P d L
Abbiamo incontrato Gianni Papi a Firenze, distraendolo per qualche minuto dalla redazione del suo terzo volume di Saggi dal significativo titolo belloriano “Senza più attendere a studio o a insegnamenti” che sta completando e dove compariranno novità importanti e dipinti inediti di artisti come Manfredi, Cavarozzi, Ottavio Leoni, Caroselli, Stomer e altri ancora; nell’ambito della nostra inchiesta sulle novità che stanno emergendo negli studi circa l’opera di Caravaggio (cfr., i recenti interventi di Alessandro Zuccari e Claudio Strinati) che sta ottenendo un successo ben oltre le aspettative di critica e di pubblico, non poteva mancare l’opinione di uno studioso che, come Papi, alla figura e alla vicenda artistica del Merisi e della sua cerchia ha dedicato oltre trent’anni di studi e ricerche, con pubblicazioni, esposizioni e interventi che non è possibile riportare in questa sede.
–La prima questione che ti vorrei porre riguarda il tema assai divisivo di come si possa riconoscere un’opera certa di Caravaggio; a Milano, ad esempio, nel convegno che chiudeva la grande mostra Dentro Caravaggio, due studiosi assai validi e riconosciuti come esperti del maestro, come Rossella Vodret, che ha curato l’esposizione, e Alessandro Zuccari, autore di importanti studi sull’artista, hanno espresso due punti di vista affatto divergenti sul Ragazzo morso dal Ramarro: la prima ritiene originale il dipinto della Collezione Longhi, anche sulla base di riscontri diagnostici che individuano pentimenti e cambiamenti operati sulla tela in corso d’opera, l’altro invece –non riconoscendo sicure le ‘prove’ diagnostiche- crede che l’unico originale sia il quadro oggi alla National Gallery di Londra, che presenterebbe particolari descritti dalle fonti che invece su quello Longhi non comparirebbero.
R: Non è un tema facile. Posso dire la mia per quanto riguarda il “Ragazzo Longhi” esposto a Milano; con l’ulteriore visione che ho potuto effettuare alla mostra, dove il dipinto era illuminato perfettamente e quindi l’ho osservato come mai mi era capitato di vedere da vicino prima, dico che mi ha fatto un’impressione molto positiva, per me è autografo di Caravaggio; naturalmente questo non implica che il dipinto di Londra non lo sia, secondo me sono autografi entrambi; resto del parere che il “Ragazzo Longhi” sia successivo e comunque non so fino a che punto possano essere dirimenti questi eventuali pentimenti che mi dici essere stati discussi al convegno, visto che non ho assistito perché non potevo, e d’altra parte non ero stato invitato alla tavola rotonda; posso solo dire che non mi erano sembrati tanto evidenti dalla radiografia in mostra. Il mio parere di conoscitore, di studioso che giudica i quadri dalla superficie, è che siano entrambi buoni e che quello Longhi sia successivo rispetto a Londra, ma ugualmente autografo.
–Allora si può dire che tu sia convinto che Michelangelo Merisi replicasse le sue opere?
R: La mia idea è che egli abbia potuto replicare alcune opere, anche se di sicuro occorre dire che non era questa una sua consuetudine; tuttavia, come per tanti altri artisti, anche a lui alla stessa stregua può essere capitato che un committente richiedesse di rifare un lavoro, magari proprio quando poté trovarsi in condizioni economiche difficoltose (e si sa che non era certo una eventualità così rara), perché quindi dovrebbe aver rifiutato se si presentava l’occasione magari di superare una contingenza negativa? Un altro esempio di replica rispetto al Ragazzo morso dal ramarro, riguarda un quadro che io stesso ho pubblicato (e sul quale ho scritto anche un saggio) perché ritengo sia autografo, cioè La Crocifissione di Sant’Andrea, già in collezione Back-Vega ed oggi a Londra, che venne replicato secondo me a Napoli, perché forse Louis Finson aveva chiesto al Merisi di eseguirlo per lui, o almeno questa è la mia tesi. Non mi pare ci siano altri esempi simili.
–Beh, ci sarebbe anche il ‘caso’ dei due San Francesco in meditazione sulla croce, quello ex Carpineto Romano, ora a Palazzo Barberini, e l’altro della chiesa di santa Maria della Concezione; com’è noto, la maggior parte degli studiosi ritiene autografo il dipinto ora a Palazzo Barberini, altri invece pensano il contrario, altri ancora ritengono autografi entrambi; né è valsa l’esposizione dei due dipinti messi recentemente a confronto a Roma a dirimere la questione; anzi, a questo proposito, posso dirti che nel corso del suo intervento al convegno milanese Keith Christiansen ha precisato il suo punto di vista a favore del quadro presso la chiesa romana, evidenziando la mediocrità della versione ex Carpineto, a dispetto delle indagini diagnostiche che ne attesterebbero invece l’autografia.
