di Claudia RENZI
Caravaggio e Bernini si sono trovati a distanza di anni, più di una volta, ad affrontare lo stesso soggetto, spesso a ritrarre perfino la stessa persona.
La figura dell’eroe biblico Davide è una di quelle affrontate da entrambi, ma la loro interpretazione non avrebbe potuto essere più diversa: Caravaggio, in tutte le tele in cui tratta il tema (1599, Madrid, Museo del Prado; 1600-1601, Vienna, Kunsthistorisches Museum e 1606, Roma, Galleria Borghese), ci mostra sempre il dopo: Golia è già ucciso e il giovane David si accinge a spiccargli la testa o la esibisce già recisa; Bernini cambia approccio e, nel marmo, mette in scena per noi il prima dell’evento.
Cos’hanno in comune, allora, i David di Caravaggio e di Bernini?
Sappiamo dal libro I Samuele 17,4 che Golia era un guerriero alto 6 cubiti e 1 spanna (un’altezza di poco meno di tre metri) mentre David era un fanciullo di statura normale, troppo giovane per combattere nell’esercito di Saul, e dedito al pascolo delle pecore e alla musica. Ma quando fu chiaro che nessuno dei guerrieri di Israele avrebbe accettato la sfida del campione dei Filistei, ecco che proprio David si offrì per affrontare il nemico del popolo di Dio armato di una fionda e, soprattutto, di incrollabile fede, riuscendo nell’impresa che pareva impossibile: una pietra al centro della fronte atterrò il gigante che fu finito poi a fil di spada.
Nelle prime due tele di Caravaggio (Madrid e Vienna) David è un giovanetto fiero della sua vittoria; invece nell’ultima opera con questo tema (qui esaminata) oggi alla Galleria Borghese, David è sorprendentemente mesto: soltanto la datazione dell’opera al 1606 – ovvero, per chi scrive, poco dopo l’omicidio preterintenzionale di Ranuccio Tomassoni – e il riconoscere anche nel viso di David, oltre che in quello di Golia, un autoritratto del pittore, serve a sciogliere l’enigma[1] (Fig 1).
Gian Lorenzo Bernini, letteralmente cresciuto sotto l’ala protettrice del cardinale Scipione Borghese, ebbe modo di vedere questa tela molte volte e poterla studiare con agio, così come le altre opere del pittore che il mecenate vantava nella sua collezione.
Nel marzo 1623 il cardinale Alessandro Damasceni Peretti Montalto, pronipote di Sisto V e Vicecancelliere, aveva commissionato allo scultore il David (Fig. 2) per la sua splendida villa all’Esquilino: “Una statua del re Davide per servitio del nostro giardino”[2].
Dopo un busto ritratto (1622, Amburgo, Kunsthalle) e il Nettuno e Tritone che si stagliava nella peschiera della stessa villa (1619-21 ca., Londra, Victoria and Albert Museum), questa sarebbe stata la terza opera del giovane fenomeno della scultura per il pronipote di Sisto V e, come il Nettuno, anche il David sarebbe stato collocato all’aperto: era stato infatti concepito per essere posto sotto una loggia del Casino Felice: le zone non finite sul retro (parte inferiore e porzione di tallone sx mancante) sembrano confermare l’ipotesi di una collocazione contro una parete.
Per quanto riguarda Golia, invece, nessun marmo fu mai contemplato da Bernini: il gigante, stando all’immaginazione dello spettatore – che in tal modo sarebbe divenuto parte attiva della messa in scena – doveva sopraggiungere all’orizzonte dell’immenso, fantastico giardino di villa di Montalto. Vedendo David così contrito sotto la loggia, infatti, con quale ansia lo spettatore si sarebbe voltato per verificare? Con quale sollievo o delusione avrebbe poi compreso lo scherzo nel quale era così facilmente caduto?
Si può soltanto immaginare quanta ammirazione avrebbe infuso quel dinamismo palpitante, quella rotazione vagamente giambolognesca e tuttavia energica, quasi futurista, del corpo di David nel “caricare” la fionda che si accinge eternamente a lanciare … Ma la messa in scena non ci fu mai: l’improvvisa morte di Montalto nel giugno 1623 fece sì che il marmo berniniano venisse intercettato dal cardinale Scipione Borghese [3], che non si fece sfuggire l’occasione di aggiungere anche questa – subentrando nelle spese[4] – alle altre statue del giovane artista già presenti nella sua collezione.
