di Nica FIORI
A duecento anni dalla morte di Antonio Canova (Possagno 1757- Venezia 1822), l’Accademia Nazionale di San Luca ha promosso e organizzato la mostra “Canova. L’ultimo principe”, che sarà possibile visitare, a ingresso gratuito, fino al 28 giugno 2023. Si tratta di un doveroso omaggio dell’Accademia al grandissimo scultore veneto che ha impresso all’istituzione romana un nuovo indirizzo culturale: dalla riforma della didattica artistica agli scavi, al restauro e alla tutela del patrimonio monumentale antico, dal riassetto urbano di Roma alla promozione dell’arte a lui contemporanea. Fu proprio Canova l’ultimo artista a essere stato nominato “Principe” della prestigiosa accademia romana, fondata da Federico Zuccari nel 1593, prima che si passasse al più moderno titolo di “Presidente”. Va anzi precisato che, dopo essere stato eletto accademico di merito nel 1800, ne divenne “Principe” nel 1810 e “Principe perpetuo” nel 1814.
Roma è stata determinante per l’arte di Canova e altrettanto è stato lui per la città. Dopo aver avuto una prima formazione artistica a Venezia, egli si trasferì nell’Urbe nel 1779, sotto il pontificato di Pio VI, e vi risiedette per il resto della sua vita, pur compiendo numerosi viaggi sia all’estero sia nei luoghi natii.
Indubbiamente l’impatto con la statuaria antica, che abbondava nelle gallerie, nei palazzi privati, nei giardini, nelle vie e nelle piazze urbane, fu folgorante, tanto che ad essa Canova si ispirò più volte fino a diventare lo scultore neoclassico per antonomasia, il “novello Fidia”. A Roma ebbe modo di affermarsi velocemente grazie a importanti commissioni, quali il gruppo in marmo Teseo vincente sul Minotauro, realizzato per l’ambasciatore veneziano Girolamo Zulian nel 1781, il monumento funerario di Clemente XIV, che venne collocato nel 1788 nella basilica dei Santi Apostoli, e quello di Clemente XIII, realizzato tra il 1783 e il 1792 per la basilica di San Pietro.
Dopo aver alloggiato inizialmente a Palazzo Venezia, residenza del suo mecenate Zulian, Canova trasferì il suo studio in via delle Colonnette (vicino all’ospedale San Giacomo), dove realizzò quasi tutti i suoi capolavori, commissionati da sovrani, aristocratici, collezionisti, antiquari e intellettuali europei. La sua passione per la classicità fu caratterizzata da estremo rispetto, come si evince da questa frase:
“L’antico bisogna mandarselo in sangue sino a farlo diventare naturale come la vita stessa.”
In effetti egli non copiò mai le sculture antiche, ritenendolo un lavoro indegno di un artista creatore, come non volle mai intervenire con restauri sui marmi antichi, in quanto intoccabili, secondo un concetto che si sarebbe affermato solo in età più moderna. La sua arte è, in un certo senso, una rivoluzionaria rilettura del passato in un periodo di sconvolgimenti politici che cambiarono profondamente l’Europa. Basti pensare all’epopea di Napoleone Bonaparte, evocato in mostra con un ritratto di Canova che lo raffigura come Primo console (gesso, 1802).
Ricordiamo che Canova godeva di un enorme prestigio e dal 1802 venne nominato Ispettore generale delle Belle Arti dello Stato della Chiesa, incarico che ricoprì anche durante la seconda dominazione francese a Roma (1809-1814) e durante la Restaurazione, quando fu incaricato da Pio VII di recuperare le opere d’arte sottratte da Napoleone alla fine del Settecento. Dei 100 tesori d’arte requisiti dai commissari del Direttorio nel 1816 ne tornarono a Roma 77, mentre furono soltanto 45 sui 124 asportati dalle altre città dello Stato Pontificio a far ritorno a casa. Nonostante questa grave perdita, quella di Canova è stata comunque una delicata missione diplomatica portata a buon fine, che termina con un’importante disposizione programmatica: quella di esporre pubblicamente le opere recuperate “sull’esempio delle altre insigni capitali d’Europa”. Unica cosa positiva, forse, trasmessa dall’idea napoleonica di “museo universale”.
Nelle sale espositive dell’Accademia, al terzo piano di Palazzo Carpegna, i capolavori pittorici e scultorei in mostra dialogano tra loro con continui rimandi e intrecci. Molti personaggi, dei quali troviamo i busti o i ritratti a olio, permettono di avere un quadro dell’ambiente culturale dell’epoca. Sono esposti, in particolare, i ritratti a olio degli artisti dell’Accademia relativi al periodo di Canova; tra questi ci sono anche alcune donne, come per esempio Faustina Bracci, che si è autoritratta mentre dipinge il volto di Canova.
