di Maria Teresa BENEDETTI
E’ con vero piacere e grande soddisfazione che ospitiamo questo importante contributo della Prof.ssa Maria Teresa Benedetti, rielaborazione di uno scritto -pubblicato in occasione della mostra dell’artista tenutasi al Vittoriano nel 2005-. dedicato al rapporto fra Munch e l’arte francese a lui contemporanea. La professoressa Benedetti è nota a tutti da tanti anni come una tra le più importanti ricercatrice e studiosa d’Arte in particolare del periodo che va dai Preraffaelliti al Simbolismo. La sua lunga carriera di docente, nonchè promotrice e organizzatrice di mostre ed eventi non è ovviamente sintetizzabile in questa sede; basti solo ricordare che oltre alla docenza è stata consulente e membro di comitati scientifici di vari istituti museali, nonchè Presidente della Sezione italiana dell’A.I.C.A (l’associazione dei critici d’arte), ; per la sua attività di studiosa della cultura artistica europea del secondo Ottocento e del primo Novecento, tradottasi in numerose pubblicazioni e mostre, è stata insignita nel 2005, in occasione della Giornata internazionale della Donna, dall’allora Presidente della Republica Carlo Azeglio Ciampi della onorificienza di Grande Ufficiale della Repubblica Italiana.
I soggiorni di Edvard Munch a Parigi, fra il 1885 e il 1908′, lo pongono a contatto con l’universo letterario e artistico postimpressionista e simbolista e, all’inizio del nuovo secolo, con le esperienze di Henri Matissee dei fauves. Una serie di suggestioni concorrono alla individuazione di quel linguaggio potente e autonomo, che diverrà per l’artista strumento di indagine delle esperienze psicologiche del profondo.
La sua pittura possiede, fin dall’inizio, il segno inquieto di una peculiare genialità e la percezione ottica della natura suggeritagli dai rapporti con l’arte francese è destinata a trasformarsi in deformazione espressionista. Ma l’uso della tecnica impressionista, della tache puntinista e, soprattutto, della linea cloisonniste sono passaggi importanti della sua esperienza.
Ripercorriamo rapidamente quell’intreccio molteplice di motivi, di analogie iconografiche e tecniche, di toni della sensitività che timbrano il percorso dell’artista e consentono di penetrare aspetti significativi della complessa cultura del periodo.
Nato nel clima della Bohème di Christiania, Munch è per la prima volta nella capitale francese nel maggio 1885. Vede gli impressionisti presso Durand-Ruel, registra la loro adesione alle minime variazioni della luce, prende ad amare le esecuzioni rapide e, tornatoin patria, dipinge ritratti che ricordano Manet‘. Alcune opere degli anni immediatamente successivi riflettono suggestioni e tecnica impressioniste. Ciò che lo colpisce è il carattere liberatorio di quel movimento, la capacità di captare un’energia vitale, di esprimerla attraverso il colore. La sua pennellata diventa luminosa, si accendono i colori puri e il “grido” della natura, che altrove sarà percepito con angoscia profonda, risuona di note insolitamente vivaci.
“Vidi i colori d’un colpo diversi, squillanti nell’aria; le facciate ocra vibravano … gli ombrelli erano rosso vivo e bianco … ebbi un’impressione di gioia”,
afferma il pittore a proposito di un suo dipinto del 1889, Musica, viale Karl Johan* (fig. 1).
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Di nuovo a Parigi nel 1890, lo vediamo saldare la tradizione impressionista con il paesaggio di atmosfera più specificamente nordico, tradurre non solo la luminosità tipica di un luogo, ma anche le sue ripercussioni di natura psicologica. Ciò è evidente nella veduta notturna de La Senna a Saint-Cloud (fig. 3), mentre nelle vedute diurne emerge l’interesse per l’ordine teorico ispirato al neoimpressionismo di Georges Seurat. Ulteriori esperienze legate alla divisione cromatica sono evidenti in Giorno di primavera sul viale Karl Joban (fig. 2), luogo destinato a diventare più tardi scenario notturno di una passeggiata di spettri (fig. 4). Il colore è steso su una tela non preparata, e qua e là si individuano tracce dell’applicazione della teoria dei complementari®
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La volontà di conciliare il tocco diviso con una esecuzione più nervosa ed espressiva si manifesta appieno in Rue Lafayette (fig. 5), che ripete una composizione di Gustave Caillebotte Un balcone, boulevard Haussmann (fig. 6).
