di Elena GRADINI
Omaggio a Carla Accardi, artista siciliana della forma come sintesi espressiva
È in corso al Palazzo delle Esposizioni di Roma fino al 1 settembre la mostra che celebra il centenario della nascita di Carla Accardi, figura chiave della cultura artistica contemporanea italiana e internazionale.
L’evento raccoglie circa cento opere e abbraccia l’intera biografia dell’artista, nata a Trapani nel 1924 e giunta nel 1946 a Roma dove ha risieduto sino alla sua scomparsa nel 2014. La mostra è a cura di Daniela Lancioni e Paola Bonani, promossa dall’ Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e Azienda Speciale Palaexpo e realizzata con la collaborazione dell’Archivio Accardi Sanfilippo e con il sostegno della Fondazione Silvano Toti.
La produzione artistica di Carla Accardi si impone nel panorama italiano ed internazionale del secondo dopoguerra come un segmento di apporto essenziale in un universo ancora prettamente dominato dalle figure maschili. La sua arte, unitamente alla sua creatività sperimentale, la rendono, insieme a molte altre donne del mondo dell’arte del secondo Novecento, protagonista di quella rivoluzione che ha abbracciato parimenti le arti, la poesia e la letteratura, portando un contributo essenziale al rinnovamento del linguaggio espressivo dei codici linguistici e formali della creatività.
Nel 1947 firma il manifesto pubblicato sul primo numero della rivista “Forma”. Questi anni di rinascita e ricostruzione post bellica dell’Italia sono per l’arte periodo di sperimentazione, di recupero di una forma nuova, che tradisce l’estetica per la funzionalità del segno grafico che diviene simbolo carico di una funzione semantico-linguistica alla ricerca di un nuovo possibile alfabeto comunicativo, in cui la forma si articola, si destruttura, compie delle anamorfosi per poi ricongiungersi ad un sé altro che insieme concorre alla creazione di una trama, uno spazio nuovo che ridefinisce l’approccio alle arti, al pensiero creativo e alla sperimentazione non accademica.
Una ricerca sull’astrazione mirata a un aggiornamento della cultura visiva artistica italiana. Il suo originale linguaggio è incentrato sui segni bianchi e neri con i quali partecipa da protagonista al movimento Informale, unitamente all’utilizzo dei nuovi materiali industriali, come gli smalti, le vernici colorate che impiega su supporti plastici trasparenti (sicofoil) arrotolati (Rotoli) o assemblati. La ricerca di un altrove possibile si incardina in quel complesso amalgama che ha interessato e coinvolto la maggior parte degli artisti del secondo dopoguerra, i quali hanno percorso i decenni a seguire da assoluti protagonisti di un rinnovamento di intenti sulla funzionalità dell’opera che prescinde dal suo gusto estetico. Ambienti abitabili, Tableau vivent, Episodi situazionistici, passando attraverso i nuovi materiali poveri quali corde, plastiche, vetro, e molto altro ancora, rendono queste figure cardine di fondamentale importanza al rinnovamento linguistico ed estetico di un’Italia in fase di ricostruzione, in cui nella distruzione totale si è cercato di recuperare una nuova forma, che, seppur lontana dall’ormai desueta Idea del bello accademico, ha permesso di aprire uno sguardo d’insieme ad ampio respiro sulle più moderne innovazioni provenienti dall’Italia e dall’Europa.
Ancora di più quando a farlo sono state artiste donne, che hanno combattuto la loro battaglia contro la doppia morale dell’epoca per affermare i propri diritti, la propria creatività ed eccellenza nel panorama artistico.
Dagli anni Sessanta in poi Carla Accardi sperimenta il colore unitamente al segno, al gesto semantico, che si trasforma nel corso dei decenni successivi in schemi geometrici rimodulati in un continuo divenire. Sono gli anni delle istallazioni, alcune delle quali sono legate alla sua breve, ma significativa militanza femminista. Negli anni Ottanta ritorna all’uso della tela, ma il suo linguaggio evolve ulteriormente verso segni e giustapposizioni cromatiche inedite, sino a ricostruire segni, universi, visioni. Diverse sono le sue partecipazioni alla Biennale di Venezia: 1964, 1976, 1978, 1988, 1993 e 2011.
Con la sua adesione al Gruppo Forma 1 nel 1947, elabora, su iniziativa di un gruppo di artisti italiani, aventi in comune delle affinità di intenti, un “manifesto formalista”. Insieme con Ugo Attardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Mino Guerrini, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo e Giulio Turcato e, nella fase finale del gruppo, del giovane pittore maceratese Wladimiro Tulli, furono sostenitori e promotori di un’arte strutturata ma aniconica, che dà importanza alla forma ed al segno nel loro significato basico essenziale, eliminando nelle loro opere ogni pretesa simbolista o psicologica. Forma 1 può considerarsi la sintesi di una mediazione tra i due divergenti linguaggi dell’arte italiana di quel periodo, divisa tra astrattismo e realismo, con un’arte basata sulle immagini che si trasformano in concreti alfabeti di forma-colore, al di fuori di ogni logicità formale. Carla Accardi maturerà con complessità sempre crescente il suo discorso astratto, che verrà portato avanti soprattutto nella ricerca e sperimentazione del genere, secondo una personale poetica legata al segno-colore con intrusioni materiche e informali in una ricerca dalle forme aperte al mondo delle possibilità in divenire, mai concluse. Il gruppo finirà poi per sciogliersi nel 1951, ma segnò l’arte contemporanea italiana del Novecento.
Di Accardi, unitamente a Pietro Consagra e molti altri artisti siciliani e non, si ricorda soprattutto il contributo fondamentale negli anni Settanta alla ricostruzione civile ed artistica della città siciliana di Gibellina Nuova, dopo il terribile e doloroso sisma del ’68 che scosse e devastò molti paesi della Valle del Belice, oggi luogo della Memoria e della rinascita grazie alla Bellezza delle Arti e alla visione dell’allora Sindaco della ricostruzione Ludovico Corrao, e di tutti coloro i quali hanno creduto nella forza dell’arte con tutto il proprio entusiasmo ed energie.
Elena GRADINI Roma 4 Agosto 2024