di Nica FIORI
“Nello scriver le vite de’ più eccellenti pittori e le opere loro degne di succedere alla commendazione de’ posteri, ho sempre stimato prudente consiglio l’astenersi da quelli che sono in vita e vivono all’emulazione dell’arte e del loro nome (…) Nientedimeno, signor Carlo, considerando io attentamente i pregi del vostro ingegno, de’ quali sì riccamente vi adornate, non ho potuto contener la penna (…)”.
Il signor Carlo, cui si rivolge con queste parole Giovan Pietro Bellori nelle sue Vite de’ pittori, scultori e architetti moderni (1672 – 1695), è Carlo Maratti (Camerano 1625 – Roma 1713), l’unico artista vivente del quale lo storico dell’arte secentesco sentì il bisogno di scrivere la biografia. Maratti è, in effetti, un grande protagonista della pittura nella Roma della seconda metà del XVII secolo, noto attualmente soprattutto per le sue pale d’altare presenti in molte chiese, tra cui Santa Maria del Popolo, Santa Maria degli Angeli, Santi Ambrogio e Carlo al Corso, il Gesù, Sant’Andrea al Quirinale, Santa Maria in Vallicella.
Era nato nelle Marche, nei pressi di Ancona, ma, essendo particolarmente portato per il disegno, già all’età di undici anni venne a Roma a imparar l’arte nella bottega di Andrea Sacchi, divenendo il suo allievo prediletto, affettuosamente chiamato Carluccio. Molto celebrato negli ultimi decenni della sua vita, Maratti è stato successivamente oggetto di giudizi severi e di qualche lode (in particolare da parte di Anton Raphael Mengs), ma nel complesso la sua arte venne criticata e cadde nell’oblio, finché nel Novecento ne fu riscoperto il valore. Oltre ad essere stato un pittore di soggetti sacri, Maratti ha spaziato in altri generi ed è stato anche un ritrattista di fama europea, richiestissimo da papi, cardinali, aristocratici e perfino dai gentlemen inglesi di passaggio a Roma.
Proprio la sua capacità di ritrattista è evidenziata nella mostra “Carlo Maratti e il ritratto. Papi e principi del barocco romano”, che gli viene dedicata dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica Barberini Corsini a quattrocento anni dalla sua nascita e in occasione della pubblicazione del catalogo ragionato delle sue opere, firmato dalla compianta Stella Rudolph e da Simonetta Prosperi Valenti Rodinò.
La mostra, a cura della stessa Prosperi Valenti Rodinò e di Yuri Primarosa, è ospitata in una sala del piano nobile di Palazzo Barberini, dove dal 6 dicembre 2024 al 16 febbraio 2025 sono esposti mirabili ritratti (tutti realizzati a olio su tela) di papi, cardinali, aristocratici, amici e parenti di Maratti, messi a confronto con tre ritratti dei migliori specialisti dell’epoca.
Come ha precisato Simonetta Prosperi Valenti, la mostra vuole sfatare l’aspetto di Maratti pittore di soggetti sacri, soprannominato a suo tempo “Carluccio delle Madonne”, per evidenziare la qualità altissima dei suoi ritratti, che sono tutti opere autografe, contrariamente alle pale degli ultimi anni, per la realizzazione delle quali si avvalse della collaborazione della bottega. Inoltre, proponendo la mostra opere che abbracciano un periodo di quasi 50 anni, si percepisce la crescita di questo artista, che dal suo maestro Sacchi era stato indirizzato ad applicarsi al disegno, copiando Raffaello e l’antico. Proprio come aveva fatto in precedenza lo stesso Raffaello, anche Maratti seppe guardare ai grandi del suo tempo (i Carracci, Lanfranco, Bernini, Barocci, Correggio, Pietro da Cortona) per assorbire qualcosa da ognuno di essi e maturare il suo stile, giungendo a una mediazione tra il classicismo e il barocco.
