Caravaggio, Bernini e il tema della “Medusa”: crediti, motivazioni e simbolismi tra realismo e finzione.

di Claudia RENZI

Delle tre Gorgoni, figlie di divinità marine, soltanto Medusa era mortale. Bella al punto che Poseidone se ne invaghì e la sedusse, secondo Ovidio la violenza ebbe luogo in un tempio dedicato ad Athena che, furiosa per l’affronto, punì la vittima trasformandola in un mostro dallo sguardo pietrificante e mutando i suoi bellissimi capelli in serpenti [1].

Sarà Perseo, dopo una serie di peripezie, ad affrontarla: Athena ed Hermes gli forniranno per l’impresa la magica sacca kibisis, per riporre la testa mozzata, l’harpe, un falcetto rituale dalla lama ricurva, e infine uno scudo lucidato a specchio, che consentirà al giovane di evitare il letale sguardo della gorgone. Sconfitta dallo stratagemma, dal suo collo reciso nasceranno tuttavia Pegaso e Crisaore (generati con Poseidone), Afesibena e i coralli (gorgonia), mentre il sangue raccolto avrà proprietà magiche: quello colato dalla vena sx sarà mortale, quello colato dalla vena dx vitale, tanto che Athena consegnerà poi due ampolle ad Asclepio, una per togliere la vita l’altra per resuscitare i morti: all’ingiusta condanna farà cioè da contraltare una sorta di contrappasso riabilitante.

Perseo restituirà infine il falcetto ad Hermes e consegnerà la testa della gorgone ad Athena, detta anche la “serpentina”, che la porrà sull’egida o sullo scudo, a seconda delle rappresentazioni. Da allora, in ambito soprattutto romano, la testa di Medusa sarà considerata un emblema beneaugurante.

Sia Caravaggio che Bernini hanno affrontato, ciascuno a proprio originale modo, il tema della Medusa.

Caravaggio dipinse la rotella/scudo raffigurante Medusa oggi agli Uffizi (Fig. 1) su commissione, come informa Baglione:

Una testa di Medusa con capelli di vipere assai spaventosa sopra una rotella rapportata che dal cardinale [Del Monte] fu mandata in dono a Ferdinando Granduca di Toscana.”[2].
Fig. 1 – Caravaggio, Medusa, Firenze, Galleria degli Uffizi

Il cardinale Francesco Maria Del Monte partì da Roma per Firenze in missione diplomatica nell’aprile 1598, dove rimase fino a gennaio 1599, e la Medusa comparve in effetti negli inventari medicei già dal settembre di quello stesso anno[3]. Si stima dunque che Caravaggio abbia realizzato l’insolito dipinto tra seconda metà 1597 e inizi 1598.

La Medusa di Caravaggio non è, tecnicamente, un dipinto su legno: si tratta infatti di un dipinto su tela di lino applicata [rapportata, appunto] su supporto ligneo, pioppo per la precisione. E non è un unicum: la cosiddetta Medusa Murtola (Milano, coll. priv), la cui scoperta si deve a Maurizio Marini che ne dà notizia nel 1997[4], ne è la versione di prova, dunque di poco cronologicamente precedente (Fig. 2).

Fig. 2 – Caravaggio, Medusa cd Murtola, Milano, coll. priv.

Anch’essa è realizzata allo stesso modo della versione fiorentina: consiste cioè di una tela applicata su legno, fico in questo caso, sulla quale è stata poi stesa la mestica e finalmente la pittura – dettaglio non da poco nel farla ritenere autografa. Essendo, almeno per quanto è noto, la prima volta che Caravaggio usava un simile supporto, c’è da ritenere che abbia voluto andare sul sicuro e dipingere prima nel modo a lui più congeniale, cioè su tela: la Medusa Murtola va considerata perciò una sorta “brutta” della versione oggi agli Uffizi; risulta infatti avere più numerose e inequivocabili tracce di disegno dell’altra, soprattutto nelle zone degli occhi, dei denti e dei serpenti[5].

