Capolavori di Mantegna e altri Maestri da Musei stranieri a Palazzo Barberini: un virtuoso esempio di scambi culturali (fino al 27 gennaio)

di Nica FIORI

La Stanza di Mantegna e Gotico americano a Palazzo Barberini

Cos’è una stanza se non “un ricettacolo di tutta l’arte”, come scrisse a suo tempo Dante, sia pure parlando di poesia? Ci sono stanze dove sembra di percepire la presenza di chi ci è vissuto, tanti sono i ricordi che vi ha lasciato, mentre in altri casi il genius loci è colui che ci parla attraverso l’intensità delle sue creazioni artistiche ivi raccolte: non un fantasma, ma una presenza viva, perché l’arte è immortale.


Andrea Mantegna
(Isola di Carturo 1431 – Mantova 1506) Ecce Homo, 1500 c/a tempera su tela montata su tavola 54,7 x 43,5 cm (foto Alberto Novelli)

La stanza di Mantegna, ovvero un luogo dove aleggia metaforicamente lo spirito del grande pittore veneto, è in mostra fino al 27 gennaio 2019 a Palazzo Barberini: un’occasione da non perdere per ammirare il suo Ecce Homo (tempera su tela montata su tavola), prestato dal Museo Jacquemart-André di Parigi, insieme ad altre opere rinascimentali dello stesso ambiente veneto. L’esposizione, piccola ma di eccezionale interesse, è stata inaugurata insieme a Gotico americano, un’altra piccola mostra comprendente due Madonne gotiche del Maestro di Straus (in realtà due artisti diversi), prestate dal Museum of Fine Arts di Houston (Texas), a confronto con la Madonna del Maestro di Palazzo Venezia, che fa parte delle collezioni della Gallerie di arte antica a Palazzo Barberini. Si tratta di interessanti approfondimenti su opere italiane trasmigrate all’estero, che le Gallerie propongono, come ha precisato la direttrice Flaminia Gennari Santori, realizzando scambi con musei stranieri. In contemporanea questa volta noi abbiamo mandato in Texas l’Enrico VIII di Hans Holbein il Giovane per una mostra sui Tudors, e a Parigi opere per una mostra su Caravaggio.


Andrea Mantegna
Madonna col Bambino e i santi Gerolamo e Ludovico di Tolosa, 1455 c/a. tempera su tavola, 69,4 x 44,4 (foto Alberto Novelli)

Andrea Mantegna (1431-1506), uno degli artisti più ricchi d’inventiva del Quattrocento, nutrì una vera passione per l’archeologia e la cultura classica, tanto da firmare in lettere greche una sua opera. Il suo talento, sviluppatosi tra Padova e Venezia (dove sposò la sorella di Giovanni Bellini), gli procurò l’ambita protezione dei Gonzaga, per i quali affrescò la celebre Camera degli Sposi nel Palazzo Ducale di Mantova. Purtroppo a Roma non si conservano opere autografe di Mantegna, perché la cappella che affrescò nel Belvedere in Vaticano per Innocenzo VIII andò perduta durante ristrutturazioni settecentesche, e a maggior ragione la sua raffinata “stanza” ci appare rara e preziosa.

L’Ecce Homo, che ammiriamo in mostra, è un capolavoro di grande intensità che denota “un’acuta percezione dell’istanza prospettica, che non è puramente geometrica o spaziale, ma in primo luogo storica”, come ha evidenziato il curatore della mostra Michele Di Monte. Il momento della Passione di Cristo è qui reso in modo originale non come Pilato che presenta Cristo al popolo, ma come il popolo che presenta Cristo a Pilato, che non appare nel quadro, e a tutti noi che lo guardiamo a distanza di tanti secoli. Gesù è raffigurato a mezzo busto con le mani legate e la corda al collo, la corona di spine, i segni del flagello sulla pelle. Il suo sguardo dolente, ma allo stesso tempo sereno, si contrappone alle espressioni torve e cattive di due personaggi, raffigurati dietro le sue spalle, con al di sopra due cartigli con segni di ripiegatura, dove si leggono le intenzioni loro e degli altri giudei: Crucifige eum. Tolle eum. Crucifige Cruc(ifige): parole ripetute più volte per dar l’idea della drammaticità di quel momento storico.