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Munch accentua lo sfaldarsi delle immagini, introduce una tensione molto forte, determinata dal punto di vista, a picco sull’agitazione della strada’. Emerge, ancor più che nell’opera di Caillebotte, l’isolamento della figura principale e insieme la distanza fra il primo piano e le piccole sagome in basso, trattate con estrema rapidità. Come già con le vedute della Senna, Munch si misura con un archetipo della “Nuova pittura”, ma sottolinea ancora una volta le differenze. Del resto, è lui stesso a denunciare ciò che lo distingue dai modelli scelti nei primi soggiorni parigini:
“Sono stato impressionista all’inizio, ma a causa dei miei brucianti conflitti spirituali ed esistenziali… la scrittura impressionista non mi bastava più. Dovevo cercare un’espressione per ciò che agitava il mio spirito”
Componenti ineliminabili della sua natura lo destinano ad avvertire sempre di più il visibile come una massa dolorosa, che pesa su un nervo ottico alterato dall’ansia. Suo destino è di penetrare le inquietudini che devastano l’animo umano, narrare storie dolorose di incontri e di abbandoni, di solitudini e di smarrimenti, di posseduti e di perduti, che travolgono la magia del visibile nel vortice di una devastata interiorità. Il dipinto più originale del periodo, carico di ombra e di intensificazione espressiva, è Notte (cat. 5). Sulle orme di James McNeill Whistler, l’azzurro è usato per esprimere il peso di una tristezza che intorbida le sottigliezze dell’analisi cromatica.
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Alcuni contatti con il dipinto di Claude Monet, Un angolo di appartamento (fig. 7), non fanno che confermare la differenza fra il silenzio turbato dell’opera di Munch e la morbida dolcezza di quella monettiana.
Il buio della sera invade i due ambienti, ma in Monet risplende un primo piano animato da tende multicolori, che suggeriscono l’esistenza di una fonte luminosa nascosta.
Nel quadro di Munch la sagoma scura accanto alla finestra si distingue appena dalla densità cupa della notte, le uniche luci richiamano verso un mondo esterno, dal quale l’uomo appare escluso.
“Si dipingeranno esseri viventi, che respirano e sentono, che soffrono e amano. Avverto che lo farò, che sarà facile. Bisogna che la carne prenda forma, che i colori vivano”.
L’artista afferma così la necessità di penetrare realtà intime, di esprimerle con una partecipazione che coinvolga fin nelle più intime fibre. L’accento sulla sincerità si iscrive nel filo di una tradizione intellettuale nordica, la cui figura maggiore è Sören Kierkegaard, la percezione oggettiva dell’istante si arricchisce di influenze lungamente stratificate. In linea con l’affermazione di Hans Jaeger “scrivi la tua vita“, Munch compie, attraverso la pittura, un esercizio drammatico di introspezione, traccia una sorta di autobiografia dell’anima per immagini.
“Ci sono a Bruxelles e a Parigi – afferma il letterato polacco Stanislas Przybyszewski, riferendosi, oltre che a Munch a Maeterlinck e a Mallarmé – spiriti che hanno perseguito l’obiettivo dissennato di evidenziare le associazioni più rare e sottili dello spirito, le più segrete e intime espressioni dei sentimenti, che passano come ombre attraverso l’anima” 10.
Sono anni nei quali in tutta Europa realismo e naturalismo cedono al simbolismo. Il linguaggio della pittura rimanda sempre più a una dimensione “altra”, più evocata che definita. Fra il 1891 e il 1892, Munch soggiorna in Francia, a due riprese, e vi assimila soprattutto le influenze di Vincent van Gogh e di Paul Gauguin.
“Erano due tipi straordinari. C’era in loro un enorme primitivismo, un enorme spirito creativo, il passaggio dal realismo all’arte creata dall’uomo.”