La Medusa Murtola reca a margine la sigla “Michel A. f.” scritta nel sangue, che è ragionevole sciogliere in “Michel Angelo fecit”: una firma nel sangue proprio come, molti anni dopo, Caravaggio userà per la Decollazione del Battista a Malta. In mezzo, una non breve teoria di altre teste decollate, quasi una premonizione del bando capitale che penderà sull’ultimo concitato periodo della vita del pittore. Mettendo a confronto le due firme risultano riconducibili senza troppe perplessità alla stessa mano (Fig. 3).

Fig. 3 – Caravaggio, Medusa Murtola, coll. priv. Milano, Decollazione di Giovanni Battista, cattedrale, La Vallet

La versione Murtola deve il suo nome al poeta Gaspare Murtola, presente a Roma nell’anno 1600, che dedica alla rotella di Caravaggio un madrigale [6] che non solo costituisce la prima fonte menzionante l’opera ma, essendo la versione oggi agli Uffizi a quel tempo già a Firenze, descrive la prima versione, rimasta a Roma, che poi ha preso il nome del poeta. Da questo è deducibile esistessero e fossero note due Meduse autografe di Caravaggio, come sopra identificate.

La versione agli Uffizi sarà invece vista nel 1601 a Firenze da Gian Battista Marino, che le dedicherà altri famosi versi inclusi nel poema La Galeria, pubblicato a Venezia nel 1620[7].

Imprescindibili risultano due precedenti leonardeschi: la rotella mostruosa realizzata quasi per scherzo e, venduta dal padre ser Piero, finita a Milano e poi perduta, e la Medusa descritta sempre da Vasari

Venneli fantasia di dipingere in un quadro a olio una testa d’una medusa con una acconciatura in capo con uno agrupamento di serpi la più strana e stravagante inventione che si possa immaginare mai: ma come opera che portava tempo , e come quasi in tutte le cose sue, rimase imperfetta.”[8]

e rimasta invece a Firenze, rievocata in un’incisione di Cornelis Cort (Fig. 4) e poi andata smarrita, tanto che si è perfino supposto che la commissione a Caravaggio fosse sopravvenuta a sostituzione dell’originale leonardesco scomparso dagli inventari medicei già dal 1587 e con il quale, nell’inventario mediceo del 1631[9], è addirittura confusa[10].

Fig. 4 – Cornelis Cort, Testa di Medusa, Bruxelles, Bibliothèque Royale
Fig. 5 – Leonardo, Testa d’uomo urlante studio per la Battaglia di Anghiari, Budapest, Szépmuvészeti Museum

Senz’altro utile è anche un confronto con la Furia infernale (o Anima dannata) di Michelangelo (Firenze, Galleria degli Uffizi), che Caravaggio può aver conosciuto da incisioni e che gravita nello stesso contesto degli studi di espressione di Leonardo quali ad esempio la Testa d’uomo urlante (Budapest, Szépmuvészeti Museum – Fig. 5), ma vanno tenuti conto anche altri esempi che il pittore potrebbe aver visto a Roma, come la cosiddetta Tazza Farnese, ai tempi di Caravaggio in Palazzo Farnese, recante sul verso il volto della gorgone[11].

Caravaggio fuse di fatto i particolari del supporto rotondo e del tema mitologico in un ideale confronto con il genio vinciano, di cui a Milano aveva visto e studiato direttamente diverse opere, e vale la pena di ricordare che nell’inventario dei beni del pittore stilato a Roma il 26 agosto 1605 figurano una “rotella” e uno specchio convesso[12], cioè due elementi presenti, a diverso titolo, nella Medusa: la rotella in quanto scudo di Perseo, lo specchio come superficie riflettente per sconfiggere la gorgone.

Dapprima collocata nell’Armeria medicea, tra i manufatti orientali, e montata su un manichino di cavaliere armato, la Medusa agli Uffizi è sia scudo da parata che simbolo propiziatorio. Il cardinale Del Monte, del resto, era stato protettore di Cesare Ripa, che nella sua Iconologia sottolinea l’aspetto apotropaico e antivanitas di Medusa: un dono celebrativo dal significato beneaugurante abbastanza chiaro.

