Canto notturno di un POETA errante dell’Asia: Indran Amirthanayagam.

di Marco FIORAMANTI*

Mai titolo fu più aderente al personaggio di cui sto per raccontare. Ma prima di parlare della presentazione romana del suo più recente libro di poesie: The runner’s almanac (L’almanacco del podista) è necessario raccontare il mio primo incontro col poeta a New York.

Marco Fioramanti, Manhattan Skyscrapers, 1989, (combustione e smalto su legno, ferro, cm. 200 x 20 x 15)

Ho conosciuto Indran a Manhattan, al 40 della Horatio Street, nel Greenwich Village. Era circa metà dicembre dell’88, il freddo era considerevole anche per me che venivo da Montréal, con le leggendarie linee Greyhound, quelle col levriero sulla fiancata. All’epoca lui si stava diplomando in giornalismo oltre a scrivere quotidianamente i suoi versi. Io ero andato con un obiettivo artistico, volevo simulare la presenza di un grattacielo arcaico nello skyline di Manhattan. Era la befana dell’89, mi presentai da lui con dei legni scheggiati, pezzi di relitti, e un barattolo di vernice bianca, invitandolo a collaborare a quest’impresa che aveva, apparentemente, molto dell’assurdo. Chiamai anche un altro amico, Josh Nefsky, famoso fotografo, per documentare l’opera. Passammo a piedi il famoso ponte e ci incamminammo nella Brooklyn Promenade fino a trovare il giusto punto per posizionare i legni bruniti dal fuoco, inchiodati e sporcati di bianco accanto alla macchina fotografica per modificare il profilo dei grattacieli, Torri gemelle comprese. Alla mia partenza per Roma lasciai l’opera al poeta.

A fine mese ricevetti una lettera – che ancora custodisco gelosamente – che chiudeva così:

Un giorno a New York tornai a casa dal lavoro e trovai dei legni scheggiati e schizzati da una vernice bianca che mi aspettavano come un bicchiere di vino o un dolce sogno o un bacio o una bestemmia, una cosa senza valore, una sfida. Questo legno aveva potere, queste schegge di relitto, quest’immondizia posseduta dall’artista era stata trasformata in un’arma letale. O più precisamente un edificio che fronteggia i suoi simili nel centro finanziario della bassa New York.

Sembra incredibile come la sensibilità di un poeta potesse arrivare a visualizzare in qualche modo quello che sarebbe accaduto oltre dieci anni più tardi.

ph. Lola Amirthanayagam

Arriviamo a oggi, 36 anni dopo è il poeta che bussa alla mia porta insieme a sua figlia Lola (sua la foto di copertina del libro) per un reading di poesia al quartiere Pigneto, il Village romano. La serata è stata organizzata presso lo spazio di #On Stage dalla poetessa Ilaria Giovinazzo, la quale ha alternato i suoi versi con quelli di Indran, grazie anche alla preziosa collaborazione di Marco Colletti, che ha recitato in italiano i testi del poeta.

Ogni poeta, così come ogni artista, scrive per necessità e ha un messaggio da trasmettere.

Questo libro che è stato appena presentato The runner’s almanac è dedicato al podista, a colui che fa jogging. Qui di seguito due poesie del libro, tradotte in italiano dal sottoscritto.

Podista

 Stai correndo / in montagna,  / attraverso il ponte, / nel parco,  / correndo, avvolto in  / uno scialle, / saltando i passanti, gli uccelli,  / gli alberi, evitando / pensieri fangosi / concentrati su diecimila passi,  / perfetto l’appoggio / correndo nel mio  / cuore che batte il passo. / mentre la mia mente compone  / queste righe.

In tempo

Sto correndo su Oxford Street, vicino all’HMV. Corro con Sparks e Leo Sayer in mano.  / Sto correndo con Tim Rice nelle orecchie, il suo programma del sabato mattina, i giganti del rock su radio Capitol.  / Sto correndo con Buddy Holly, una furia scatenata / correndo con Miss Molly, sulla Blueberry Hill.  / correndo dalla troiain bicicletta che mi ha chiamato negro, sporco negro quando la prima volta  / che sono andato a Londra per dirle che quell’offesanon mi darà più fastidio. Sono più grande, Notting Hill nel cervello,  / White Riot. Non più prigioniero dell’antica maledizione.Brucia e ricostruisci. Punk  / Amore. Senza quartiere. Odio, vatti a fare due passiIo sono il boia ora e sto correndo  /e guido il gioco con amore. Bambini, HMV eraun grande palazzo per l’acquisto di vinili  /in Oxford Street.E questa canzone suoneràovunque tu voglia ricordare o sapere / per la prima volta, che stiamo correndo, correndo con amore, senza paura. Siamo in tempo.