La mostra si apre con il bassorilievo di Canova, raffigurante Socrate salva Alcibiade nella battaglia di Potidea (gesso, 1797), che fa riferimento a un episodio della vita del filosofo greco, ricordato nel Simposio di Platone: una scena che sembra alludere al futuro ruolo di maestro e protettore che Canova avrebbe avuto con i suoi allievi.
Si tratta del dono di ingresso che egli presentò all’Accademia, così come facevano tutti gli accademici al momento dell’elezione, ed è proprio da queste donazioni, oltre che da altre testamentarie, e da opere vincitrici dei concorsi che nasce la collezione dell’istituzione, ricca di opere di nomi prestigiosi. Si ricorda in particolare Raffaello, del quale è esposto il frammento di affresco con il “Putto reggifestone” che venne donato da Jean-Baptiste Wicar, inserito in una sala dedicata proprio a Raffaello.
Indubbiamente Canova fu un principe che cercò di rilanciare l’Accademia restituendole quella centralità e quel primato che l’avevano contraddistinta nel passato; tra l’altro ottenne da Napoleone numerose concessioni, compreso uno stanziamento di 100.000 franchi. La sua azione si rivolse da subito alla formazione dei giovani, per i quali riorganizzò il sistema didattico, attualizzandone i modelli e gli strumenti di studio. A ciò si aggiunse la creazione di nuovi concorsi che finanziò personalmente: il primo è il “Concorso dell’Anonimo” (così chiamato perché non voleva che figurasse il suo nome), l’altro è il “Concorso Canova”. A questi concorsi di pittura e scultura è dedicata una sezione che esibisce alcuni dei risultati più evidenti del processo di riforma in atto, come nel caso dei grandi nudi dipinti, che si rifanno a un insieme di pose codificate. Sul tema dell’Atleta trionfante si può fare il confronto tra il dipinto di Francesco Hayez (1813, olio su tela), vincitore del concorso del 1813 per la pittura, e la scultura di Rinaldo Rinaldi (1813, gesso).
Un altro confronto riguarda il Gladiatore ferito, con i due dipinti di Francesco Podesti (1821, olio su tela) e Luigi Rubbio (1821, olio su tela). Altri dipinti come l’Aiace di Luigi Durantini (1814, olio su tela), il Milone di Giuseppe della Valle (1815, olio su tela) o Il rimorso di Caino di Jean-Victor Schnetz (1817, olio su tela), ci colpiscono per il dinamismo dei corpi muscolosi. Purtroppo mancano le sculture relative a diversi concorsi, perché sono andate perdute. La didattica venne riorganizzata da Canova sul modello francese, dove lo studio anatomico dipinto veniva inserito in uno spazio narrativo.
L’osservazione dal vivo del modello, nudo per gli uomini e panneggiato per le donne, si accompagnava ora a una rinnovata conoscenza della statuaria antica.
Il corridoio di accesso alle sale si presenta come una gipsoteca, comprendente diversi gessi dello scultore danese Bertel Thorvaldsen (1770-1844), a confronto con quelli di Canova, pervenuti in accademia attraverso donazioni dopo la sua morte.
Ricordiamo che Thorvaldsen fu accolto come membro dell’Accademia di San Luca nel gennaio 1808. In breve s’impose come l’altro grande protagonista della scultura di quel periodo, ma le sue opere (sono esposti, tra gli altri, i gessi raffiguranti Le tre Grazie, Ganimede e l’aquila, Ebe, Venere) ci appaiono un po’ troppo fredde, sicuramente fedeli alla visione neoclassica di Winckelmann, mentre quelle di Canova caricano i temi classici di una dimensione psicologica assente nelle opere del danese.
Di Canova sono esposti l’Autoritratto (1812) e il Ritratto di Clemente XIII (1784-86), oltre a quello di Napoleone (1802).
La quarta sezione espositiva, intitolata “La Religione”, è dedicata all’allegoria della Religione, che era già presente all’inizio della sua carriera nel monumento funebre di Clemente XIII, dove appare insieme al Genio della morte. L’allegoria, raffigurata come un’imponente matrona con una lunga croce in mano, divenne un emblema citato e ripetuto per decenni, come si vede nelle raffigurazioni di archi di trionfo o di colonne celebrative con statue similari.
Il modello in gesso esposto in mostra, un busto terminante con un copricapo nel quale si nota un simbolico occhio in un triangolo da cui partono raggi (il “delta luminoso” prediletto dalla Massoneria), è relativo al progetto del 1814-15 di una statua colossale in marmo, che egli intendeva regalare alla basilica di San Pietro e che non venne mai eseguita perché i canonici di San Pietro si opposero alla sua collocazione all’interno della basilica, in quanto ritenuta troppo grande. Il modello in gesso, donato all’Accademia nel 1830 da Giovanni Battista Sartori (fratellastro dello scultore), venne inizialmente sistemato nella Galleria, e in seguito nella chiesa dei Santi Luca e Martina al Foro romano, dove fu ridotto in pezzi nel 1926 in un incidente avvenuto nel corso dei lavori di restauro dell’edificio.