R: Il mio parere invece è ancora diverso; posso essere d’accordo con Christiansen riguardo al quadro ora a Palazzo Barberini che anch’io giudico di una resa pittorica non entusiasmante; proprio la bellissima illuminazione della mostra milanese mi ha ulteriormente convinto di questo. Non escludo che l’originale debba ancora riemergere.
–Insomma, al di là di questo, mi pare che tu creda che Caravaggio fosse disposto a replicare le sue opere per motivi soprattutto di mercato?
R: Motivi di mercato, certo, ma anche per amicizia secondo me; il Merisi potrebbe aver realizzato il quadro Back-Vega per amicizia, in base ad una richiesta di Louis Finson, sempre ammesso (come io credo) che il quadro Back-Vega sia la versione della Crocifissione che Finson possedeva e che era documentata presso di lui.
–Si tratterebbe dunque di un’opera del primo periodo napoletano, ma tu che idea ti sei fatta del Caravaggio romano, o per meglio dire credi che sia approdato nella capitale pontificia alla fine del ’95 o all’inizio del ’96 –come attesterebbero le ultime fonti d’archivio- o sei tra coloro che restano convinti di un arrivo precedente, cioè il 1592?
R: Devo dire che le ricerche degli studiosi dell’Archivio di Stato, Verdi, Curti e Di Sivo, mi stanno pian piano coinvolgendo, nel senso che adesso sinceramente non escludo che Caravaggio possa essere effettivamente arrivato a Roma tra il ’95 e il 96, dal momento che le argomentazioni di questi studiosi mi paiono piuttosto precise, però allo stesso tempo non ancora decisive.
–La questione però se ne trascina un’altra tutt’altro che secondaria, vale a dire se si può credere che in un arco di tempo tanto ristretto –dal ’96 al luglio del ’97, allorquando il Merisi entra nei ‘ruoli’ del Monte- abbia potuto realizzare tutte le opere giovanili.
R: Mah, non sono poi così tante, si tratta alla fine di quattro o cinque opere certe che può benissimo aver dipinto nei pochi mesi che dicevi.
–Se però ci pensi bene in realtà potrebbero essere di più se è vero che, lavorando nelle varie botteghe che sappiamo, dovrebbe aver realizzato le famigerate teste dal Siciliano come pure nature morte e ritratti da Arpino e da Antiveduto.
R: Si ma sempre di cose di poco conto si tratta, di poco impegno, di piccolo formato, quadri piccoli insomma, peraltro poco impegnativi concettualmente, e non si capisce perché un pittore come lui, che sappiamo essere stato molto veloce, non possa aver realizzato questa serie limitata di opere in quell’arco di tempo; insomma non saprei, ma certo non mi sembra possa essere questo il motivo per non credere che sia stato il ’95 – 96 l’anno in cui arrivò a Roma.
–Arrivato a Roma, sappiamo che la svolta nella sua vita e nella sua carriera fu l’incontro con Prospero Orsi; dai racconti del Bellori e dalla Vita di Gaspare Celio, ultima importante scoperta documentaria su Caravaggio, si deve credere che il ruolo che ricoprì Prosperino fosse molto più importante rispetto a quello di manager, se si può dire così; su questa rivista un conoscitore esperto e preparato come Claudio Strinati ha sostenuto –in base lo ripeto alle fonti- che l’Orsi indicasse lui a Caravaggio temi e soggetti, inducendolo a seguire Giorgione e i veneziani.
R: La biografia di Celio ancora non è stata pubblicata per intero, quindi aspetterei di leggerla tutta per dare un giudizio. E’ vero che il Merisi operò sulla scia dei veneziani, ma non solo di Giorgione. Io – e l’ho scritto nel 2010, ma qui lo voglio ribadire – penso che Caravaggio possa essere tornato a Venezia prima di affrontare la decisiva commissione della Cappella Contarelli: perché? Perché voleva rivedere Tintoretto; ecco, Tintoretto secondo me è un pittore fondamentale per comprendere davvero la seconda fase dell’attività romana di Caravaggio, che si apre col rivoluzionario Martirio di san Matteo, dove io vedo più di un richiamo al Miracolo dello schiavo e ad altre opere di Tintoretto.