Quest’opera, ascrivibile al 1500 c/a, è affiancata da un’opera giovanile dello stesso Mantegna, la Madonna con il Bambino tra i santi Gerolamo e Ludovico di Tolosa (1455), che testimonia l’interpretazione mantegnesca delle immagini della Madre di Dio, ampiamente trattate nella bottega di Giovanni Bellini e in quella padovana di Francesco Squarcione, primo maestro di Mantegna, cui sembra rifarsi la corona di frutti, posta in alto, con riferimento simbolico alla passione di Cristo, cui allude anche il sarcofago di marmo su cui poggia il cuscinetto sotto i piedi del Bambino.

Giovanni Battista Cima da Conegliano
(Conegliano 1459/60 – 1517/18) Madonna col Bambino, 1490 – 92 Olio su tavola, 44 x 33 (foto Alberto Novelli)

Il modello tipologico belliniano è presente anche nella bellissima tavola con la Madonna con Bambino di Cima da Conegliano, mentre ritroviamo l’influsso dello Squarcione in un Ritratto di profilo, eseguito da Giorgio Schiavone su pergamena: un’opera celebrativa di gusto antico che ricorda quasi una miniatura.

Giorgio Schiavone (Scardona 1433/36 – Sebenico 1504) Ritratto d’uomo , 1460 c/a Tempera su pergamena montata su tavola, 37,7 x 29,8 (foto Alberto Novelli)

Questa passione per l’antico è evidente anche nell’elegante bronzetto di Andrea Briosco, detto il Riccio, raffigurante Mosè con posa e panneggio da statua classica e con corna che ricordano quelle di Giove Ammone, e infine nel disegno di scuola mantegnesca raffigurante Ercole e Anteo. Un motivo questo che ritroviamo a Roma nella Sala delle Fatiche di Ercole a Palazzo Venezia, pure di scuola mantegnesca.

Scuola mantegnesca Ercole e Anteo Inchiostro su carta, 29,4 x 18 c (foto Alberto Novelli)

Tutti questi pezzi, di ambito per lo più padovano e datati alla seconda metà del Quattrocento, sono stati collezionati verso la fine dell’Ottocento da Edouard André e da sua moglie Nélie Jacquemart, morta nel 1912, che lasciarono in eredità la loro collezione allo Stato francese.

Lo stesso amore per l’arte ha contraddistinto un’altra famiglia di collezionisti, Edith A. e Percy S. Straus, dei merchant princes che donarono nel 1944 le loro pregevoli opere al Museum of Fine Arts di Houston. Nel corso della presentazione è stato ricordato che i genitori di Percy, ricchi ebrei possessori di grandi magazzini, morirono nel naufragio del Titanic, perché rinunciarono a salvarsi a favore di altri. Le due Madonne (tempera e foglia d’oro su tavola) prestate dal museo texano sono in ottimo stato di conservazione e spiccano per l’intensità dei colori e per il calligrafico trattamento dello sfondo e dei motivi ornamentali. La prima è del Maestro senese della Madonna Straus (attivo tra il 1340 e il 1360), influenzato dalla maniera di Simone Martini, la seconda è di un artista fiorentino, anche lui conosciuto come Maestro della Madonna Straus, attivo tra il 1385 e il 1415 ed erede della pittura gotica toscana. Le opere, che condividono alcuni motivi iconografici, in particolare l’uccello che il Bambino tiene in mano (un cardellino, simbolo della passione di Cristo, nella prima opera e una rondine nella seconda, a preannunciare la primavera, la rinascita e quindi la resurrezione), sono accostate alla Madonna del cosiddetto Maestro di Palazzo Venezia, in passato messa in relazione con il maestro senese della Madonna Straus. L’identità di questi maestri medievali non è conosciuta perché nel passato non si dava importanza al nome dell’artista, in quanto contava solo l’opera, oggetto prezioso di devozione. Le immagini divine venivano riproposte innumerevoli volte, trasmettendo quel senso del sacro, enfatizzato dalla luce divina dell’oro, che aveva la “qualità di attirare gli sguardi e di dilettarli”, come sosteneva perfino un asceta teologo come San Basilio.

-La stanza di Mantegna. Capolavori dal Museo Jacquemart-André di Parigi.

Gotico americano. I maestri della Madonna Straus

Roma, Palazzo Barberini, via delle Quattro Fontane 13. Martedì/domenica 8.30-19.00. Biglietto Barberini Corsini intero 12 €, ridotto 6 €

Nica FIORI    Roma settembre 2018