di Nica FIORI. Foto di Francesca LICORDARI
Il fascino di Terracina, al di là della sua indubbia bellezza paesaggistica, è dovuto al fatto che in questa cittadina laziale si percepisce il suo vissuto storico, grazie alla stratificazione di diverse fasi urbanistiche, dalla più antica volsco-romana a quella medievale a quella tardo settecentesca, legata alla bonifica di Pio VI, fino ad arrivare ai nostri giorni.
La piazza del Municipio, dove si affacciano anche la splendida cattedrale medievale di San Cesareo, il palazzo vescovile, due torri e altri edifici, occupa quello che era il Foro Emiliano, il cui nome è dovuto ad Aulo Emilio, il console di età repubblicana che ha lasciato la sua firma sul pavimento della piazza, realizzato a sue spese con grandi lastre di calcare.
Sulla stessa piazza, proprio dirimpetto al nuovo Municipio (novecentesco), si affaccia il Teatro romano, che è attualmente in fase di scavo e che viene straordinariamente aperto al pubblico per sei giorni tra novembre e dicembre, sotto la guida di archeologi, per dar modo ai visitatori di vedere come funziona un cantiere archeologico.
La visita guidata al teatro è un’occasione da non perdere per la conoscenza di un’importante architettura antica, recuperata grazie all’opera di tutela della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Frosinone e Latina.
Come ha spiegato il funzionario della Soprintendenza e direttore dello scavo Francesco Di Mario nella visita in anteprima alla stampa, questo antico edificio pubblico è venuto alla luce nel bombardamento del 4 settembre 1943, che, distruggendo numerose costruzioni del centro storico di Terracina, ha consentito di evidenziare i resti della città romana che si celava al di sotto, e in particolare del complesso dell’area del foro, cui si accedeva da un arco sotto il quale passava l’antica via Appia. Amaramente possiamo dire che una volta tanto la distruzione operata dalla guerra, pur nell’immenso dolore dell’evento, ha donato alla città qualcosa di eclatante.
Ovviamente si è dovuto procedere a successive demolizioni ed è proprio l’ultima di queste che ha contribuito negli ultimi anni a incrementare lo scavo e consentire il recupero di eccezionali reperti. Il Comune di Terracina, infatti, ha acquistato nel 2018 una palazzina che ha coraggiosamente demolito pietra su pietra per consentire la visione di quelle nitide porzioni di scalinate in calcare della cavea, dove gli spettatori sedevano per assistere agli spettacoli.
Pur trattandosi di un teatro romano (risalente agli ultimi decenni dell’età repubblicana, 70-60 a.C.), la cavea poggia direttamente sulla collina, alla maniera greca, e la scaena (fronte monumentale) è preceduta da un porticato del quale rimangono resti di colonne e murature.
Nella parte interna del teatro, cui i visitatori accedono da un ambulacro, a ridosso della scaena si trova il proscenio, e quindi l’area semicircolare (orchestra), intorno alla quale sono disposti i gradini lapidei della cavea, la cui prima fila era riservata ai personaggi più importanti.
Nello scavo sono stati finora asportati 1500 metri cubi di terra partendo dall’alto, ovvero dalla sua scoperta nel 1943, fino ad arrivare allo strato di abbandono del teatro come edificio pubblico, nel V secolo d.C., ma ovviamente dopo questo abbandono la vita continuò ad andare avanti e i secoli successivi videro il riutilizzo di molti materiali lapidei per la costruzione di nuovi edifici e perfino l’attività di una calcara.
Nel setacciamento della terra sono emersi materiali di varie epoche, il più recente dei quali sembrerebbe essere un cellulare di una ventina di anni fa. Il ritrovamento più fortunato, che ha destato grande emozione, è stato quello di due basi onorarie dedicate a Gaio Cesare e Lucio Cesare figli di Augusto (suoi nipoti e da lui adottati), che vengono per la prima volta mostrate al pubblico.