–E dell’idea che possa aver dipinto tutto assieme, Contarelli, Cerasi, Sant’Agostino e così via prima di Napoli e della Sicilia che ne pensi?
R: Beh, della Contarelli si sa, la Cerasi conosce forse una datazione un po’ più fluttuante, per il resto che dire? Siamo in un arco di tempo conosciuto, non credo possano esserci novità né elementi discordanti a questo riguardo; mentre invece rimanendo su questo tema non credo affatto che le opere siciliane siano di una qualità inferiore…
-In effetti si è detto che sono molto differenti l’una dall’altra.
R: Per me le opere di Messina e di Siracusa restano dei grandi capolavori e non mi pare che siano così differenti e distanti l’una dall’altra; si deve tener conto, secondo me, del fatto che Caravaggio era un pittore che faceva quello che voleva, e non può essere collegato troppo strettamente ad un excursus evolutivo; è un pittore geniale, come riconosciamo tutti, e dunque un genio può benissimo realizzare opere anche differenti tra loro perfino in un periodo di tempo ristretto.
–Tu sei tra coloro che ha ampliato il catalogo delle opere di Caravaggio (ad esempio con la Crocifissione Back-Vega, ma anche con altre inclusioni come il Ritratto di Maffeo Barberini da giovane, il cosiddetto Ritratto del cardinal Baronio e i due Ecce Homo, quello giovanile in collezione privata e quello, che ritieni del periodo siciliano, oggi ad Arenzano) eppure si sa che ci sono ancora lavori del pittore lombardo che attendono di essere scoperti e che è sicuro che l’artista abbia dipinto, come invece ce ne sono altri che si pensa che possa aver dipinto (e forse neanche è vero); te lo chiedo perché uno di questi enigmi riguarda una ‘testa arcimboldesca rovesciata’ di collezione privata che mi pare tu conosca.
R: Intanto fammi dire che la storia crea tante situazioni, i quadri possono essere andati perduti, possono essere ancora da rintracciare, mi pare una cosa normale. Quanto alla testa arcimboldesca ne ho già trattato, è vero, nel catalogo della recente mostra sulla Natura morta alla Galleria Borghese: per me è un quadro di notevole qualità, e a mio parere si dovrà riflettere sulla possibilità che si tratti di un dipinto autografo di Caravaggio, però devo rivederlo da vicino per un giudizio più probante; il fatto è che lo vidi dal vivo diversi anni fa, quando venne esposto nella mostra milanese su Arcimboldo e mi colpì molto, però poi non ho avuto più modo di poterlo studiare anche se ci ho pensato parecchie volte e sempre mi sono detto ‘perché no?’.
-Sai che si tratta di un’ipotesi non condivisa da molti addetti ai lavori.
R: Lo so, però è ormai abbastanza accreditata l’idea che lui sia passato per la bottega di Arcimboldo e quel dipinto secondo me presenta un livello di pittura diverso rispetto ai lavori di Arcimboldo, una qualità per me superiore, o almeno va in una diversa direzione, più naturalistica.
–In questo caso troverebbe anche conferma l’idea espressa da alcuni studiosi che vari dipinti –questo evidentemente tra gli altri- il Merisi li abbia in realtà fatti a Milano e poi portati con sé a Roma.
R: Questo non lo so, è comunque possibile. Ad ogni modo, per considerare di Caravaggio la ‘testa rovesciata’ avrei bisogno di rivederlo dal vivo; a questo proposito, sarebbe stato importante poter avere il quadro alla mostra su Arcimboldo ora a Palazzo Barberini, e prima a quella sulla Natura morta caravaggesca tenutasi alla Galleria Borghese; sarebbe stato possibile operare il confronto, tanto con i quadri di Arcimboldo, quanto con le Nature morte conosciute come opera del Maestro di Hartford e magari vedere se – a un confronto diretto – tornavano i frutti di Hartford con quel tipo di frutti che appaiono nella natura morta della testa arcimboldesca e poi confrontare con i frutti del Fruttaiolo (anche se questo è verosimilmente successivo).
–Ma tu cosa pensi di questo ancora anonimo Maestro di Hartford? Sono state avanzate numerose ipotesi circa la sua identità.
R: Secondo me, se penso ad un paio di suoi quadri, sono propenso a credere che siano quanto meno prossimi alla mano del Merisi.
–Quali ad esempio? E cosa ci vedi che faccia credere che possano essere autografi di Caravaggio?