La linea del cloison – tecnica che libera segni curvilinei e stesure cromatiche di superficie, inventata da Gauguin per operare una semplificazione arcaizzante, ereditata da Van Gogh e resa da lui materica, costruttiva, nell’ondulazione carica di colore fino alla follia – serve a Munch per intrecciare fra le figure e lo spazio del quadro una serie di andamenti e di legami. Avvolge l’essere umano, lo esclude, lo prolunga, lo àncora a ombre e ad aloni che lo imprigionano, stravolge le linee ritmiche dell’art nouveau, fa scomparire definitivamente ogni particolare legato alla verità ottica”.
Nasce una grande arte dello spirito, nella quale paesaggi e figure non sono che entità vibranti di uno stato d’animo uno stile modernissimo, decisivo per legioni di seguaci e di imitatori. All’epoca, il pittore elabora le sue idee sull’arte e sulla missione dell’artista. Intende esprimere un contenuto simbolico, che abbracci “intenzioni, idee, tentativi, cose non spiegate, concetti che non hanno ancora preso forma” 12. Scopre la presenza di profondità non precisabili e le rende attraverso forme semplificate, evocative di un mistero. Di nuovo a Parigi, dopo un soggiorno a Nizza, visita il Salon des Indépendants, che ospita opere di Van Gogh e, prima di tornare al suo Paese, l’esposizione di Gauguin nel foyer del Théâtre du Vaudeville, in occasione della rappresentazione de L’intrusa di Maurice Maeterlinck, in onore di Paul Verlaine.
Non a caso, Malinconia (Il battello giallo, cat. 14), opera iniziata nell’estate 1891 nella piccola città costiera di Aasgaardstrand in Norvegia, sembra riflettere, oltre allo spirito del cloisonnisme, il teatro di Maeterlinck e andamenti della poesia simbolista. Le forme dense, a grandi macchie, sono delimitate da contorni netti. Un volto ridotto a pochi segni, appare all’unisono con un paesaggio che riesce a dare concretezza visiva alla continuità desolata di un sentimento di vuoto, espresso dalla línea sinuosa della spiaggia, dalle striature di un cielo nuvoloso. La figura in primo piano è posta sul bordo della tela, mentre la coppia sul fondo deve considerarsi quale visione nata dall’immaginazione di uno spirito solitario, evocata dal suo raccolto tormento.
Si possono individuare una serie di riferimenti a una lunga tradizione nella storia dell’arte, ma è soprattutto il Cristo nel giardino degli ulivi di Gauguin (fig. 8), opera nella quale l’artista presta il suo volto al Cristo sofferente, che offre a Munch l’idea chiave per esprimere la sua disperazione.
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Disperazione analoga a quella dell’ibseniano Oswald degli Spettri 4
“La lunga spiaggia si incurva nel dipinto, per concludersi in una linea armoniosa. “E musica. – afferma Christian Krohg – Dobbiamo ringraziare Munch, perché la barca è gialla, se non lo fosse stata egli non avrebbe mai dipinto questo quadro. C’è qualcuno che abbia mai sentito nel colore un suono simile a quello?” 1s
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A Nizza, nel 1892, il pittore esegue la prima versione del Bacio (cat. 13), opera ripetutamente rielaborata, la cui atmosfera psicologica è ricca di ambiguità. Il gioco dei contrasti fra luce esterna e interna rende l’opposizione fra il mondo silenzioso della stanza, nel quale i due amanti si fondono, e la vita animata della strada. È una luce blu, diffusa, trattata con una tecnica che ne capta la vibrazione, ma lo sfaldarsi della sostanza cromatica non è più per l’artista elemento dominante. Egli è penetrato in una regione dove solo la necessità espressiva è regola di verità. Il tema trasmette una inquietudine, un’angoscia sotterranea: in Munch l’istante porta il segno dell’eternità. Probabilmente ha avuto notizia degli Alberi blu di Gauguin (fig. 9), dei suggerimenti di quest’ultimo al giovane Paul Serusier, quando lo invitava a usare un colore rispondente agli accenti della sua psiche.