Yuri Primarosa ha a sua volta sottolineato che questa mostra, come altre che l’hanno preceduta nella stessa sede, focalizza l’attenzione su alcuni dipinti delle collezioni delle Gallerie per approfondire, grazie anche ad alcuni prestiti, la conoscenza di aspetti artistici poco noti, considerati di nicchia. Per l’occasione sono stati eseguiti dei restauri che hanno dato un nuovo smalto ad alcune opere, come nel caso del Ritratto di magistrato della Galleria Corsini o del Ritratto del cardinale Carlo Barberini, presentato per la prima volta pulito.
Tra le opere esposte spicca il Ritratto di papa Clemente IX Rospigliosi del 1669, prestato dalla Pinacoteca Vaticana subito dopo un restauro che ha restituito una qualità eccezionale alle sue cromie. Bellori nella sua biografia di Maratti parla molto di questo ritratto, raccontando che il pittore aveva raggiunto il papa nel convento di Santa Sabina, dove era in ritiro spirituale durante la settimana del carnevale. In una delle sedute finali il pontefice, provato e malato, stava per svenire e il pittore, spaventatissimo, si precipitò in avanti per sorreggerlo con le ginocchia.
Il volto raffigurato in questo ritratto esprime la maestà e la clemenza di colui che aveva scelto come proprio motto “aliis non sibi clemens” (clemente con gli altri, ma non con sé stesso), ma allo stesso tempo appare smagrito ed esangue e la cosa stupefacente è che la cromia della sua mozzetta è accordata al pallore del pontefice, perché è resa con un rosso livido, violaceo, come slavato, evidentemente perché Maratti ha usato le tonalità del colore con un effetto psicologico. Il confronto con il ritratto di Clemente IX del 1667-69 appartenente alla Galleria ospitante, eseguito da Giovan Battista Gaulli, detto il Baciccio, pittore barocco per eccellenza, permette di vedere due interpretazioni differenti dello stesso personaggio che, proprio per le cattive condizioni di salute, avrebbe regnato solo due anni e mezzo (dal 1667 al 1669): uno è il papa sofferente ritratto pochi mesi prima della morte, l’altro è il fine politico, che accenna un lieve sorriso e la cui veste appare di un rosso squillante.
I due ritratti sono stati scenograficamente disposti ai lati del Busto di papa Clemente X Altieri scolpito da Gian Lorenzo Bernini (1676-1680, marmo, Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini), per ricordare che questo busto doveva essere collocato a Palazzo Altieri, dove Maratti nel 1673 – 1675 aveva affrescato nel Salone grande il Trionfo della Clemenza.
Su una parete della sala troviamo un focus barberiniano di grande interesse. Se mostre precedenti (e ultimamente quella in corso del Ritratto di monsignor Maffeo Barberini eseguito da Caravaggio) ci hanno abituato a vedere gli esponenti Barberini della prima ora, ovvero dell’epoca di Urbano VIII, Carlo Maratti è il pittore di riferimento della seconda generazione, le cui committenze aveva ereditato da Andrea Sacchi.
Il dipinto più imponente, di norma esposto nella Sala Sacchi della Galleria ospitante, è il Ritratto del cardinale Antonio Barberini a figura intera, un grande olio su tela (1682-1683) che costituisce la più importante effigie, anche se postuma, dedicata da Maratti al suo più assiduo committente della fase giovanile. Il pittore aveva già eseguito almeno altri due ritratti a mezzo busto del cardinale (nipote di Urbano VIII), uno dei quali, anch’esso proveniente dalla stessa Collezione Barberini, gli è esposto a fianco.
Si tratta degli stessi quadri “con la cappa di cardinale e con l’ordine dello Spirito Santo al petto” celebrati da Bellori, presentati insieme in questa mostra per la prima volta. Nel ritratto a figura intera notiamo tutti quei particolari che evidenziano lo status del personaggio raffigurato, come il crocefisso d’avorio, il campanello, la berretta rossa e alcuni fogli, disposti su un tavolino rivestito di una stoffa rossa che richiama il colore della cappa cardinalizia e del tendaggio della camera.