R: Prendiamo la Natura Morta che costituisce il namepiece e che si trova per l’appunto ad Hartford, a me sembra di una qualità assai superiore agli altri dipinti catalogati sotto questo nome, forse ad eccezione di alcuni brani che si ritrovano in una delle Nature morte della Borghese dipinte nella bottega del Cavalier d’Arpino. Quest’ultima era compresa fra i quadri che vennero sequestrati per volere del cardinale Caffarelli Borghese a causa della famosa controversia legata al possesso da parte di Arpino di un’arma non regolamentare; e sappiamo dai biografi che Caravaggio nella bottega del d’Arpino dipingeva brani di fiori e di frutta.
–A questo punto ti chiedo, anche in relazione alle perplessità che abbiamo visto ancora circondare una parte non piccola di quella che potrebbe essere l’opera caravaggesca autentica, se a tuo parere lo sviluppo delle indagini diagnostiche potrà aiutare a sciogliere determinati dubbi, se cioè i risultati dell’indagine possano essere alla stessa stregua di un documento da utilizzare come ausilio almeno nella materia attributiva in campo artistico.
R: Non sono d’accordo; secondo me le analisi tecniche possono essere utili –sempre ammesso che si riesca effettivamente ed oggettivamente ad interpretarle –per capire se e quale tipo di travaglio possa aver subito un dipinto in corso d’opera o successivamente; soprattutto le radiografie possono servire in questo senso come aiuto a capire l’elaborazione di un dipinto, ma non possono essere dirimenti; anche perché, aggiungo, al punto in cui siamo ora, il livello interpretativo di queste analisi conosce uno spettro che mi pare ampio e ne riduce in qualche modo una definitiva affidabilità. Cosa voglio dire? Che la stessa identica analisi tecnica mi pare che al momento possa venire interpretata in modo differente a seconda dello studioso che la prende in esame, il caso che si faceva prima del Ragazzo morso dal ramarro ne è un esempio, ma non è il solo. Questo almeno è quanto penso personalmente, ad esempio resto dubbioso in merito ad alcune delle conclusioni tecniche che si leggono nel catalogo della recente mostra milanese Dentro Caravaggio.
–Puoi essere più preciso su questo punto che mi pare piuttosto importante? Cos’è che non ti ha convinto in particolare?
R: Se ad esempio si segue il ragionamento di Rossella Vodret si arriva alla conclusione che Caravaggio finisca praticamente a lavorare talmente ‘a risparmio’ che uno degli ultimi lavori, cioè il Martirio di sant’Orsola, risulterebbe dipinto solo per un terzo, il resto sarebbe lasciato alla preparazione scurissima. A me non pare possibile, forse ci troviamo di fronte a un quadro molto malandato che non permette giudizi così definitivi. Ma ti faccio un altro esempio (ce ne sono anche diversi altri a mio avviso) che riguarda il Riposo nella fuga in Egitto; non mi pare si possa affermare con la sicurezza che si legge nel catalogo milanese che inizialmente Caravaggio avesse messo l’angelo musicante sulla destra. L’elemento su cui si punta per sostenere che in quella parte all’origine ci fosse l’angelo non è così convincente, a me pare interpretabile anche in altri modi.
–Ed invece sulla affermazione secondo la quale sono stati rinvenuti disegni o anche pennellate di contorno che delineano i profili dei personaggi, tanto che ormai si dovrebbe ritenere acclarato che questa fosse una prassi consolidata di Caravaggio che idea ti sei fatto?
R: La prima cosa che mi viene in mente è che si dovrebbe tenere conto delle fonti e al momento non ho argomenti per decidere che esse dovrebbero essere bypassate; cosa dicono all’unisono i testi dell’epoca al riguardo? che Caravaggio non si valeva del disegno, che questa era precisamente una sua caratteristica, che proprio questa caratteristica lo rendeva inviso agli esponenti della ‘buona pittura’ fondata sul ‘buon disegno’, che lo condannavano proprio in ragione di ciò. Dopo di che, che ti devo dire ?: ora pare che – almeno nelle opere giovanili – disegnasse? Non lo so, quanto meno non sono in grado di confermarlo. Comunque distinguerei fra il disegno e il tracciare velocemente con il pennello alcuni contorni per fissare le masse sulla tela e proseguire con gli abbozzi, pratica che mi sembra compatibile anche con i resoconti dei biografi.