Avverte una rispondenza con gli artisti del gruppo di Pont-Aven, che usano iconografie oniriche, considerano gli oggetti della natura come manifestazioni dell’invisibile, ritengono di irradiare, attraverso i loro dipinti, la luce di una necessità interiore. Analoga è la semplificazione delle linee, i contorni che chiudono, ma il colore ha un timbro diverso, più fondo e materico e ben più forte è l’intensità delle immagini.
Attraverso Ambroise Vollard si lega anche ai nabis che, sulla scia dell’esperienza di Gauguin, usano colori puri, forme compendiarie, traducono, attraverso l’arabesco lineare, il movimento e insieme lo stato d’animo.
Ma è soprattutto la visionarietà drammatica è l’espressività estrema della linea di Van Gogh che gli consentono di trasmettere gli sconvolgimenti del suo spirito. Racconta che modellandosi sull’artista olandese, aveva, per un breve periodo, dipinto sotto un sole ardente, senza nulla in testa, per sentirsi, durante l’atto creativo, all’unisono con la natura. Quella natura che, in anni successivi, farà intervenire direttamente nei suoi quadri, esponendoli alle intemperie, alla ricerca di una osmosi totale con essa.
L’opera più nota di Munch, L’urlo (fig. 11), risale all’autunno 1895 ed è realizzata a Berlino, ma la prima versione del tema, nota come Disperazione (cat. 19), era stata eseguita a Nizza l’anno precedente. Nella redazione definitiva il carico emozionale è fortemente accentuato, l’esplosione di un profondo disagio è espressa attraverso onde eccentriche e bande rettilinee a con-trasto, che raccontano l’urto improvviso dell’angoscia, capace di trasformare un tramonto in un incubo, mentre le forme del paesaggio sembrano risucchiare verso l’abisso. È il grido emesso dall’essere umano al momento della nascita, quando è gettato nel mondo; è il grido della morte di fronte alla quale, come la sorella dell’artista ne La madre morta e la bambina (fig. 10), si chiudono le orecchie per non sentire.
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E il gesto della mummia peruviana, individuata da Munch al Musée de l’Homme a Parigi, che ha ispirato anche Gauguin per La vita e la morte (fig. 12), a diffondere all’infinito una condizione di disagio e di dolore, a rendere tangibile il vissuto dell’angoscia.
“Camminavo lungo la strada in compagnia di due amici, il sole calava, il cielo divenne improvvisamente rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai contro un parapetto, stanco da mo-rire, sulla città e sul fiordo di un blu scuro, c’erano sangue e lingue di fuoco, i miei amici si allontanavano, io tremavo di angoscia, e sentii un lungo urlo infinito, attraversare la natura”, scrive l’artista‘®.
Il ricordo di un’esperienza interviene nella costruzione di un linguaggio, che diventa sempre più paradigmatico di un sentimento universale.
Munch raggiunge i risultati più importanti del suo lavoro fra i due lunghi soggiorni parigini, in un contesto tedesco, dimostratosi subito molto sensibile alla sua arte. Il successo di scandalo dell’esposizione berlinese del 1892′ ha dilatato la sua fama, mentre lo spirito cartesiano francese, meno attento all’insondabile, avrà sempre una qualche difficoltà a capirlo 2. Ma il rapporto con quella cultura non si interrompe: l’Autoritratto con maschera di donna (fig. 13), che evidenzia un torvo e dominante potere femminile, ha un precedente in un quadro di Emile Bernard, Autoritratto simbolico, detto Visione (fig. 14), dominato da un’immagine di Cristo, incoronato di spine.
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Altrove l’artista coglie aspetti più violentemente grotteschi: Rose et Amélie (fig. 15) dipinto a Berlino nel 1893, è ispirato a Toulouse-Lautrec, nell’approccio caricaturale del gioco di carte associato alla lussuria, anche se si differenzia dall’intimismo del bordello di Lautrec per la brutalità delle due immagini, sinistramente simboliche.