Gli altri rappresentanti dello stesso casato sono il cardinale Carlo Barberini e Maffeo Barberini, entrambi figli di Taddeo Barberini e di Anna Colonna, esposti per la prima volta insieme. Maffeo (omonimo di Urbano VIII) è stato ritratto da Maratti nel 1670-71 ca. con un piglio straordinario, quando è già principe: esibisce una lettera firmata dall’artista e sfoggia le vesti e le insegne del suo status. Raffinatissime sono le tonalità nere e bianche del vestiario, con un unico tocco di colore rosa sul fiocco del nastrino che forma uno sbuffo della manica.
Proveniente dalla Galleria Corsini, è in mostra sulla stessa parete un ritratto che prima era ottenebrato da una pellicola di sporcizia, mentre dopo il restauro si è rivelato di grande qualità. Il personaggio raffigurato in questo caso non è un aristocratico, ma un magistrato. Abbiamo notizia dell’opera nella collezione settecentesca dei Corsini: l’effigiato potrebbe essere Ercole Ronconi, citato da Bellori. Ci colpisce la minuziosità d’esecuzione del bavero a merletto di gusto francese, come pure il volto reso con grande capacità introspettiva.
Su un’altra parete sono esposti alcuni ritratti femminili a mezzo busto, che richiamano le Gallerie delle Belle, in voga all’epoca. Il pittore più richiesto per questo tipo di ritratti era Jacob Ferdinand Voet, del quale è esposto il Ritratto di Anna Caffarelli Minutoli de Quiñones (1672-1673 circa, olio su tela, Ariccia, Palazzo Chigi), abbigliata e pettinata secondo il gusto imposto da Maria Mancini, la bella nipote del cardinale Mazzarino che a Parigi aveva suscitato l’amore del giovane re Luigi XIV e che per questo motivo era stata mandata dal potente zio a Roma, dove fu data in sposa a Lorenzo Onofrio Colonna.
Il fiammingo Voet, per quanto pittore di grande qualità, è forse più attento alle trine e alle perle, rispetto al più introspettivo Maratti, del quale è esposto il Ritratto di Maria Maddalena Rospigliosi Panciatichi (1664 circa, olio su tela, Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini). Maria Maddalena (1645-1695), nipote prediletta del cardinale Giulio Rospigliosi (futuro papa Clemente IX), posò più volte per Maratti. Nel ritratto esposto, firmato in basso sulla lettera, Maratti le rese omaggio, prima delle sue nozze con Baldassare Panciatichi, raffigurandola con un magnifico vestito bianco e nero all’ultima moda, impreziosito di trine, nastri e ricami.
Sulla stessa parete l’ultimo ritratto a destra è quello di Francesca Gommi, una romana della quale s’innamorò Maratti e che gli diede l’amatissima figlia Faustina, nata nel 1679. Solo dopo la morte della seconda moglie (una pazza che aveva cercato di avvelenarlo), nel 1700, Maratti potè sposare la Gommi e finalmente ritrarla col suo nome, mentre prima l’aveva raffigurata solo come modella di sante.
Nel ritratto esposto (una copia del suo allievo Andrea Procaccini, proveniente dalla Fondazione Marignoli di Montecorona, Spoleto, 1700-1705) la donna, non più giovane ma ancora bella, ha in mano un disegno raffigurante Venere che forgia le armi di Cupido: una sorta di omaggio d’amore. Sappiamo che la donna si occupò dell’aspetto imprenditoriale dell’attività del marito, dimostrando di essere un’abilissima commerciante d’arte.
Faustina Maratti è stata pure ritratta dal padre in una raffinata Allegoria della Pittura (1698 ca. olio su tela, Galleria Corsini), con la tavolozza in mano e l’espressione sognante di una poetessa in cerca d’ispirazione, probabilmente per una trasposizione pittorica di istanze letterarie legate all’Accademia dell’Arcadia, della quale sia lei che il padre erano membri.