Oltre alla posa innovativa, freezata nell’azione, il giovane eroe berniniano è praticamente nudo: l’inguine a malapena celato da un drappo; ai suoi piedi giace l’armatura offertagli da Saul che lui aveva rifiutato. Saul aveva infatti offerto a David corazza, elmo e spada, ma lui declinò volendo affrontare il nemico armato solo della sua fede in Dio e di una piccola pietra estratta dalla bisaccia a tracolla [5].
Il suo volto – una superba “facies leonina”[6] – esprime magistralmente tutta la tensione del momento.
Accanto alla corazza, Bernini inserisce una cetra (o più probabilmente un kinnor), allusione alla passione per la musica del committente Montalto e alle doti di musicista dell’eroe biblico – la testa d’aquila a decoro fa tuttavia intuire un riferimento, aggiunto in un secondo momento, allo stemma del nuovo proprietario, Scipione Borghese [7] – mentre l’aspetto musicale è totalmente ignorato da Caravaggio; è piuttosto la spada l’attributo che il pittore citerà tutte le volte in cui tratterà il tema, quella stessa arma che, fatalmente, causerà la sua stessa rovina.
Stando alla storiografia, Bernini si servì del proprio volto per rendere l’espressione di David:
“Nella prima Stanza dell’Appartamento verso Mezzogiorno, la Statua grande di David in atto di combattere co’l Gigante Golia, è del Cavaliere Lorenzo Bernini il quale nella testa di David ha ritratto sestesso. Posa questa statua sopra un gran piedestallo quadro di marmo guarnito d’alabastro lavorato à cartocci.”[8] (Fig. 3).
In seguito Baldinucci e Domenico Bernini arricchirono l’informazione con il noto aneddoto del cardinale Maffeo Barberini – anche lui come il cardinale Borghese patrono dell’artista sin dall’infanzia – reggente lo specchio mentre il maestro studiava le smorfie più adatte:
“La bellissima faccia di questa figura, che egli ritrasse dal proprio volto suo, con una gagliarda increspatura di ciglia all’ongiù, e col mordersi la mandibula superiore tutto il labbro di sotto, fa vedere maravigliosamente espresso tutto lo sdegno del Giovane Israelita, nell’atto di voler con la frombola pigliar la mira alla fronte del Gigante Filisteo; né dissimile risoluzione, spirito, e forza si scorge in tutte l’altre parti di quel corpo al quale, per andar di pari col vero, altro non mancava che il moto; ed è cosa notabile, che mentre egli la stava lavorando, a somiglianza di sé medesimo, lo stesso Cardinale Maffeo Barberino volle più volte trovarsi nella sua stanza e di propria mano tenergli lo specchio”[9];
“Nel lavorar egli la faccia del David sopra nominato, ritrasse allo specchio la sua con una espressiva in tutto veramente maravigliosa & il Cardinal Maffeo Barberino, che sovente nella di lui stanza si trovava, con le sue proprie mani gli tenne spesse volte lo specchio”[10].
In pratica anche Gian Lorenzo, come Michelangelo (Fig. 4), si autoritrasse come David, sebbene in questo caso si debba parlare più di uno studio di espressioni che di un autoritratto vero e proprio.
Va osservato inoltre che, qualificando Maffeo “cardinale” i due biografi confermano implicitamente che il David fu realizzato ben prima dell’agosto 1623 [11], mese in cui Maffeo divenne papa Urbano VIII, dunque la statua va supposta già a buon punto in quel giugno 1623 quando il committente originario, il cardinale Montalto, mancò prematuramente, e perfezionata in un secondo momento entro il maggio 1624 (il basamento che descrive Manilli è riconducibile infatti al cambio di destinazione, dall’aperto al chiuso. Il piedistallo originale, perduto, stando a una giustificazione di Agostino Radi, scalpellino cognato di Gian Lorenzo, era stato approntato in dimensioni analoghe a quelle dell’Apollo e Dafne – per farli sembrare appaiati) secondo le disposizioni del nuovo destinatario Sua Eminenza Borghese.