Caravaggio ci mostra Medusa nel momento immediatamente precedente la morte: Perseo le ha appena reciso la testa e lei, ancora cosciente, realizza di aver incrociato il suo stesso fatale sguardo nello scudo-specchio; Caravaggio ce la mostra nel momento cioè in cui la sventurata creatura comprende che, per via di quello stratagemma, morirà e tuttavia sarà anche, finalmente, libera.

È probabile che Caravaggio abbia ripreso i propri lineamenti allo specchio per il volto della gorgone, tuttavia non si tratta di un vero e proprio autoritratto, ma di uno studio di espressione di leonardesca e michelangiolesca memoria, ricorrendo al modello più economico e a portata di mano: sé stesso.

Da scartare dunque l’ipotesi, avanzata da Marini [13], che il modello sia una donna in carne ed ossa, addirittura Fillide Melandroni (per la cui identificazione in vari dipinti del maestro rimando al mio precedente contributo https://www.aboutartonline.com/caravaggio-e-il-ritratto-femminile-fillide-melandroni-una-storia-di-modelle-e-di-riconoscimenti/).

La bocca di Medusa sembra a prima vista disallineata: è un limite della fotografia, ovvero un’immagine 2D, piatta, che ne dà una percezione distorta (le radiografie hanno evidenziato correzioni in quest’area sia nella versione Murtola che in quella agli Uffizi) ma in generale il pittore, anche grazie all’uso dell’ombra che si staglia sullo sfondo verde vescica, riesce a creare l’illusione della tridimensionalità in maniera assolutamente convincente.

Quasi fotografica è anche la raffigurazione dei serpenti: alcuni erpetologi hanno individuato fino a 9 specie di vipera aspis fedelmente ritratti [14], presumibilmente dal vivo, dal pittore: sappiamo che Del Monte si dilettava di farmacologia e aveva preparato persino una pillola contro i veleni delle vipere, Caravaggio può aver dunque studiato con agio i rettili a Palazzo Madama [15] dove viveva, ospite del cardinale, dal luglio 1597.

Fig. 6 – Caravaggio, Medusa, Firenze, Galleria degli Uffizi (partic.)

Al realismo, Caravaggio ha aggiunto la finzione: il serpente in basso, sotto al mento di Medusa, è morente perché ha appena incrociato lo sguardo della gorgone[16]; si sta letteralmente pietrificando sotto agli occhi dello spettatore (Fig. 6).

Lo spettatore è nei panni di Perseo e vede la scena come in un frame cinematografico: lo indica il fatto che gli occhi sgranati di Medusa non incrociano i nostri nel riflesso, ma i propri.

L’espressione stravolta del volto, furiosa e angosciata, il fiotto di sangue, il dimenarsi disperato dei serpenti… tutto concorre a colpire lo spettatore lasciandolo sgomento; un ventaglio di emozioni lo raggiunge in maniera improvvisa, quasi uno schiaffo in pieno volto.

Tanto pathos sarà eguagliato solo diversi anni dopo, ma in tutt’altro contesto, da Gian Lorenzo Bernini.

A differenza di quella di Caravaggio, la sua Medusa (Fig. 7) è innanzitutto viva – il suo collo infatti non è reciso – e sta penosamente prendendo coscienza della propria rovina.

Fig. 7 – Gian Lorenzo Bernini, Medusa, Roma, Palazzo dei Conservatori
Fig. 8 – Gian Lorenzo Bernini, Medusa, Roma, Palazzo dei Conservatori (partic.)

La sua condizione non ispira terrore, ma pietà: la fanciulla abusata da un dio e maledetta da una dea ha appena soltanto iniziato a soffrire. La testa non è ancora completamente anguicrinita; si intravedono infatti, tra le serpi, alcune ciocche di capelli (Fig. 8), poiché Ovidio scrisse “Minerva […] trasformò i capelli della Gorgone in orridi serpenti”: Bernini ci mostra dunque il momento della trasformazione, il mentre dell’evento, la metamorfosi dolorosa e ineluttabile subito successiva alla maledizione di Athena.

