di Michele CUPPONE
Caravaggio#50: le novità emerse dal convegno scientifico sulla Natività di Palermo
Fig. 1 – Locandina del convegno La Natività con i Santi Lorenzo e Francesco di Michelangelo Merisi da Caravaggio (Palermo, oratorio di S. Lorenzo, 14 ottobre 2019)
Caro Direttore,
sebbene, come sai, con qualche titubanza iniziale, accolgo il tuo cortese invito a rilasciare un breve resoconto del convegno scientifico dedicato alla Natività di Caravaggio nel 50° del furto, tenutosi nell’oratorio di S. Lorenzo a Palermo il 14 ottobre scorso (fig. 1). All’incontro organizzato da Bernardo Tortorici, moderato da Maurizio Vitella e introdotto da padre Giuseppe Bucaro, sono intervenuti, oltre allo scrivente, Francesca Curti e Giovanni Mendola. Ciò che mi ha convinto a tornare sul tema sono state, al solito, le novità; diverse delle quali discendenti da un costruttivo dialogo fra relatori e pubblico. Esse hanno potuto precisare utilmente anche precedenti osservazioni dello scrivente; tra cui alcune annotazioni di carattere iconografico, pubblicate proprio su About Art, che già smentivano l’ipotesi in controtendenza di John T. Spike di identificare san Giuseppe nella figura in piedi con il bastone.
La prima novità del convegno, frutto di un’osservazione condivisa nella stessa giornata da chi scrive con Francesca Curti, è stata poi presentata e ben illustrata da quest’ultima. Si riporta di seguito il relativo passaggio, originariamente inserito all’interno dell’analisi dei vari soggetti che, fra Roma e Palermo, ruotarono attorno alla commissione formalmente avviata da Fabio Nuti per il quadro della Natività: «È anche interessante il fatto che gli interessi di Fabio Nuti (del banco Nuti-Spennazzi), che lavorava a Napoli e aveva una sede a Salerno, non erano soltanto rivolti verso Roma o la Toscana, ma evidentemente anche verso la Sicilia. Lo dimostra un documento trovato da Giovanni Mendola, risalente all’8 marzo 1601, che attesta transazioni con il mercante Cesare de Avosta, confrate della compagnia di San Francesco (la quale aveva sede nell’oratorio di S. Lorenzo). E c’era poi anche questa singolare coincidenza, che forse coincidenza non è, che anche Cesare de Avosta, pur vivendo a Palermo, era originario di Salerno. E credo che questo collegamento sia molto rilevante, sempre per indirizzare appunto verso una commissione palermitana del quadro ‘Nuti’». In definitiva, proprio Cesare de Avosta potrebbe essere stato fra i principali tramiti, da Palermo, per raggiungere Caravaggio, attraverso il mercante Fabio Nuti il quale aveva vissuto e aveva ancora occasione di recarsi a Roma; e potrebbe così spiegare meglio l’iter di questa commissione.
Fig. 2 – Michelangelo Merisi da Caravaggio, Natività, 1600, già Palermo, oratorio di S. Lorenzo (part.).
Fig. 3 – Andrej Rublëv (attr.), Natività, primi decenni del XV secolo.
