redazione
E’ finalmente realtà editoriale il catalogo ragionato delle opere di Carlo Maratti (Camerano, 1625 – Roma, 1713) il “il maggior pittore del secondo Seicento in Italia“. Dopo decenni di attesa, grazie alla tenacia di Simonetta Prosperi Valenti Rodinò che ha effettuato un’opera davvero magistrale di analisi, verifiche, aggiunte e sottrazioni, l’imponente lavoro svolto da Stella Rudolph, senza dubbio la maggiore studiosa della figura e dell’opera dell’artista marchigiano, ha trovato compimento ed è ora disponibile per gli appassionati e per gli addetti ai lavori in una pubblicazione da definire esemplare per i tipi della Ugo Bozzi Editore. Pubblichiamo oggi un compendio dalla Introduzione dell’autrice, che ci ha peraltro generosamente concesso una intervista nella quale ha parlato del suo impegno; About Art dedicherà ovviamente altri articoli a questo straordinario evento atteso da decenni.
Il Libro verrà presentato Lunedì 7 Ottobre a Palazzo Altieri alle 17; interverranno insieme a Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, Silvia Ginzburg – Professoressa ordinaria di Storia dell’arte moderna, Università di Roma Tre e Barbara Jatta – Direttrice dei Musei Vaticani; coordina Ilaria Miarelli Mariani – Direttrice dei Musei Civici della Sovrintendenza di Roma.
Carlo Maratti (1625-1713) tra la magnificenza del Barocco e il sogno d’Arcadia
Dipinti e disegni
Dalla Introduzione di Simonetta Prosperi Valenti Rodinò
Questo libro – come scrive nella Introduzione l’autrice- ha una storia antica ed è legato in modo molto stretto alla figura di Stella Rudolph, da tutti riconosciuta come la maggiore studiosa ed esperta dell’opera di Carlo Maratti, cui decise di dedicare i suoi studi da quando venne pubblicata la monografia di Richard Cocke su Pierfrancesco Mola, nel 1972, artista cui si stava dedicando anche lei, cosa che la convinse a spostare l’interesse sull’artista di Camerano che non aveva fin lì attirato granchè l’attenzione degli addetti ai lavori.
Dunque fu grazie agli interventi della Rudolph che venne proiettata nella giusta dimensione la vicenda biografica ed artistica di colui che va considerato il maggior pittore del secondo Seicento in Italia. In questo impegno, la studiosa fu a dir poco molto determinata, non consentendo ad altri di avvicinarsi all’argomento, anzi irritandosi molto se qualcuno osava occuparsene.
E non è dunque un caso che solo dopo la sua improvvisa scomparsa nel 2020 che una cara amica oltre che collega, Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, ha potuto raccoglierne il testimone anche in forza di una sorta di accordo con l’editore Bozzi e con la stessa Rudolph, secondo il quale lei avrebbe redatto il catalogo ragionato dei disegni di Maratti, da pubblicarsi in parallelo a quello sui dipinti cui s’impegnava la Rudolph. Ma le cose poi hanno preso purtroppo un altro verso e a questo punto, anche dietro le pressioni di amici, studiosi e collezionisti Simonetta si è caricata del compito ingrato, ma assai stimolante, di raccogliere l’eredità di Stella e completare la monografia da lei mai terminata. D’altra parte come affermava la stessa Simonetta in una commossa nota su About Art ( https://www.aboutartonline.com/stella-rudolph-nel-ricordo-di-liliana-barroero-e-simonetta-prosperi-valenti/ ) ricordando assieme a Liliana Barroero la figura della Rudolph a ridosso della scomparsa “è difficile pensare a un altro Maratti che non sia il suo”.
Nella Introduzione a questa straordinaria pubblicazione – che certamente conferma ed anzi in qualche modo rinsalda l’autorevolezza di una casa editrice, la Ugo Bozzi editore, che nonostante i tanti problemi ha saputo darci una pubblicazione di assoluto rilievo – la Prosperi Valenti chiarisce quale enorme massa di documenti e immagini ha potuto e dovuto riprendere, riunire, rivedere, catalogare, integrare con nuove schede sulla base di nuove acquisizioni e nuovi contributi, a fronte di uno sbalorditivo complesso di lavori accumulati dalla Rudolph da approfondire e soprattutto da aggiornare ai fini della pubblicazione.
Come scrive l’autrice:
“Il libro rivela alcune discontinuità stilistiche, ma è stata una scelta voluta per rispettare il prezioso lavoro di Stella Rudolph, ed arricchire, da parte mia con l’aggiunta indispensabile in un pittore accademico, dell’analisi dei disegni, aggiornando e completando la vicenda biografica ed artistica di Carlo Maratti”.
IL ponderoso volume in buona sintesi ricostruisce l’attività sicura ed indiscussa dell’artista, pittore e disegnatore, senza avere la pretesa di fornire il catalogo definitivo della sua attività.
“Con grande pazienza – conclude l’autrice- mi sono messa all’opera per completare il libro di Stella. Non avrei potuto intraprendere questa avventura senza il prezioso aiuto ed incoraggiamento dell’amico Ulrico Bozzi e senza l’immane lavoro svolto dalla Redazione della Ugo Bozzi Editore nel corso degli ultimi quatto anni. Abbiamo percorso insieme una strada assai complessa, che a volte è parsa interminabile”.
Intervista all’Autrice
– La prima domanda riguarda precisamente il libro; quanto è stato difficile arrivare alla pubblicazione dopo anni anzi decenni che se ne parlava? E qual è stata la ‘svolta’ che ha convinto te e l’editore Bozzi a intraprendere un percorso non certo semplice?
