di Keith Christiansen
Dear Pietro
I am incredibly grateful to you for having sent me the responses of Raffaella Morselli, Rossella Vodret, Stefania Macioce and Viviana Farina to the conference on Caravaggio organized in Naples by Sylvain Belanger and Maria Cristina Terzaghi. It was a conference I had very much hoped to attend, anticipating the presentation of new discoveries and ideas. Such seems, indeed, to have been the case. Which makes me all the more regretful that I was unable to be present due to my obligations at The Metropolitan. It will come as no surprise that I am particularly pleased to read that a number of scholars—including Gianni Papi—are prepared to accept that Caravaggio had some part in painting the so-called Toulouse Judith and Holofernes.
Might this signal the beginning of a revaluation by those who have fiercely opposed its identification with the picture that was on the market in Naples in 1607? I hope so. But I am not going to hold my breath! I am no less fascinated to read about the authentication of the slip of paper found between the relining and original canvas of one of the versions of the Ecstasy of the Magdalene. Not for the first time, it seems to me, are we confronted with a contradiction between the information contained in the “document” and the quality of the work of art. Might market dynamics and the insatiable appetite for “original” paintings by Caravaggio help explain this situation? I am thinking, for example, of the amazing history of the Sannesio Cardsharps, which was lent out as an original to be copied but turned out, itself, to be a copy (or, rather, a “fake” original).
And then there is the still unresolved and perplexing problem of the Madonna of the Rosary in Vienna. We seem to know so much about this picture—except its intended destination and date and how it ended up on the Neapolitan market. Repeatedly, over the course of many years, I have sat in front of this great work in Vienna and tried to reconcile its style with the 1607 notice, only to be frustrated.
I am convinced that its style is, in fact, irreconcilable with a Neapolitan date (which is not the same thing as saying that its original destination was not a Neapolitan institution). It seems to me to clearly belong to the moment of the Mattei Supper at Emmaus, the Odescalchi Conversion of Saint Paul, and the Vatican Entombment. It is painted with a like descriptive intensity and employs the same kind of demonstrative gesture. Moreover, the fleshy face of the Virgin has a precise analogy in the Mattei Christ. A technical exam seems to support this idea—though this can hardly be considered determinant evidence (I fear that far too much weight is accorded technical findings).
I have long believed that the only solution to the inherent contradiction is that this was a rejected altarpiece that ended up on the market in Naples, where Caravaggio possibly consigned to Finson for its sale together with the Judith. But this scenario raises the issue of his relations with Finson and Vinck and the business of art as well as the involvement of these two enterprising northerners in the market demand for works by the great Lombard—who Vinck may have already known in Rome.
On all of these points, I very much regret the missed opportunity to hear the contributions of my colleagues and the accompanying discussions. Brava Cristina!
Keith CHRISTIANSEN New York January 19, 2020
ITALIAN TRANSLATION
Caro Pietro
Ti sono incredibilmente grato per avermi inviato i commenti di Raffaella Morselli, Rossella Vodret, Stefania Macioce e Viviana Farina al convegno sul Caravaggio organizzato a Napoli da Sylvain Belanger e Maria Cristina Terzaghi.
Era una conferenza a cui avevo molto sperato di partecipare, anticipando la presentazione di nuove scoperte e idee. Tale sembra, in effetti, essere stato il caso. Il che mi rende ancora più dispiaciuto di non poter essere stato presente a causa dei miei obblighi nel Metropolitan. Non sarà una sorpresa dire che sono particolarmente lieto di leggere che un certo numero di studiosi – incluso Gianni Papi – sono pronti ad accettare che Caravaggio abbia avuto una parte nella pittura della cosiddetta Judith e Oloferne di Tolosa. Potrebbe questo il segnale dell’inizio di una rivalutazione da parte di coloro che si sono fortemente opposti alla sua identificazione con l’immagine che era sul mercato a Napoli nel 1607? Lo spero. Ma non trattengo il respiro!
Non sono meno affascinato nel leggere dell’autenticazione della distinta di carta trovata tra la tela di rifodero e quella originale in una delle versioni dell’Estasi della Maddalena. Non è la prima volta, mi sembra, che ci troviamo di fronte a una contraddizione tra le informazioni contenute nel “documento” e la qualità dell’opera d’arte. Potrebbero le dinamiche del mercato e l’insaziabile appetito per i dipinti “originali” di Caravaggio aiutare a spiegare questa situazione? Penso, ad esempio, alla straordinaria storia della versione Sannesio dei Bari (Cardsharps), che venne considerata come un originale da copiare ma che invece a sua volta si è rivelata una copia (o, piuttosto, un originale “falso”).
E poi c’è il problema ancora irrisolto e sconcertante della Madonna del Rosario a Vienna. Sembra che sappiamo così tanto di questo dipinto, tranne la destinazione e la data e come sia finito sul mercato napoletano. Ripetutamente, nel corso di molti anni, mi sono seduto davanti a questa grande opera a Vienna e ho cercato di conciliare il suo stile con la data del 1607, solo per restarne frustrato. Sono convinto che il suo stile sia, in effetti, inconciliabile con una datazione napoletana (che non è la stessa cosa che dire che la sua destinazione originale non fosse quella di un’istituzione napoletana). Mi sembra che appartenga chiaramente al momento della Cena in Emmaus Mattei, della Conversazione di San Paolo Odescalchi e della Deposizione oggi in Vaticano. È dipinto con un’intensità descrittiva simile e impiega lo stesso tipo di gestualità. Inoltre, il volto carnoso della Vergine ha una precisa analogia nel Cristo Mattei. Un esame tecnico sembra supportare questa idea, anche se difficilmente può essere considerata una prova determinante (temo che venga dato troppo peso ai risultati tecnici).
Ho creduto a lungo che l’unica soluzione alla contraddizione intrinseca fosse che questa era una pala d’altare respinta che finì sul mercato a Napoli, dove è probabile che Caravaggio l’abbia potuta consegnare a Finson per la vendita insieme alla Giuditta. Ma questo scenario solleva il problema delle sue relazioni con Finson e Vinck e il business dell’arte, nonché il coinvolgimento di questi due intraprendenti ultramontani nella richiesta del mercato per le opere del grande lombardo, che Vinck avrebbe già conosciuto a Roma. Su tutti questi punti, mi pento molto della mancata occasione di ascoltare i contributi dei miei colleghi e le discussioni che li stanno accompagnando. Brava Cristina!
Keith CHRISTIANSEN New York 19 gennaio 2020