di Anna Maria PANZERA
A maggio di quest’anno si è tenuta la giornata di studi intitolata “Élèves et maîtresses: permanences et ruptures dans l’apprentissage des artistes femmes (France, 1849-‐1924)”,[1] organizzata dall’Istituto François- Georges Pariset (Université Bordeaux Montaigne), dal Museo Roybet-Fould di Courbevoie e dal Museo Rodin.
Il simposio, nato in occasione della mostra che il Museo Roybet-Fould dedica a Juana Romani,[2] ha dato l’occasione di indagare il tema della formazione, della professione e del magistero artistico femminile nella Francia di fine secolo XIX. Ne è emerso un quadro complesso e molto interessante di presenze che lentamente stanno uscendo dall’anonimato cui sono state relegate, per una precisa scelta culturale imperante da secoli, su cui oggi non ci soffermiamo, ma che vale sempre la pena di riconoscere e approfondire.
L’occasione ha permesso a chi scrive di proporre, dopo la pubblicazione del volume Camille Claudel,[3] (1) una possibile ricerca sulle tracce della presenza e della ricezione artistico-stilistica della scultrice francese in Italia. Sono state indagate le influenze di motivi claudeliani nelle opere di artisti italiani, cercando le circostanze entro le quali il suo nome sia apparso negli scritti di critica d’arte nostrana, in un periodo che copre l’ultimo decennio del 1800 e il primo quinquennio del Novecento.
Non è possibile, nella situazione attuale degli studi, parlare di un vero e proprio magistero artistico; tuttavia, mi pare di rintracciare un percorso di rimandi e riferimenti chiarissimi, che mostrano in che misura la scultura di Camille Claudel in Italia sia stata accolta, contribuendo a creare quel gusto “moderno” che confluirà nella Secessione.
Di solito, l’artefice di questo cambiamento è considerato Auguste Rodin; mito vivente durante quegli anni, la sua personalità connota la scena artistica italiana, sia per imitazione stilistica e iconografica, sia alimentando il dibattito teorico, per almeno cinquanta anni, come ben dimostra il recente libro di Barbara Musetti.[4] La mia idea è che una parte di questa influenza debba essere lasciata a Camille Claudel, giacché le sue soluzioni stilistico-compositive hanno ispirato chiaramente alcuni artisti italiani (sotto forma d’imitazioni), ancor prima che quelle del suo maestro avessero effettiva risonanza[5]. Questo è accaduto di là dal riconoscimento esplicito della critica: l’arte di Claudel ha ispirato la scultura italiana di primo Novecento de facto e senza mai essere citata; ciò non ne sminuisce la portata.
Si sa che la fortuna di quest’artista ha subito fasi alterne; nonostante varie note e pubblicazioni anche durante il corso della sua vita,[6] la sua arte è rimasta a lungo sprovvista di un congruo apparato di studi. Si può affermare che solo dagli anni Ottanta del XX secolo, in ambito francese e anglosassone, sia nata un’attenzione concreta verso la sua opera. Compaiono da questo momento in poi numerosi studi, che non riassumerò in questa sede, rimandando alla corposa bibliografia ormai presente nei volumi dedicati, dai quali ancora difficilmente, però, si evincono il suo ruolo di maestra o semplicemente la sua posizione nella filiera di scambi e reciproche influenze di cui è fatta la pratica artistica, oltre il più volte ribadito ruolo di “allieva di Rodin”.
Circa un anno fa, a febbraio 2020, Milano ha vissuto un piccolo ma rilevante evento; presso la galleria milanese Bottegantica, dopo un accurato restauro, è stato esposto per tre giorni Il bacio di Gaetano Previati (2),[7] chiamato anche Romeo e Giulietta. Prima di ritornare nell’ombra delle collezioni private, il dipinto ha fatto rivivere le atmosfere scapigliate della Milano di fine Ottocento, quando l’arte italiana stava tentando di svincolarsi dal naturalismo classicheggiante, per accedere ad atmosfere più oniriche e simboliche. Fautore di una pittura nuova, luminescente e dinamica, Previati era l’unico artista italiano che i Futuristi non rifiutavano in toto, evidentemente riconoscendogli un inizio di visionaria modernità.