Nessun documento attesta la data esatta della Medusa berniniana, tantomeno una committenza poiché, probabilmente, fu un’opera realizzata per sé stesso: la scrivente la colloca poco dopo la rottura (estate 1638) con l’amante Costanza Bonarelli (Fig. 9) che, già fedifraga, tradendo anche lo scultore nell’arcinota vicenda, l’ha indispettito al punto da spingerlo a ritrarla come il “mostro” che si era rivelata essere.

Fig. 9 – Gian Lorenzo Bernini, Ritratto di Costanza Bonarelli, Firenze, Museo Nazionale del Bargello

E’ infatti  riscontrabile nella Medusa una seppur vaga somiglianza con la spregiudicata bella toscana (Fig. 10)

Fig. 10 – Gian Lorenzo Bernini, Ritratto di Costanza Bonarelli e Medusa (partic.)

e potrebbe allora non essere un caso che, come in Caravaggio, alcuni dei serpenti berniniani siano strettamente intrecciati (Fig. 11): da Plinio in poi, i serpenti erano emblema di lussuria.

Fig. 11 – Caravaggio e Bernini, Medusa (partic. serpi).

Il primo a inserire la Medusa nel catalogo delle opere berniniane fu Agostino Tofanelli nel Catalogo delle sculture antiche e de’ quadri esistenti nel museo e galleria del Campidoglio nel 1817[17] sebbene il busto risulti documentato in Campidoglio sin dal 1734[18].

Baldinucci citò nell’elenco finale delle opere berniniane presente nella sua biografia del maestro alcuni marmi in maniera estremamente generica indicandoli soltanto come “teste fino al numero di 15 in altri luoghi[19]: Nava Cellini fu la prima a ipotizzare che la Medusa, che non è citata esplicitamente nelle biografie di Bernini firmate da Baldinucci e dal figlio Domenico, possa essere inclusa nel novero di quelle “teste” dai soggetti non identificati e site in luoghi altrettanto imprecisati[20].

Quel che è certo è che, dopo il matrimonio con Caterina Tezio (maggio 1639), sia la Medusa che il busto di Costanza Bonarelli sparirono dalla casa dello scultore [21] e mentre il busto finì in Toscana[22], Medusa passò probabilmente al cardinale Alessando Bichi o al fratello Celio, entrambi orbitanti nell’entourage dei Barberini, sebbene ricerche d’archivio non abbiano portato a chiarimenti in tal senso. È comunque un Bichi, Francesco, a donare la Medusa al Campidoglio nel 1731.

Partito forse da un dispetto verso l’ex amante, Bernini è presto andato oltre il tema della testa mostruosa, creando qualcosa di ben più serio. Sembra che egli abbia contemplato cioè il tema della “Medusa dall’atroce destino”, per dirla con Lucano [23]: Medusa è ancora bella – la sua persistente sensualità è percepibile dalla bocca schiusa, accostabile a quella della Giuditta (Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica Palazzo Barberini) caravaggesca (Fig. 12) – ma sta già tragicamente mutando nel terribile mostro del quale gli stessi rettili che le ricadevano sulle spalle evitavano di incrociare lo sguardo. È, come l’ha definita Lavin, “ritratto del mostro vivente[24].

Fig. 12 – Gian Lorenzo Bernini, Medusa; Caravaggio, Giuditta e Oloferne (partic.)

Le palpebre all’ingiù e l’attitudine lamentosa sono un omaggio alla statuaria antica, dal Laocoonte alle varie Niobidi che lo scultore tanto ammirava, e che ha fuso qui in un capolavoro di virtuosismo.

Non c’è motivo di escludere che Bernini conoscesse sia le descrizioni della perduta Medusa leonardesca che la Medusa di Caravaggio ma, come visto, ha approcciato il tema in maniera alquanto differente.

In ogni caso, i due più grandi geni del Seicento hanno lasciato straordinarie interpretazioni del tema di Medusa, coprendo sia il prologo che l’epilogo del mito in modo magistrale, tanto che si può loro riconoscere, prendendo in prestito uno dei versi di Marino, che: “La vera Medusa è il valor vostro”!