Oltre a raffigurare le due donne a lui tanto care, Maratti ritrasse anche l’amico Giovan Pietro Bellori (1672-73 ca., Roma, collezione Alessandra Di Castro), probabilmente per celebrare l’uscita delle sue Vite, visto che indica con la mano il suo volume. Ricordiamo che questo letterato, antiquario e storico dell’arte, sancì nella prefazione delle Vite la sua Idea del Bello, che aveva già esposta in un celebre discorso all’Accademia di San Luca nel 1664. Egli sosteneva che l’arte doveva configurarsi come imitazione della natura, ma purificata dai suoi difetti: una natura idealizzata secondo una visione ispirata all’ordine e alla misura, capace di esaltare nobili azioni, secondo i modelli offerti dalla statuaria antica, come pure dalla pittura di Raffaello.
Maratti da giovanissimo lavorò per la chiesa di Sant’Isidoro, attraverso la mediazione di Bellori, contabile nell’annesso convento francescano sul Pincio. Da questo convento proviene il Ritratto del frate Luke Wadding, realizzato da Maratti nel 1655 ca., quando era ancora molto vicino stilisticamente al suo maestro Sacchi. Il frate appare concentrato nella stesura dei suoi Annales dell’Ordine dei Minori davanti a un’immagine dell’Immacolata (del resto egli fu promotore della dottrina dell’Immacolata Concezione, che si affermò tra i francescani). Brillante teologo e abile diplomatico, Wadding era all’epoca il più influente tra i cattolici irlandesi residenti a Roma e procurò a Maratti diverse commissioni. Delle opere eseguite in più tempi dal pittore a Sant’Isidoro, ricordiamo in particolare il grande dipinto ovale raffigurante non a caso l’Immacolata (1663) nella Cappella de Sylva, progettata nel 1662-63 dall’immortale ingegno del cavalier Bernini, come risulta da un’iscrizione.
Chiude la rassegna pittorica un piccolo dipinto del 1700 ca., commissionato dal granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici quando venne a Roma per pochi giorni nell’anno giubilare 1700, per ricevere da Innocenzo XII l’onorificenza di Canonico di San Pietro, nutrendo la speranza, rimasta delusa, che gli venisse riconosciuto anche il titolo di Altezza Reale. In quell’occasione visitò i Palazzi Apostolici sotto la guida di Maratti, allora Soprintendente delle fabbriche vaticane. Cosimo III, vestito da canonico, fu immortalato in diverse tele di piccolo formato, derivate dalla prima versione conservata a Palazzo Pitti. La versione esposta dovrebbe essere stata commissionata per essere regalata dal granduca alla figlia Anna Maria Luisa, l’ultima discendente dei Medici, mecenate e amante dell’arte, tanto che nel Patto di famiglia stipulato con gli Asburgo-Lorena di Toscana nel 1737 impose che le collezioni di famiglia rimanessero sempre a Firenze “per ornamento dello Stato, per utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri”.
Escludendo il caso del Granduca fiorentino di passaggio nell’Urbe, i ritratti esposti sono tutti di personaggi “romani”, o che comunque vivevano a Roma. Resi da Maratti con
“efficacia realistica, minuziosità d’esecuzione, equilibrio di contegno ed espressività, calibrata interazione fra piano introspettivo ed esibizione del carattere pubblico”,
come evidenziato dai curatori, permettono ai visitatori della mostra di immergersi nell’affascinante Roma del Seicento, evidenziando i colori, i costumi e le personalità non solo di papi e principi, ma anche di belle donne e di intellettuali di grande spessore culturale.
Nica FIORI Roma 15 Dicembre 2024
“Carlo Maratti e il ritratto. Papi e Principi del Barocco romano”
Palazzo Barberini, via delle Quattro Fontane 13, Roma
6 dicembre 2024 – 16 febbraio 2025
Orario: martedì – domenica, ore 10.00 – 19.00. Ultimo ingresso alle ore 18.00. Chiuso il lunedì
Biglietto: intero 15 € – ridotto 2 € (ragazzi dai 18 ai 25 anni) – gratuito (minori di 18 anni e altre categorie). Ridotto 12 € riservato ai possessori di abbonamento annuale Metrebus
Info: www.barberinicorsini.org