Il dipinto è stato realizzato nel 1889 su una base di disegno a matita e sanguigna su cartoncino, ed è firmato in basso a destra. È stato esposto per la prima volta alla Permanente di Milano in quello stesso anno, dove fu molto apprezzato dalla critica. (3)
Nel 1901, insieme con altre opere, è pubblicato su Emporium, in un articolo firmato da Domenico Tumiati[8]; (4) nel 1906 il volume monografico a cura di Achille Locatelli Milesi[9] lo ripropone commentando: «il distacco dalla materialità, lo sforzo verso la spiritualità pura della visione, è deciso e mirabile». Sono chiari gli influssi della corrente simbolista francese (d’altra parte, si sa che l’artista compie frequenti viaggi a Parigi, per aggiornarsi sulle novità del momento), ma in nessuno degli scritti citati è indicata eventuale attinenza con altre composizioni.
Eppure, il riferimento c’è. Si tratta della Sakuntala di Camille Claudel (5), che Previati ha potuto vedere in almeno due occasioni.
La prima di persona, probabilmente visitando il Salon del 1888 (la frequentazione della capitale francese è confermata da almeno dieci anni di precedenti viaggi di studio e dalla partecipazione all’Esposizione Universale del 1889 con il suo Paolo e Francesca); qui la prima versione in gesso della scultura, cui Camille sta lavorando già da due anni, ha ricevuto una Mention Honorable e ha suscitato l’attenzione dei critici. (6) La seconda, consultando la recensione al Salon, redatta da P. Leroi in “L’Art”: il capitolo dedicato alla scultura è inevitabilmente inneggiante a Auguste Rodin e a Jules Chaplain ma a seguire i disegni dei due maestri v’è una riproduzione della Sakuntala di mano della stessa Claudel, così commentata:
«La più straordinaria novità del Salon è questa Çakountala, gruppo castamente appassionato di mano di una giovane, M.lle Camille Claudel, che ho l’onore di presentare ai nostri lettori […]».[10]
La presenza di una composizione originale nel contesto dell’arte francese non poteva sfuggire a Previati, così attento ad assorbirne le istanze nuove; l’autore se ne fa strumento di diffusione, evidentemente non considerando utile dichiarare le sue fonti a un’Italia ancora non molto attenta a quanto accade oltralpe.
Lo dimostrano gli archivi della Biennale di Venezia, dai quali sappiamo che, in occasione della sua prima edizione, un timido invito rivolto a Auguste Rodin incontra il consenso dello scultore, a patto che sia invitata la sua allieva, la giovane scultrice Camille Claudel, dalla quale egli si era recentemente separato (1894)[11]. Lo scambio di lettere tra l’artista e le istituzioni venete mostra come tale richiesta non sia stata esaudita; per questo e forse per altri motivi personali, Rodin non sarà presente all’esposizione.
Camille Claudel è presente “da assente” in Italia anche nel 1898: nel numero 44 della rivista Emporium, Parmenio Bettoli pubblica Artisti contemporanei: Augusto Rodin[12] (7).
A introduzione del pezzo, due opere per le quali il riferimento alla scultrice manca vistosamente: La Pensée viene genericamente titolata Testa di donna, senza ricordare che quel volto è ben identificabile in quello di Camille (il cui nome in quegli anni è sempre accostato a quello di Rodin, anche a causa della tempestosa vicenda amorosa che li vede protagonisti e che spesso s’intreccia ai non meno concitati rapporti della Claudel con la committenza pubblica e privata); accanto, il suo Busto di Rodin è pubblicato anonimo.
Per scrivere l’articolo, il giornalista è andato a visitare Rodin nel suo studio, dunque è improbabile che non conosca le origini delle opere che mette a corredo del suo scritto. Solo alla fine, ricordando che Rodin è da considerare senza dubbio il maestro della scultura moderna, fa seguire nel testo i nomi di coloro che ne calcheranno le orme: qui Camille Claudel è citata, ed è dichiarata «tragica e febbrile», a conferma della conoscenza di Bettoli del giudizio unanime fornito dalla stampa francese. Dunque, l’omissione – se non proprio colpevole – è frutto di grande superficialità.
Verso i primi anni del 1900 qualche nebbia sembra dissolversi. Nel 1901 l’articolo su Rodin di Giovanni Cena ne “La Nuova Antologia” comprende 10 illustrazioni, tra cui il busto – ormai iconico – realizzato dalla scultrice, qui indicata. Altrettanto nel 1904: un disegno di Pio Semeghini raffigura Rodin ed è tratto dal famoso bronzo (8).[13] Nel 1906 il prestigioso mensile illustrato “Ars et Labor”, diretto da Giulio Ricordi, nella rubrica “Attraverso le arti sorelle” (raccolta di brevi notizie dal mondo), informa il pubblico italiano di un evento, evidentemente considerato di rilievo: lo scambio artistico tra Francia e Inghilterra attraverso la commissione a Claudel di una statua di Shakespeare (sulla quale non ho trovato alcuna notizia), su iniziativa di Charles Morice: l’artista è definita «l’attuale trionfatore alla Galerie Blot con l‘Abandon» (nome dell’allora più recente versione di Sakuntala),[14] commissionata in bronzo dallo Stato.