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In anni successivi, Munch esegue studi femminili dotati di inedita raffinatezza francese (Nudo di schiena e Modella parigina, cat. 24). Allo stesso periodo risale Boulevard di Parigi (cat. 29) ricco di echi cézanniani e soprattutto bonnardiani, nella semplificazione delle foglie in primo piano, nel motivo degli alberi che mescolano una sensazione di trasparenza all’àplat ornamentale.
All’epoca, Munch guarda anche a Pierre Puvis de Chavannes e alla sua arte monumentale e decorativa, risalendovi probabilmente attraverso le rielaborazioni di Émile Bernard, Paul Serusier, Maurice Denis. Opere come La voce (fig. 16) e Rosso e bianco (fig. 17)
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inseriscono nel clima del Bosco sacro di Puvis (fig. 18) il colore ereditato da Gauguin, insieme alla stilizzazione lineare cloisonniste.
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Ma lo spazio diviene claustrofobico e l’accensione cromatica, ancor più di quella di Gauguin, assume significati metaforici, spalanca il territorio dell’anima.
Il tema del primo turbamento erotico è ricorrente nei simbolisti francesi, da Madeleine nel bosco d’amore di Bernard (fig. 19) a La perdita della verginità di Gauguin (fig. 20) e generalmente si colora di malinconia.
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Munch in Pubertà (cat. 44) associa sessualità e sgomento e la nuvola scura, che s’innalza dietro quella fanciulla fragile e inerme, allude oltre che al trauma delle perdita dell’innocenza, alla minaccia di conflitti dolorosi, legati al destino di quel misero corpo.
L’opera ricalca probabilmente l’iconografia di un’acquaforte di Félicien Rops per Les Diaboliques di Bar-bey d’Aurevilly (fig. 21). Munch pesca a piene mani nel repertorio simbolista franco-belga?’, è attratto dal satanismo, dalla concezione dell’amore legata all’idea del male e della morte, dalla rappresentazione della donna oscuramente ammaliante e dominatrice. L’insistenza di Rops sulla sessualità gli è di esempio nel popolare i margini delle immagini di motivi simbolici: feti abortivi e spermatozoi si individuano nei bordi dell’incisione Madonna (fig. 22).
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Molto importanti sono i rapporti dell’artista con il teatro: a Parigi presto il suo nome viene associato all’interesse per i drammaturghi scandinavi, che diffondono nel pubblico “la cultura dell’anima”, da Ibsen, a Strindberg. Le loro opere sono tradotte e messe in scena nei piccoli teatri di Paul Fort, di André Antoine, di Aurelien Lugné Poe. Quest’ultimo, nel 1896, chiede a Munch di illustrare il programma del Peer Gynt di Ibsen e, l’anno successivo, quello del Jean Gabriel Borkmann. E l’artista rende omaggio al drammaturgo rappresentando la sua grande testa corrusca, davanti a un porto dove brilla un simbolico faro (fig. 23).
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Tutto un aspetto della produzione di Munch, oltre a essere segnato dalla drammaticità della sua vita, rivela la teatralità della sua pittura. Nell’ Autoritratto con sigaretta (fig. 24), l’atteggiamento e la scelta della rappresentazione segnano la volontà del pittore di mettersi in scena, con mezzi improntati al teatro. Nella Morte nella stanza della malata (cat. 18) i volti sono maschere e ricordano il ruolo riservato alle marionette nel “teatro di androidi” di Maeterlinck; l’interno opprimente evoca la scatola teatrale dei drammi di Ibsen, che narrano l’incomunicabilità del dolore, il suono greve del silenzio. Un dato biografico, l’agonia di Sophie, la sorella di Munch, fornisce ancora una volta una variante sul tema della morte. L’artista chiede alla pittura ciò che Ibsen e Maeterlinck hanno espresso in teatro.
A partire dall’autunno 1894, Munch si dedica attivamente alla grafica, istituisce contatti con la cultura dell’incubo, da Redon a Rops, e insieme adotta temi della vita moderna, alla Toulouse-Lautrec. Nella xilografia, tecnica a lui particolarmente congeniale, le cui prime prove sono eseguite a Parigi e che costituirà un esempio basilare per la grafica espressionista, egli sfruttata le venature del legno, evidenziate da cerchi concentrici, che costituiscono un corrispettivo del cloison in pittura. E inoltre sono segnali simbolici del trascorrere del tempo, poiché ogni anello corrisponde a un anno. Tutti elementi che conferiscono alle composizioni una intensità e una ossessività particolari.