Più spazio necessitano le colte riflessioni di don Mario Torcivia, prete della Chiesa di Palermo e Ordinario di Teologia spirituale presso lo Studio Teologico S. Paolo (Catania), intervenuto dal pubblico. La prima appunto è sull’identificazione del pastore e di san Giuseppe (fig. 2). Con riferimento all’icona della Natività di Rublëv (fig. 3), per Torcivia: «La Natività ha a che vedere solo con Maria, intorno alla quale ci sono gli angeli, i Magi in cammino, i pastori. E poi, in basso, sono scritte le due affermazioni teologiche fondamentali – Gesù Cristo è vero Uomo e vero Dio – una delle quali è ripresa da Caravaggio. Inizio con le due levatrici, che Caravaggio non rappresenta. Una delle tentazioni è: “Non è vero Uomo”. Ma se ci sono le levatrici (secondo la tradizione, Zelomi/Eva e Salome sono i loro nomi), allora è vero Uomo, perché stanno facendo il bagno al bimbo. Ma ecco la seconda tentazione. Il pastore che dialoga con san Giuseppe, nella tradizione iconografica cristiana, è Tirso – che poi è il bastone di Dioniso, dei satiri e dei baccanti – che è la personificazione del diavolo, che si presenta come pastore: ecco perché è vestito con le pelli. E non è il pastore che adora perché, se fate caso, anche in Caravaggio, Giuseppe guarda Tirso. Entrambi però sono fuori dall’evento Natività – nella Natività di Caravaggio c’è Maria, il Bambino e poi ci sono i due santi la cui presenza appare scontata: Lorenzo (per l’oratorio di S. Lorenzo) e, anche qui, con un punto interrogativo, ‘Francesco’ (per la compagnia di San Francesco) – ma il punto è che Tirso tenta Giuseppe sulla divinità. Se le levatrici ci dicono che il bimbo è veramente Uomo (il bagno), il pastore-diavolo Tirso (con il bastone, che Caravaggio riprende) tenta dicendo: “Ma com’è possibile che una vergine partorisca un figlio e com’è possibile che tu, anziano, possa essere fecondo? Tu sei come questo bastone, che rimane secco”. A questa tentazione, risponde la tradizione cristiana – qui, in Caravaggio, però assente – che raffigura il bastone che fiorisce, il bastone gigliato di Giuseppe. Quindi, Giuseppe sta in basso, per i fatti suoi, e non guarda Maria perché, ripeto, nell’evento Natività, Giuseppe non c’entra; è un personaggio marginale. Diventa però ‘centrale’ perché sta dicendo, attraverso la tentazione che subisce da parte di Tirso, “No, realmente il bimbo è vero Dio”. Il pastore che dialoga con Giuseppe è pertanto Tirso, per cui Caravaggio è perfettamente inserito nella tradizione iconografica cristiana, che poi abbiamo perso, e che è rimasta solo nelle icone orientali; ma lì è chiarissimo».
Ancora, don Mario, sull’identificazione di san Francesco e, di conseguenza, sulla datazione del quadro: «Anche a me non convince pensare che il personaggio orante sul fondo sia san Francesco. Di sicuro, il dipinto non è stato fatto a Palermo, per un semplice motivo. Perché se fosse stato fatto qui a Palermo … guardate il san Francesco del Serpotta sulla sommità dell’arco trionfale: quello è l’abito dei Conventuali. Ora, non c’è nessuna famiglia francescana che fa dipingere qualcosa per sé, che non faccia raffigurare Francesco secondo i suoi abiti, nel colore e nella forma. Dunque, in alto, sull’arco, c’è l’abito dei Conventuali, e lo possiamo vedere ancora oggi indossato dai frati dell’adiacente Basilica di S. Francesco d’Assisi. Quello di Caravaggio non è un abito dei Conventuali: quello è un abito o degli Osservanti, o dei Riformati, o degli Alcantarini (ma non dei Cappuccini). Ma, mentre sono convinto su Tirso, questa di Francesco è un’ipotesi: per me, non è lui».
A queste ultime parole si è collegato Giovanni Mendola. Così egli si è espresso, sul «saio del frate, supposto san Francesco»: «[esso] mi fa ricordare la presenza, tra i confrati della compagnia di San Francesco, di fra’ Innocenzo da Chiusa. Questi era un frate dei Minori Osservanti Riformati, quindi probabilmente vestiva come veste il personaggio orante sullo sfondo della Natività. È stato a Roma al servizio di vari pontefici, è stato in contatto con il cardinal del Monte, ha inviato in Sicilia più di un quadro (uno esiste ancora e si trova alla Gancia). Fra’ Innocenzo, potrebbe anche essere stato uno dei tramiti della commissione a Caravaggio a Roma nel 1600».