Per quel che riguarda la posa estremamente dinamica del David, Bernini pare aver tratto ispirazione sia dal Gladiatore in Villa Borghese dal 1620[12] (oggi Parigi, Musée du Louvre) restaurato da suo padre Pietro[13], che al Polifemo di Annibale Carracci in Galleria Farnese[14], ma una lezione sul movimento può averla tratta, ritengo, ancor prima da Leonardo:
“L’uomo il quale vorrà trarre un dardo, o pietra, o altra cosa con impetuoso moto può essere figurato in due modi principali, cioè o potrà esser figurato quando si prepara alla creazione del moto, o veramente quando il moto d’esso è finito. Ma se tu lo figurerai per la creazione del moto, allora il lato di dentro del piede sarà con la medesima linea del petto, ma avrà la spalla contraria sopra il piede, cioè se il piede destro sarà sotto il peso dell’uomo, la spalla sinistra sarà sopra la punta d’esso piede destro”[15] (Fig. 5 – tondo mio).
Va ricordato che Bernini affrontò il tema di David con la testa di Golia anche in pittura (1623 ca., Roma, Galleria Nazionale di Palazzo Barberini – Fig. 6) attenendosi stavolta a un’iconografia più tradizionale: l’espressione dell’eroe è fiera; la testa di Golia, mozzata, pende dalle sue mani quasi liquefatta. La pittura di Bernini in questa fase è debitrice dell’esempio di Carracci, Reni e soprattutto Guercino sebbene non manchino, in generale, echi caravaggeschi[16]: anche in questo caso, come nel marmo, Bernini si è servito dei propri lineamenti per il volto di David[17], omettendo evidentemente i baffi che era già uso portare (come si evince dal quasi contemporaneo Autoritratto giovanile, 1623 ca., Roma, Galleria Borghese – Fig. 7) e ingentilendo le sopracciglia, per accentuare la giovinezza dell’eroe.
In conclusione, l’interpretazione, seppure personalissima, una in pittura e l’altra in scultura, del tema del David da parte dei due più grandi geni del Seicento presenta in entrambi i casi un pathos fuori dal comune, che rende queste due opere, poi casualmente finite nello stesso museo, ancora oggi di forte impatto emotivo e scenografico e, di fatto, insuperabili per qualunque altro artista che vi si sia voluto o volesse cimentarvisi.
© Claudia RENZI, Roma, 25 febbraio 2024
NOTE
[1] Rimando per questo al mio Caravaggio: dalla corruzione delle fonti alla leggenda del pittore maledetto, https://www.aboutartonline.com/non-li-hobsti-laver-in-rissa-commesso-un-homicidio-caravaggio-dalla-corruzione-delle-fonti-alla-leggenda-del-pittore-maledetto/ su «About Art online» del 28.1.2024 con bibliografia precedente.
[2] Carla Benocci, Documenti inediti sul “Nettuno e Tritone” di Gian Lorenzo Bernini per la peschiera della Villa Peretti Montalto a Roma, in: «Storia della città», 50, XIV, 1989, pp. 83-86.
[3] Per i documenti si veda Italo Faldi, Faldi, Galleria Borghese. Le sculture dal sec. XVI al XIX, Roma, 1954, pp. 31-34; I. Faldi, Faldi, Note sulle sculture borghesiane del Bernini, in: «Bollettino d’arte», IV, XXXVIII, 1953, pp. 140-146, in part. P. 146, docc. II-IV; I. Faldi, Faldi, Nuove note sul Bernini, in: «Bollettino d’arte», IV, XXXVIII, 1953, pp. 310-316, in part. p. 314, doc. IV.
[4] Acconto luglio 1623, saldo aprile 1624, cfr. Howard Hibbard, Nuove note sul Bernini, in “Bollettino d’Arte”, s. IV, XLVIII, 1958, pp. 181-183 p. 183, Doc. I.