Gli aggettivi accanto al suo nome sono declinati al maschile ma non c’è dubbio che si tratti di lei. Sembra l’inizio di una notorietà di Camille Claudel in Italia, in particolare legata alla sua forte presenza nella collezione Blot, che comincia a viaggiare in Europa raccogliendo proseliti a favore di una “scuola” plastica francese, che par vivere una fiorente stagione, dopo lunghi decenni di pedante accademismo.
Dev’essere vero, se alla Biennale di Venezia 1909 compare un gesso di Giovanni Prini intitolato Gli Amanti (9):[15]
ancora una volta, un’opera italiana ricalca da vicino la Sakuntala/Abandon di Camille Claudel; la posizione delle figure, maschile e femminile, è invertita, ma l’impostazione generale della composizione non lascia dubbi. Sembra assurdo che ancora oggi La Galleria Nazionale la riporti al Bacio di Klimt del 1907,[16] sulla base di una mera vicinanza di date; soprattutto in considerazione del fatto che il dipinto di Klimt è esposto a Roma nel 1911, in occasione dell’Esposizione Internazionale. A quella data, Prini sta effettivamente lavorando per realizzare il suo gruppo in pietra, ma il gesso risale a ben prima dell’arrivo del dipinto di Klimt in Italia.
Un più probabile riferimento potrebbe essere stato il disegno di Previati già citato; in quel caso, l’idea originale rimane quella di Camille Claudel. Di recente è stato fatto anche il nome di Rodin, in virtù dei contatti – fondamentalmente epistolari – intercorsi tra lo scultore italiano e quello francese. [17] Ma si è pensato erroneamente al Bacio, mentre eventualmente, a mio parere, il collegamento più forte sarebbe con L’eternelle Idole. Ancora una volta, però, l’ideazione originale dev’essere ascritta a Camille: nato da un assemblage di figure provenienti dalla Porta dell’inferno, infatti, il gesso dell’Eternelle Idole non è stato realizzato che nel 1890, dunque due anni dopo rispetto al gesso della Sakuntala, a riprova della mutua influenza tra i due artisti francesi (10).
Nell’anno 1911 in Italia ricorre il cinquantenario dell’Unità d’Italia; è un’occasione straordinaria per celebrare il percorso economico, sociale e culturale compiuto dalla nazione e tutto il paese è attraversato da molteplici iniziative. Quelle più importanti sono le Esposizioni Internazionali di Torino, Firenze e Roma: la prima è imperniata sul progresso industriale e manifatturiero, la seconda sulla mostra del ritratto italiano, la terza è incentrata su contenuti etnografici e regionali.
Tutte e tre le manifestazioni accolgono esposizioni d’arte italiana e internazionale. A Torino il padiglione dell’arte decorativa francese celebra il cosiddetto “jeune et vaillant modern-style”[18] con Maillol (Le Cycliste), Bourdelle (Maternité e la Pastoure en prière), Rodin (Grande Soeur o Frère et soeur), Camille Claudel (La Valse, che riceve un Diploma di Gran Premio), Alexandre Charpentier (Fuite des Heures). Sono tutte opere di dimensioni ridotte e al momento non preoccupa che nomi altisonanti come quello di Rodin non siano celebrati a sufficienza; si rifaranno a Roma, dove avranno ben più spazio a disposizione.[19]
A Roma approda anche la collezione di Eugène Blot: tra i suoi pezzi più importanti L’Abandon di Camille Claudel. Vittorio Pica lo cita, oltre ai pezzi di Rodin, fra le poche sculture francesi in mostra degne di nota[20].
Sparse nei vari testi, queste tracce non fanno una storia; ma messe insieme, sì. I suoi fili devono essere ancora ben intrecciati con quelli di artisti come Vincenzo Gemito e Medardo Rosso (Raphael Masson suggerisce un legame fra Claudel e Gemito, osservando il realismo espressionista della scultrice, ma ancora mancano sufficienti documenti per sostenere questa tesi; ugualmente, sappiamo del giudizio positivo espresso da Rosso su Claudel nelle sue lettere a Rodin),[21] o di figure quali Giovanni Cena e Sibilla Aleramo. Val la pena di condurre la ricerca.
Anna Maria PANZERA Roma 25 luglio 2021
NOTE