© Claudia RENZI, Roma, 1 ottobre 2023

NOTE

[1] Ovidio, Metamorfosi, IV, vv. 787-803.
[2] Giovanni Baglione, Le vite de’ pittori scultori et architetti. Dal pontificato di Gregorio XIII del 1572. In fino a’ tempi di papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma, 1642, p. 136.
[3] Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi ASF), Guardaroba Medicea, 204, f. 18r, per cui si rimanda a Alessandro Conti, Alle origini della Galleria, in: Paola Barocchi (a cura di), Palazzo Vecchio: committenza e collezionismo medicei, Firenze, 1980, pp. 245-250, p. 250; Paola Barocchi, Giovanna Gaeta Bertelà (a cura di), Collezionismo mediceo e storia artistica. Da Cosimo I a Cosimo II 1540-1621, Firenze, 2002, p. 43.
[4] Maurizio Marini, Michelangelo from Caravaggio, Gaspare Murtola and “the poisoned locks of Medusa”, New York, 1997, poi Caravaggio, Gaspare Murtola e “la chioma avvelenata di Medusa”, Venezia, 2003; esposta in pubblico alla mostra milanese Il Cinquecento lombardo. Da Leonardo a Caravaggio, di cui Marini in: Flavio Cardi (a cura di), Il Cinquecento lombardo. Da Leonardo a Caravaggio, Milano, 2000, curò la scheda, pp. 482-85; Maurizio Marini, Denis Mahon, Caravaggio, Murtola e “la chioma avvelenata di Medusa”, in «Artibus et Historiae», 2004, vol. 25, n. 49, pp. 175-184; M. Marini, Caravaggio “pictor praestantissimus”, Roma, 2005, (scheda) pp. 413-415.
[5] Stefano Scarpelli, La Medusa. tecnica, stato di conservazione e restauro, in: Caterina Caneva (a cura di), La Medusa del Caravaggio restaurata, Roma, 2002, pp. 121-31, p. 124; Teobaldo Pasquali, Le indagini diagnostiche. Principali risultati, in: C. Caneva (a cura di), op. cit., pp. 133-38, p. 135; M. Marini, op. cit., 2005, p. 414.
[6] Gaspare Murtola, De i lirici del Sig. Gasparo Murtola detto lo Scioperato Insensato, Venezia, 1601 (Per lo scudo di Medusa. Pittura del medesimo [Caravaggio]).
[7] Giambattista Marino, La Galeria del Cavalier Marino. Distinta in Pitture et Sculture, Milano, 1620 (La testa di Medusa in una rotella di Michelagnolo da Caravaggio in Galeria del G. D. di Toscana).
[8] Giorgio Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, Roma, 1997, pp. 559-560.
[9] ASF, Guardaroba Medicea, 513, f. 2r, citato in: Detlef Heikamp, La Medusa del Caravaggio e l’armatura dello Scià Abbas di Persia, in: «Paragone», XVII, 199, 1966, pp. 72-76, p. 67; G. Gaeta Bertelà, op. cit., p. 43 (con trascrizione completa dell’inventario).
[10] Giacomo Berra, La “Medusa tutta serpeggiata” del Caravaggio: fonti mitologico-letterarie e figurative, in: AA. VV., Caravaggio. La Medusa. Lo splendore degli scudi da parata del Cinquecento, Milano, 2004, pp. 55-83, pp. 62.