Nella sezione “L’Accademia al tempo di Canova” sono esposti diversi ritratti degli accademici e molti manufatti donati dai pittori durante gli “anni canoviani”. Due gruppi scultorei raffiguranti Ercole e Deianira sono relativi alla vicenda del Concorso Balestra del 1801, quando Canova ha dovuto assumere il ruolo di giudice e paciere. Infatti le opere, una di Pietro Finelli e l’altra di Giuseppe Pacetti, si contendevano entrambe la vittoria in quanto gli artisti erano uno il nipote e l’altro il figlio di due prestigiosi accademici. Alla fine vennero premiate entrambe.
Un’altra opera che ci colpisce è il dipinto raffigurante il bozzetto per la Maddalena penitente, una delle opere scultoree forse più emozionanti di Canova. Il bozzetto è stato copiato da Luigia Giuli e ritoccato da Canova (1799).
La mostra prosegue lungo la rampa elicoidale del Borromini e al primo piano con altre sezioni: una dedicata ai monumenti antichi, i cui restauri vanno inquadrati nell’interesse di quegli anni per il recupero della romanità, una ai concorsi Canova di architettura e l’ultima alla Scuola del Nudo gestita dall’Accademia, della quale Canova è stato direttore. Scopriamo tra gli altri i disegni del tempio di Giove Tonante di Giovanni Battista Piranesi e di Bartolomeo Pinelli (questi ultimi relativi al restauro di epoca napoleonica), il tempio che corrisponde nella nomenclatura attuale a quello del Divo Vespasiano, mentre il tempio rotondo vicino al Foro Boario, allora detto di Vesta, pure raffigurato in disegni dell’epoca, è ora giustamente attribuito a Ercole Vincitore (o Oleario).
Quanto ai progetti della classe di architettura (tra i quali alcuni acquerellati sembrano ispirati alle grandiose architetture del Pantheon e della Basilica di Massenzio), è interessante scoprire che nelle edizioni dei concorsi del 1817 e 1820 il tema scelto riguardava nel primo caso la progettazione di “una accademia di Belle Arti a vantaggio della pubblica istruzione” e nel secondo “una fabbrica da potersi adattare in locale opportuno all’Accademia di San Luca”. Come fa notare nella guida della mostra Laura Bertolaccini:
“La riforma statutaria del 1812, confermata dal Nuovo Statuto del 1817, prevedeva infatti il moltiplicarsi degli insegnamenti e non è improprio immaginare che per l’Accademia fosse sempre più impellente la necessità di reperire e organizzare spazi per la didattica, al punto da ritenere che potesse divenire tema di riflessione anche attraverso il contributo e la sensibilità dei più giovani”.
La mostra ha il merito di ripercorrere “la fulgida parabola” di Canova all’interno dell’Accademia di San Luca “con materiali d’archivio anche inediti e opere d’arte insigni a lungo rimaste pressoché ignote al pubblico”, come evidenzia nella presentazione Claudio Strinati, curatore della mostra insieme a Serenita Papaldo, Francesco Cellini, Laura Bertolaccini, Carolina Brook, Elisa Camboni, Fabrizio Carinci, Giulia De Marchi, Fabio Porzio.
Anche se l’accessibilità di due sezioni espositive non è delle migliori (pensiamo alla scomodità dell’osservazione sulla rampa in discesa), l’ampia documentazione esposta dà un quadro del fervore artistico di quegli anni (sia sotto Napoleone, sia sotto il papato), profondamente segnati dall’intensa attività di Canova nella difesa del patrimonio culturale e nella promozione delle arti contemporanee.
Nica FIORI Roma 22Gennaio 2023
“CANOVA. L’ultimo Principe”
Accademia Nazionale di San Luca, Palazzo Carpegna, piazza dell’Accademia di San Luca 77, Roma
17 dicembre 2022 – 28 giugno 2023
Orari: dal martedì al sabato dalle ore 10.00 alle ore 17.30, ultimo ingresso ore 16.00, secondo i seguenti turni: primo turno ore 10.00; secondo turno ore 11.30; terzo turno ore 14.00; quarto turno ore 16.00.
Ingresso gratuito con prenotazione scrivendo a: prenotazioni@accademiasanluca.it.
La prenotazione è effettuabile anche presso la portineria dell’Accademia il giorno stesso, fino ad esaurimento posti.