villaggio galleggiante africano in Benin: tra le palafitte due mani uniscono il mondo, in un territorio martoriato e perseguitato. L’opera è stata realizzata sull’estensione di sabbia emersa, utilizzando circa settecento litri di pigmenti biologici e biodegradabili a base di carbone, gesso, acqua e ‘ingredienti vegetali’, due immense braccia che dall’alto massimizzano il valore simbolico di una stretta di mano a cui da più di un anno non siamo più abituati.
Saype – il cui pseudonimo (Say and Peace) è un’invocazione alla pace – ha concretizzato con le sue stesse opere l’idea che il ‘dovere’ di un artista sia l’attenzione per le cause umanitarie e soprattutto ambientali, trasferendo l’opera dalla street art alla Land art, il cui ‘campo d’azione’ diviene un prato o una distesa che potenzialmente ne declina a dismisura sia la forma sia la rappresentazione. Il lavoro pone naturalmente, un accento antifigurativo sul recupero del rapporto tra l’uomo e la terra, nella sua natura originaria. Nessuna minimizzazione delle espressioni e delle emozioni che confluiscono invece tutte nella forza e nel disegno di elementi corporei come le mani, nel vigore della stretta, nel simbolismo di una fisicità a cui Saype dà tutto il ruolo che le spetta.
E il passaggio dai muri alla terra è forse dettata anche da un’esigenza tecnica e artistica. Ci chiediamo infatti, se un’opera come Beyond Walls esca volutamente dalla città, dai muri della città, per diventare anti – urbana, per quanto il progetto abbia trovato una propria applicazione in città come Parigi o Torino. La questione è sicuramente legata a una predilizione per i grandi spazi, in una sincronia in cui l’estensione del campo o della terra va di pari passo con quella del valore umano.
Così com’è accaduto con la Spiral Jetty nel 2004, a Rozel Point, di Robert Smithson, o come accadde un pò di anni addietro negli anni Ottanta, con il Grande Cretto di Ghibellina di Alberto Burri: desolazione, assenza umana e ruderi compattati in un immenso Cretto bianco.
Beyond crysis, realizzato da Guillame Legros ancora in tempi di lockdown, emergeva invece dalle nevi delle Alpi svizzere. Un girotondo disegnato da una bambina, cui prendevano parte uomini, donne e bambini stilizzati: il primo test sulla neve per Saype che ha richiesto l’utilizzo di nuovi materiali e una salda pazienza per lavorare contro l’azione del gelo sulle sostanze adoperate. Allo stesso girotondo Saype ha aggiungo la gigantografia di una lanterna illuminata sulle nevi di La Clusaz, in Alta Savoia. La scultura delle medesime dimensioni, tutt’altro che minimaliste, emana sul manto nevoso lo stesso biancore irradiante che vorrebbe far luce sul lato oscuro dell’attuale pandemia.
Daniela CARDONE Napoli 9 maggio 2021