[11] Per questo e altri illustri precedenti si veda Paolo Moreno, Medusa e altro antico nel Caravaggio, in: AA. VV., op. cit., 2004, pp. 35-45, p. 38; Francesco Rossi, La Medusa del Caravaggio: ipotesi iconografiche, in: AA.VV., op. cit., 2004, pp. 47-54.
[12] Maurizio Marini, Sandro Corradini, “Inventarium omnium et singolorum bonorum mobilium” di Michelangelo da Caravaggio pittore, in: «Artibus et Historiæ», 28, 1993, pp. 167-69.
[13] M. Marini, op. cit., 2005, p. 414.
[14] Stefano Vanni, Annamaria Nistri, I serpenti della Medusa, in: C. Caneva (a cura di), op. cit., pp. 61-62.
[15] G. Berra, op. cit., p. 76.
[16] Irving Lavin, Il Busto di Medusa di Bernini: un doppio senso terrificante, in: Elena Bianca Di Gioia (a cura di), La Medusa di Gian Lorenzo Bernini. Studi e restauri, Roma, 2007, pp. 61-119, p. 100.
[17] Agostino Tofanelli, Catalogo delle sculture antiche e de’ Quadri esistenti nel museo e galleria del Campidoglio descritte da Agostino Tofanelli direttore del medesimo museo diviso in due parti, Roma, 1817.
[18] Come attesta l’Inventario dei mobili del palazzo de’ Signori Conservatori redatto da Bernardino Monti conservato nell’Archivio Capitolino, Camera Capitolina, Cred. 6, tomo 107, catena 508, anni 1734-1818, cc. 6rv, citato in: Giuseppe Chironi, Il diplomatico Bichi-Ruspoli 1311-1791, in: «Bullettino Senese di Storia Patria», 1998, pp. 310-395, p. 324.
[19] Filippo Baldinucci, Vita del Cavaliere Gio. Lorenzo Bernini, Firenze, 1682, p. 105.
[20] Antonia Nava Cellini, Ipotesi sulla ‘Medusa’ capitolina e sulle probabili ‘teste’ di Gian Lorenzo Bernini, in: «Paragone», XXXIX, 457, 1988, pp. 29-34, p. 30.
[21] Per quel che riguarda il Ritratto di Costanza, dalla corrispondenza di Giulio Mazzarino abbiamo notizia che in casa di Bernini rimase quantomeno il modellone in terracotta: esso è infatti citato in una lettera datata 25 gennaio 1641 assieme al busto di Scipione Borghese (le cui due versioni in marmo risalivano al 1633 e alla data del 1641 erano già da anni in collezione Borghese) e altri. Per la lettera si veda Madeleine Laurain-Portemer, Études mazarines, Parigi, 1981.
[22] Ne riassume la storia Tomaso Montanari, Ritratto di Costanza Bonarelli (scheda), in: Bacchi, Tomaso Montanari, Beatrice Paolozzi Strozzi, Dimitros Zikos (a cura di): I marmi vivi. Bernini e la nascita del ritratto Barocco, Firenze, 2009, pp. 326-331.
[23] Lucano, Pharsalia, IX, vv. 628-37 (La guerra civile).
[24] I. Lavin, op. cit., p. 94.