Lo studioso inoltre ha inoltre evidenziato come, dallo spoglio a tappeto dei documenti notarili relativi all’anno solare 1609, non risultino attestazioni di spese relative alla sistemazione dell’altare maggiore. L’unica voce reperita in tal senso, non a caso evidentemente, si colloca tra il 28 luglio e il 9 agosto 1600 e riguarda l’indoratura della cornice dell’altare («guarnicioni»), avvenuta a opera di Pietro «lo Spagnolo» e sotto la direzione del noto pittore Giuseppe Alvino.
Fig. 4 – Primo Visentin, Natività di Palermo (da Caravaggio), seconda metà degli anni ’30 del XX secolo, Riese Pio X, Archivio Masaccio.
Concludo con una cosa davvero di poco conto, più una curiosità, ma che pure farà in qualche modo riflettere. Essa discende dalle personali e più recenti ricerche intorno al dipinto, riprese in vista di una serie di conferenze tenute in Sicilia (la prima delle quali è stato proprio il convegno del 14 ottobre) e della pubblicazione a breve di un volume sul tema; un testo, quest’ultimo, che riunisca utilmente informazioni altrimenti disperse fra riviste scientifiche meno frequentate, articoli pubblicati online e noticine all’interno di ulteriori contributi ancora; e che aggiunga se possibile anche qualcosa di inedito. E bene, durante il convegno palermitano, inserivo una nuova diapositiva nella presentazione. Si tratta di un disegno della Natività realizzato da Primo Visentin, insegnante e forse più noto per essere stato partigiano, con nome di battaglia Masaccio (fig. 4). Esso è all’interno di una raccolta di appunti e schizzi su Caravaggio, conservata presso l’Archivio Masaccio, in particolare “apv-storiadellArte-Caravaggio-Appunti07.jpg”). Più in generale le riproduzioni di Visentin sono interessanti per il tratto grafico e qualche nota a margine e, evidentemente, sono tratte da fotografie più che dalla visione diretta delle opere. Anche questo porta un po’ di confusione sull’individuazione dei personaggi. Ad esempio il pastore su cui prima tanto si è detto, viene addirittura confuso con un santo (non è chiaro se Lorenzo o Francesco), con il profilo della larga falda del cappello scambiato per aureola. E se nulla si dice sul personaggio di spalle in basso a destra, ‘vero’ san Giuseppe, a quest’ultimo è associato, piuttosto, il san Lorenzo che occupa la fascia sinistra del quadro. Egli è accompagnato dall’iscrizione «S. Giuseppe a sedere» e difatti nella riproduzione, sparita la graticola su cui si sarebbe appoggiato, appare tendente a una posizione seduta. Chiaramente, Visentin si è rifatto alla descrizione di Giovan Pietro Bellori di un «San Giuseppe à sedere» e non ha rivolto minimamente la sua attenzione a quello che è stato definito da altri il «personaggio enigmatico», come se questi fosse un adorante qualsiasi. Quello che, in fin dei conti, qui premeva evidenziare, è come i biografi ritenuti più autorevoli possano influire negativamente (loro malgrado, in tal caso) anche sulla lettura di un dipinto, oltre che sulla sua reale collocazione cronologica.
Si può ritenere in chiusura, e al netto di quest’ultima ‘curiosità’, che quello in oratorio sia stato un incontro felice e fecondo, volendosi rifare idealmente all’immagine di cui sopra del bastone che fiorisce.
Certo nel tavolo dei relatori, e non solo, vi era pieno consenso sulla datazione della Natività al 1600, per cui è mancato un contraddittorio. Ma è pur vero che ancora resiste una certa tendenza (è il caso di dire, piuttosto conservatrice) a trascurare o persino eludere la questione, che pure è centrale, nel vero senso della parola. Il dipinto infatti, per le tante evidenze che portano nella medesima direzione, si pone cronologicamente non certo ai margini ma anzi in un momento chiave della carriera di Merisi, accanto ai più celebri e frequentemente indagati laterali Contarelli. Proprio per questo potrà essere maggiormente rivalutato negli studi, dopo un certo stato di oblio cui è stato condannato dalla sparizione nel 1969 a questa parte.
Michele CUPPONE Palermo 27 ottobre 2019