–Passiamo alle vicende umane di Caravaggio e ai loro riflessi in campo artistico ovviamente; tu sostieni che il Merisi avesse un rapporto molto stretto con Cecco Boneri ad esempio, ed anche con altri giovani artisti.
R: Si, precisamente, sono convinto che Cecco, e non solo lui, abbia vissuto insieme a Caravaggio per lo meno per un periodo, anche se Cecco dovette avere un ruolo preminente negli affetti del Merisi, come del resto dimostra il famoso soprannome, Cecco del Caravaggio.
–E tuttavia questo non può aver dato vita non dico ad un ‘scuola’ di Caravaggio, non una vera e propria scuola del tipo dell’accademia bolognese dei Carracci, ma magari ad una sorta di atelier dove si collaborava alla realizzazione di determinate opere?
R: No, non credo, secondo me non ci fu una scuola o quanto meno non una scuola come ce la possiamo immaginare rispetto ad altre situazioni strutturate, come appunto i Carracci o l’ambito fiorentino; secondo me l’apprendimento dei ragazzi avveniva vivendo insieme al Merisi. Prendiamo per l’appunto il ‘caso’ di Cecco che è quello su cui allo stato delle nostre conoscenze possiamo discutere con maggiore sicurezza; sappiamo che Cecco, probabilmente di origine bergamasca, viveva con Caravaggio ed era il suo compagno, gli ha fatto più volte da modello e ha imparato a dipingere in queste circostanze. Lo stesso secondo me vale per Spadarino e per Manfredi, inseriti ugualmente dal Mancini nella “schola” del Caravaggio, una “schola” che dobbiamo immaginare secondo parametri del tutto particolari.
–Ecco, ma allora le copie di molte sue opere che vennero realizzate mentre l’artista era ancora in vita, chi potrebbe averle eseguite? Non è possibile credere che –come in una specie di atelier, appunto- lui elaborasse l’originale e poi lasciasse ad altri della sua cerchia la possibilità di riprodurre. Pensiamo a Carlo Magnone o allo stesso Filippo Trisegni, di cui non si sa proprio nulla o ad altri; erano suoi amici e forse non si sbaglia a credere che possano aver riprodotto alcuni sui lavori, lui vivente secondo me, magari per esigenze di mercato. Che ne pensi?
R: Certo tutto è possibile, il fatto è che non sappiamo ancora bene come la pensasse. Il processo Baglione del 1603 induce a credere che non permettesse ad altri di appropriarsi delle sue novità stilistiche. Se poi consentisse agli amici del suo giro di copiare e replicare rimane un’idea, non possiamo sapere; resta invece problematico poter risalire al copista, cioè attribuire una copia di un’opera di Caravaggio; personalmente ci ho provato con la copia che si trova a Napoli del San Giovannino dei Capitolini, che ho attribuito ad Angelo Caroselli, senza però poterci mettere la mano sul fuoco.
–Però il fatto è che a tutt’oggi abbiamo prove di opere coeve ritenute copie che in realtà in qualche caso sembrano reclamare esse stesse l’autografia; pensiamo alla Cattura di Cristo in proprietà privata, per non dire della Incredulità di San Tommaso di cui esistono così tante versioni che si stenta a credere quale sia l’originale, per non dire del Ragazzo che sbuccia un melangolo.
R: Per quanto riguarda l’Incredulità di san Tommaso non vedrei problemi a confermare come originale il dipinto conservato a Potsdam. Il soggetto in questione è il più copiato in assoluto fra quelli di Caravaggio e alcune copie sono di eccellente qualità. Penso in particolare alla bellissima versione che si trova agli Uffizi che trovo davvero molto interessante e tanto bella da far credere che l’abbia dipinta un pittore di alto livello, ma è problematico stabilirne l’identità.
–Un’ultima domanda: ci sono quadri di Caravaggio molto divisivi e forse in questi casi l’indagine diagnostica potrebbe essere di supporto per mettere d’accordo la critica; è il caso del Cavadenti, ad esempio, che però curiosamente non viene analizzato come accade ad altre opere.
R: L’autografia caravaggesca del Cavadenti come si sa non è accettata da tutti gli studiosi e probabilmente proprio questo ha comportato che non sia stato inserito a Milano, per esempio, nel gruppo dei venti su cui si è proceduto con le analisi scientifiche, come del resto non venne inserito a Roma nella grande mostra del Quattrocentenario perché non ritenuto sicuro.
–Ma tu sei sempre convinto che si autografo?
R: Si per me è autografo, dipinto da Caravaggio nel periodo siciliano.
P d L Firenze febbraio 2018