Sappiamo che Augusto, non avendo avuto nessun figlio maschio, fece dapprima sposare l’unica figlia Giulia, avuta dal matrimonio con la seconda moglie Scribonia (subito ripudiata per unirsi con Livia), con l’amatissimo nipote Marcello, che aveva designato come successore, ma, essendo questi morto prematuramente, fece sposare Giulia con il generale M. Vipsanio Agrippa, suo grande amico.
Giulia ebbe da Agrippa cinque figli e, tra questi, Gaio e Lucio Cesari vennero adottati da Augusto e designati per la successione, ma purtroppo morirono entrambi molto giovani (il primo a 24 anni nel 4 d.C. e il secondo a 19 anni nel 2 d.C.) e alla morte di Augusto l’impero passò a Tiberio, il primogenito di Livia.
Le iscrizioni sulle basi, risalenti a una data successiva alla morte di Gaio, ricordano i titoli dei due giovani che erano patroni della città. Gaio (nato nel 20 a. C) già a 14 anni era stato designato al consolato. Lo stesso onore spettò a Lucio, che però non fece in tempo a ricoprire la carica di console. Compare per la prima volta in queste iscrizioni il termine Axurnates, con il quale si definiscono gli abitanti di Terracina: Anxur era, in effetti, il nome volsco della città, che designa anche il santuario di Giove Anxur nel monte Sant’Angelo.
Le basi erano collocate nel posto che spettava ai giovani da vivi e nessun altro poteva, quindi, occupare più quel posto. Presumibilmente al di sopra dovevano essere collocate le loro statue, che Francesco Di Mario si augura di poter trovare un giorno proseguendo negli scavi, che hanno finora portato alla luce alcuni importanti reperti scultorei, attualmente in fase di studio.
Si aggiunge così un tassello alla storia della città romana, subentrata al più antico insediamento volsco. Fu l’apertura della via Appia nel 312 a.C. a fare di Terracina un’importante città commerciale, un porto che costituiva un centro di smistamento di prodotti agricoli verso la capitale e altre città litoranee, funzione che raggiunse ancora più importanza in epoca imperiale, quando sotto Traiano venne fatto un taglio di circa 38 metri di altezza (128 piedi romani) nella roccia calcarea che si spingeva sul mare, in modo da accorciare il percorso della via Appia, che prima doveva seguire l’andamento collinare, scavalcando faticosamente il monte Sant’Angelo. Sulla parete del pinnacolo di roccia, chiamato Pesco (che vuol dire masso) o Pisco Montano, sono ancora visibili le edicole scalpellate dai romani, che indicano l’altezza dello scavo in piedi romani, man mano che si andava avanti.
Altri scavi e restauri da parte della Soprintendenza hanno riguardato il cosiddetto Capitolium, un tempio a tre celle, la cui muratura è in opera reticolata bicroma.
Lo troviamo al di fuori della piazza del Municipio e doveva pure far parte del foro, insieme alla Basilica e al Tempio maggiore, cui si è sovrapposta la cattedrale, che risale nelle forme attuali all’XI secolo e conserva colonne romane di reimpiego.
Le visite al cantiere di scavo del Teatro romano sono ora possibili grazie alla disponibilità della Soprintendenza statale e alla collaborazione del Comune di Terracina e della Fondazione Città di Terracina.
Nica FIORI Roma 24 novembre 2021
Questo è il calendario di aperture per il 2021:
a novembre: venerdì 26 e sabato 27; a dicembre: venerdì 10 e sabato 11; venerdì 17 e sabato 18;; orari del venerdì: 14,30/16,00 – orari del sabato: 9,00/12,30
Le prenotazioni sono gestite dall’ufficio della Soprintendenza di Sabaudia (Concetta Cristina De Ruosi): indirizzo mail sabap-lazio.personalesabaudia@beniculturali.it
Tel. 0773/510768