Scrivere una poesia –mi dice in un’intervista video (girata e montata da Giulio Tonelli, ndr)- è come camminare o fare esercizio, un esercizio della mente e dell’anima. Cammino 10.000 passi al giorno per guarire, per mantenere il mio corpo in forma. Quindi nella mia mente, sto camminando 10.000 passi scrivendo poesie ogni giorno se posso. Questo è il mio obiettivo. 

Indran Amirthanayagam ha scritto poesia per tutta la vita, a oggi fanno quasi 50 anni di scrittura. Lascio continuare lui, ora, in un flusso libero di pensieri sull’atto poetico inteso sia come taumaturgico, apotropaico che come capace di abbattere qualunque tipo di barriera.

La poesia mi ha salvato la vita molte volte. Penso che possa salvare la vita di chiunque la legga o la incontri, per strada, in un bar, in un libro. La poesia non è utile solo per i funerali, per i momenti di lamentazione, per i momenti di tristezza. Libera energie che sono divine nell’anima, all’interno, ti collega alla storia, ti collega al mondo degli spiriti. La poesia è una sorta di parola, musica. Quindi è una sorta di musica. Penso sia semplicemente musica fatta di parole, ritmi e metrica. Quindi, quando scrivo una poesia, sto scrivendo una sorta di musica. […] Quando Walt Whitman scrisse “Song of Myself”, disse: “Sono largo, contengo moltitudini”, e dicendolo, contraddice sé stesso. Siamo sia innocenza che esperienza insieme, come in William Blake, “Songs of Innocence” e “Songs of Experience”. Quindi viviamo con l’esperienza e con la tristezza e l’innocenza, e lo trasmettiamo nella nostra poesia. Quindi per me, alla fine, è un atto di salvezza, un atto di guarigione, un atto di liberazione, tutto questo nello scrivere e nel leggere poesie, non solo nello scriverle. La poesia non appartiene più al poeta. Appartiene alla persona che la incontra, che l’ascolta, che la legge. […]  Questo è un altro motivo per cui scrivo poesie, per attraversare i confini, per eliminare i confini. Non credo nei confini. Sono un migrante. Ho viaggiato attraverso i confini per tutta la mia vita. Sono nato in un paese, Ceylon, che non esiste più. Ora è conosciuto come Sri Lanka. Quindi simbolicamente, sono stato un migrante che attraversa i confini. Non mi piacciono i confini. Mi piace eliminare i confini. E l’ho fatto anche nella poesia, scrivendo oltre i confini in lingue diverse. Ho scritto libri pubblicati in cinque lingue diverse. Non perché sia vanitoso o ambizioso. penso solo che è ciò che un poeta dovrebbe fare. Distruggere i confini. Distruggere le barriere tra gli esseri umani. Questo è ciò che spero di fare. […] La poesia vive solo quando viene condivisa, quando viene letta, quando diventa parte della comunità, diventa parte del linguaggio della città, capisci. Platone non voleva poeti nella città perché tendevano verso l’irrazionale, il caotico, ma dobbiamo incanalare le energie caotiche del mondo e fare ordine da esse. E questo è ciò che facciamo come poeti.
*Foto di Giulio Tonelli

Poeta, saggista e traduttore, Indran Amirthanayagam è nato a Colombo, Ceylon (ora Sri Lanka) nel 1960. È cresciuto a Sri Lanka, Londra e Honolulu. Autore di numerose raccolte di poesie, tra cui The Elephants of Reckoning, (Gli elefanti della resa dei conti), 1993; Ceylon R.I.P. – Selected Poems, 2001; El hombre que recoje nidos (L’uomo che raccoglie nidi), 2005; The Splintered Face (Il volto scheggiato), 2008; Uncivil War (Guerra incivile), 2013; e Coconuts On Mars (Noci di cocco a marzo), 2019; The Migrant States (Gli stati migranti). Scrive, traduce e pubblica poesie e saggi in inglese, spagnolo, francese, portoghese e creolo haitiano. Diplomatico statunitense, ha vissuto in diversi paesi, tra cui Haiti, Belgio, Argentina e Repubblica della Costa d’Avorio. Le sue poesie hanno vinto un Paterson Poetry Prize e un Juegos Florales. I suoi scritti sono apparsi sul New York Times, sulla Kenyon Review, sulla New England Review, su BOMB, Siempre, La Gaceta e altre riviste. Sue poesie sono all’interno di numerose antologie, tra cui The United States of Poetry, Language for a New Century: Contemporary Poetry from the Middle East, Asia, and Beyond e ALOUD: Voices from the Nuyorican Poets Cafe. Diplomatico statunitense, Amirthanayagam ha vissuto in diversi paesi, tra cui Haiti, Belgio, Argentina e Repubblica della Costa d’Avorio. Attualmente vive e lavora a Rockville, Maryland.

Videomaker Giulio Tonelli  https://youtu.be/jOjaw2un7l8?si=isxtl1fi_a_258yp

Marco FIORAMANTI   Roma  14 Luglio 2024