[5] Marcello Fagiolo, Cosa cela la straordinaria tecnica scultorea del Bernini: analisi di due capolavori, https://www.aboutartonline.com/cosa-cela-la-straordinaria-tecnica-scultorea-del-bernini-analisi-di-due-capolavori/ su «About Art online» del marzo 2018
[6] Rudolf Preimesberger, David (Scheda), in: Anna Coliva, Sebastian Schütze (a cura di), Bernini scultore. La nascita del Barocco in casa Borghese, Roma,1998, pp. 204-219, p. 216.
[7] Com’è noto, lo stemma Borghese contempla una viverna sorante e un’aquila; per l’osservazione si veda Cesare D’Onofrio, Roma vista da Roma, Roma, 1967, pp. 308.
[8] Iacomo Manilli, Villa Borghese fuori porta Pinciana, Roma, 1650, p. 61.
[9] Filippo Baldinucci, Vita del Cavaliere Gio. Lorenzo Bernini, Firenze, 1682, p. 8.
[10] Domenico Bernini, Vita del Cavalier Gio. Lorenzo Bernini, Roma, 1713, p. 19.
[11] Realizzato in “sette mesi” secondo F. Baldinucci, op. cit., p. 8.
[12] Katrin Kalveram, Die Antikesammlung des Kardinals Scipione Borghese, Worms, 1995 pp 111-5, 208-10, n. 94.
[13] Marina Minozzi, David (scheda), in: Andrea Bacchi, Anna Coliva (a cura di), Bernini, Roma, 2017, pp. 170-175, p. 174; Maria Assunta Sorrentino, La Stanza del Gladiatore tra realtà e memoria, in: Anna Coliva, Marina Minozzi (a cura di), La Stanza del Gladiatore ricostituita. Il capolavoro della committenza Borghese del ’700, Milano, 2004, pp. 112-114.
[14] Timon Henricus Fokker, Roman Baroque Art: the history of a style, Oxford, 1938, I, p. 128.
[15] Leonardo da Vinci, Trattato della Pittura, Roma, 1996, p. 130, Parte Terza, § 386. È altamente probabile che Bernini avesse conoscenza del Trattato della pittura di Leonardo poiché il cardinale Francesco Barberini ne aveva una copia, conservata in BAV. Cfr Hans Kauffmann, Giovanni Lorenzo Bernini. Die figürlichen Kompositionem, Berlino, 1970, pp. 51 e segg.; torna sulla questione di una possibile influenza leonardesca R. Preimesberger, op. cit., p 212.
[16] Il primo ad attribuire il bel dipinto a Gian Lorenzo Bernini fu Antonio Muñoz, Bernini pittore, in: «Rassegna d’arte antica e moderna», 20, 1920, pp. 145-50, p. 149; rifiutato da Heinrich Brauer, Rudolf Wittkower, Die Zeichnungen des Gianlorenzo Bernini, Berlino, 1931, p. 151 salvo poi ripensamento di Rudolf Wittkower, Arte e architettura in Italia 1600-1750, Torino, 1993 [1958], p. 165, n. 40 a seguito della pubblicazione da parte del marchese Incisa della Rocchetta dei documenti in possesso dell’allora proprietaria del dipinto, sua moglie Eleonora Chigi, comprovanti l’attestazione della paternità berniniana sin dal 1658 (epoca in cui apparteneva al principe Agostino Chigi) in Giovanni Incisa della Rocchetta, I disegni di Gian Lorenzo Bernini sulla scorta di un libro recente, in: «Roma», 10, 1932, pp. 495-510, p. 507. Le diatribe attorno alla datazione sono state riassunte e sciolte da Tomaso Montanari, Gian Lorenzo Bernini e Sforza Pallavicino, in: «Prospettiva», nn. 87-88, 1997, pp. 42, 68; T. Montanari, Bernini pittore, Milano, 2007, pp. 124-17 (Scheda).
[17] Ad avere l’intuizione Maurizio Fagiolo Dell’Arco, Marcello Fagiolo, Bernini. Una introduzione al gran teatro del barocco, Roma, 1967, Scheda 37; dissente T. Montanari, op. cit., 2007, p. 126.
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