BIBLIOGRAFIA

  • VV., Caravaggio. La Medusa. Lo splendore degli scudi da parata del Cinquecento, Milano, 2004
  • Agostino Tofanelli, Catalogo delle sculture antiche e de’ Quadri esistenti nel museo e galleria del Campidoglio descritte da Agostino Tofanelli direttore del medesimo museo diviso in due parti, Roma, 1817
  • Alessandro Conti, Alle origini della Galleria, in: Paola Barocchi (a cura di), Palazzo Vecchio: committenza e collezionismo medicei, Firenze, 1980, pp. 245-250
  • Antonia Nava Cellini, Ipotesi sulla ‘Medusa’ capitolina e sulle probabili ‘teste’ di Gian Lorenzo Bernini, in: «Paragone», XXXIX, 457, 1988, pp. 29-34
  • Bacchi, Tomaso Montanari, Beatrice Paolozzi Strozzi, Dimitros Zikos (a cura di): I marmi vivi. Bernini e la nascita del ritratto Barocco, Firenze, 2009
  • Caterina Caneva (a cura di), La Medusa del Caravaggio restaurata, Roma, 2002
  • Detlef Heikamp, La Medusa del Caravaggio e l’armatura dello Scià Abbas di Persia, in: «Paragone», XVII, 199, 1966, pp. 72-76
  • Elena Bianca Di Gioia (a cura di), La Medusa di Gian Lorenzo Bernini. Studi e restauri, Roma, 2007
  • Ermanno Zoffili (a cura di),  La prima Medusa, Milano, 2011
  • Filippo Baldinucci, Vita del Cavaliere Gio. Lorenzo Bernini, Firenze, 1682
  • Flavio Cardi (a cura di), Il Cinquecento lombardo. Da Leonardo a Caravaggio, Milano, 2000
  • Francesco Rossi, La Medusa del Caravaggio: ipotesi iconografiche, in: AA.VV., La Medusa. Lo splendore degli scudi da parata del Cinquecento, Milano, 2004, pp. 47-54
  • Gaspare Murtola, De i lirici del Sig. Gasparo Murtola detto lo Scioperato Insensato, Venezia, 1601
  • Giacomo Berra, La “Medusa tutta serpeggiata” del Caravaggio: fonti mitologico-letterarie e figurative, in: AA. , Caravaggio. La Medusa. Lo splendore degli scudi da parata del Cinquecento, Milano, 2004, pp. 55-83
  • Giambattista Marino, La Galeria del Cavalier Marino. Distinta in Pitture et Sculture, Milano, 1620
  • Giorgio Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, Roma, 1997
  • Giovanni Baglione, Le vite de’ pittori scultori et architetti. Dal pontificato di Gregorio XIII del 1572. In fino a’ tempi di papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma, 1642
  • Giuseppe Chironi, Il diplomatico Bichi-Ruspoli 1311-1791, in: «Bullettino Senese di Storia Patria», 1998, pp. 310-395
  • Irving Lavin, Il Busto di Medusa di Bernini: un doppio senso terrificante, in: Elena Bianca Di Gioia (a cura di), La Medusa di Gian Lorenzo Bernini. Studi e restauri, Roma, 2007, pp. 61-119
  • Lucano, Pharsalia
  • Madeleine Laurain-Portemer, Études mazarines, Parigi, 1981
  • Maurizio Marini, Caravaggio pictor praestantissimus, Roma, 2005
  • Maurizio Marini, Denis Mahon, Caravaggio, Murtola e “la chioma avvelenata di Medusa”, in «Artibus et Historiae», 2004, vol. 25, n. 49, pp. 175-184
  • Maurizio Marini, Sandro Corradini, “Inventarium omnium et singolorum bonorum mobilium” di Michelangelo da Caravaggio pittore, in: «Artibus et Historiæ», 28, 1993, pp. 167-69.
  • Maurizio Marini, Caravaggio, Gaspare Murtola e la chioma avvelenata di Medusa, Venezia, 2003
  • Maurizio Marini, Michelangelo from Caravaggio, Gaspare Murtola and “the poisoned locks of Medusa”, New York, 1997
  • Ovidio, Metamorfosi
  • Paola Barocchi (a cura di), Palazzo Vecchio: committenza e collezionismo medicei, Firenze, 1980
  • Paola Barocchi, Giovanna Gaeta Bertelà (a cura di), Collezionismo mediceo e storia artistica. Da Cosimo I a Cosimo II 1540-1621, Firenze, 2002
  • Paolo Moreno, Medusa e altro antico nel Caravaggio, in: VV., Caravaggio. La Medusa. Lo splendore degli scudi da parata del Cinquecento, Milano, 2004, pp. 35-45
  • Stefano Scarpelli, La Medusa. tecnica, stato di conservazione e restauro, in: Caterina Caneva (a cura di), La Medusa del Caravaggio restaurata, Roma, 2002, pp. 121-31
  • Stefano Vanni, Annamaria Nistri, I serpenti della Medusa, in: C. Caneva (a cura di), La Medusa del Caravaggio restaurata, Roma, 2002, pp. 61-62
  • Teobaldo Pasquali, Le indagini diagnostiche. Principali risultati, in: Caneva (a cura di), La Medusa del Caravaggio restaurata, Roma, 2002, pp. 133-38
  • Tomaso Montanari, Ritratto di Costanza Bonarelli (scheda), in: Bacchi, Tomaso Montanari, Beatrice Paolozzi Strozzi, Dimitros Zikos (a cura di): I marmi vivi. Bernini e la nascita del ritratto Barocco, Firenze, 2009, pp. 326-331