Anche in quest’ambito si individuano rapporti con Félix Vallotton, si riaffermano quelli con Gauguin, l’attività grafica si espande nell’illustrazione (un progetto per I fiori del male di Baudelaire), nel teatro, nei ritratti incisi di scrittori, a lui vicini, da Strindberg (fig. 25) a Mallarmé (fig. 26)”.
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Munch giunge a sezionare le tavole xilografiche lungo il contorno che delimita i singoli colori, per poi riassemblarle e metterle sotto pressa. Da ciò deriva un’accentuazione di intensità alle superfici; il cloison è ancora una volta strumento funzionale all’espressività delle composizioni”
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Spesso ripete graficamente i soggetti dei dipinti, o reinventa figurazioni che esprimono il devastante potere di attrazione della donna. La testa dell’uomo è talora interamente irretita nei capelli di lei (fig. 27), che altrove circondano sinistramente il cuore di lui.
Lasciata Parigi nell’estate del 1899, Munch torna nella capitale francese solo dopo quattro anni. Vive in Norvegia, ma soprattutto in Germania, dove la sua fama cresce, in particolare dopo il 1902, quando presenta alla secessione berlinese il grande Fregio della Vita. Nello stesso anno espone a Parigi al XIX Sa-lon des Indépendants e il suo cromatismo forte colpisce artisti delle generazioni più giovani, creando correnti di influenza reciproca con quanti apparterranno al gruppo dei fauves. Questi ultimi guardano al suo uso dei colori puri, rendono le loro sensazioni attraverso stesure a larghi tocchi, nettamente differenzia-ti, trascurano la verosimiglianza. Le vedute di strade pavesate di Albert Marquet (fig. 28) e di Raoul Dufy (fig. 29), esposte al Salon d’Automne del 1906, oltre a ricordare Monet, hanno un antecedente nell’opera di Munch.
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Una sua versione di Le ragazze sul ponte (1902, cat. 32). acquistata dal collezionista russo Ivan Morosov, suggerisce legami con I tre ombrelli di Dufy (fig. 30) e i colori squillanti da lui adottati sono in linea con la nuova tendenza della pittura. francese.
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Nel 1906, i fauves espongono insieme al Salon des Indépendants e Munch è presente nella stessa sala di Marquet, di Manguin, di Puy, di Karsten, di Vlaminck, di Van Dongen, con tre dipinti e alcune incisioni, e ciò dimostra che il gruppo lo considera un compagno di lotta.
Dopo il 1907, i fauves non espongono più in gruppo, ed è forse possibile individuare un’eco di ritorno del loro linguaggio nell’opera di Munch. Ad esempio, il tocco largo sommario, vistoso in alcuni suoi dipinti di porti (fig. 31), manifesta analogie con gli stessi temi dipinti da Maurice Vlaminck e da André Derain.
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Nella Morte di Marat (fig. 32) – che rievoca la fine della tormentata relazione dell’artista con Tulla Larsen oltre a legami con Bonnard, si ritrovano accenti matissiani, in particolare nella tavola e nel motivo della natura morta a destra in primo piano. Mentre la resa lineare dei corpi, i tocchi allungati e la luce avvolgente sono tipici di Munch e conferiscono al dipinto una atmosfera sospesa, nutrita di elementi autobiografici”.
In realtà, il rapporto con Matisse è del tutto episodico, poiché l’artista francese presto accentua nella sua opera una finezza decorativa, un accordo tra fervore dionisiaco e pace apollinea, del tutto estranei a Munch, che allarga sempre di più la base del suo espressionismo. Trasmetterà la gestualità, il fermento della materia, lo spazio incombente delle sue opere a larga parte della pittura della seconda metà del secolo, dall’informale, all’espressionismo astratto, alla transavanguardia.
Maria Teresa BENEDETTI 23 Febbraio 2025