R: Come scrivo nella Presentazione al primo volume, “questo libro ha una storia antica”. Atteso da più di 30 anni e più volte annunciato da Stella Rudolph, la studiosa anglosassone massima specialista dell’argomento, scomparsa nel 2020, che non aveva fatto in tempo a pubblicare il suo lavoro, questa monografia colma una lacuna immeritata negli studi mettendo finalmente in luce la figura di Carlo Maratti, il vero protagonista del panorama artistico a Roma nella seconda metà del Seicento. I numerosi contributi sul pittore, molti a firma della stessa Rudolph, e i due convegni a lui dedicati, Maratti e l’Europa (2013) e Maratti e la sua fortuna (2015) non erano bastati a colmare questa lacuna, che ha rallentato gli studi su questo splendido momento della produzione artistica a Roma.
Ma finalmente la monografia è uscita, a firma della Rudolph per i dipinti e di Simonetta Prosperi Valenti Rodinò (che vi parla) per i disegni. Essa analizza la produzione pittorica di Maratti attraverso le sue 251 opere autografe, senza contare le repliche, accompagnate dai più di 800 disegni preparatori.
Il libro, edito dalla Ugo Bozzi ed., ha l’ossatura della monografia tradizionale: il primo volume contiene Saggi che ricostruiscono l’attività dell’artista nelle sue varie tipologie – pittore di pale di soggetto sacro, di figurinista nelle nature morte, di ritratti, e di soggetti mitologici legati all’Arcadia – ed il secondo le schede di tutte le opere sinora note, corredate da un ricco apparato dei disegni preparatori e da ampia bibliografia. Come già detto, la Rudolph non ha fatto in tempo a terminare il suo lavoro, rimasto al livello di un grande abbozzo incompiuto: il libro del ‘suo’ Maratti era rimasto tutto nella sua testa e non nella sua penna, sebbene lei ne avesse dato qualche anticipo nei numerosi saggi dedicati all’artista e soprattutto nello splendido libro sul marchese Niccolò Maria Pallavicini, il banchiere collezionista per il quale l’artista lavorò quasi in esclusiva nei suoi ultimi anni, edito nel 1995 sempre dalla Ugo Bozzi editore di Roma.
Eppure, anche di fronte a questo vuoto e per colmare la mancanza dei testi non scritti dalla Rudolph – abbiamo avuto a disposizione solo 120 schede e per le altre una lista risalente agli anni ’80 del secolo scorso, e solo il primo dei saggi da lei scritti, sulla giovinezza di Maratti – con grande coraggio Ulrico Bozzi ed io abbiamo preso la coraggiosa decisione di pubblicare la monografia su questo splendido pittore. Ovviamente siamo dovuti ricorrere a piccoli stratagemmi, ma siamo andati avanti convinti entrambi della necessità di pubblicar questa monografia e di non mandare perduti tutti appunti, expertises, note e altro lasciate dalla Rudolph.
Per i Saggi raccolti nel primo dei due volumi, insieme all’editore ho deciso di ripubblicare i vari articoli della Rudolph, da lei scritti negli anni 1977, 1979, 1986 e 1992, (aggiornando ovviamente la bibliografia nelle note e rinviando per lo più alle schede con la bibliografia aggiornata) tutti ancora molto validi sotto il profilo scientifico, che avevano aperto la via alla rivalutazione di questo grande artista. Il saggio sui disegni, tutto a mia firma come l’intero apparato sulla grafica dell’artista in entrambi i volumi, offre una splendida casistica dei più bei fogli usciti dalla mano di questo mirabile disegnatore.
Le schede dei dipinti che costituiscono tutto il secondo volume di dimensioni impressionanti (1255 pagine complessive con gli apparati), ripropongono quelle redatte dalla Rudolph, con aggiunte e complementi bibliografici a cura mia, mentre il ricco apparato dei disegni è stato curato interamente da me. Quest’ultima è forse la parte più nuova del libro, che emerge direi con grande evidenza qualitativa, perché attesta l’abilità di disegnatore di Maratti: era questo un elemento fondamentale per comprendere appieno un artista di formazione accademica quale egli fu.
– Rispetto al Convegno tenutosi a Roma qualche anno fa del quale tu stessa fosti la curatrice insieme a Liliana Barroero e Sebastian Schütze quali novità, per esempio rispetto al ruolo di Andrea Sacchi, o dei competitors di Maratti in quegli anni, sono emerse nel corso del lavoro?
R: Direi che questo libro fa finalmente luce sulla complessa personalità di questo artista, rivendicando il suo ruolo nel panorama artistico del secondo Seicento romano. Maratti, noto nell’accezione comune come il pittore ‘dolciastro’ di Madonne e Sacre famiglie, detto a suo tempo «Carluccio delle Madonne», fu l’autore delle più belle pale in tutte le chiese barocche di Roma (S. Maria del Popolo, S. Maria in Montesanto, Ss. Ambrogio e Carlo, Gesù, S. Andrea ala Quirinale, S. Maria in Vallicella, S. Pietro in Vaticano). Ma l’aspetto nuovo che emerge dal libro è la sua grande capacità di ritrattista (annuncio qui che Thomas Salomon, direttore delle Gallerie Barberini / Corsini, dedicherà una piccola mostra a questo soggetto (6 dicembre-13 febbraio) a palazzo Barberini), ben nota ai ‘milordi’ di passaggio a Roma per il grand tour, ai papi e cardinali che si fecero ritrarre da lui. In questa tipologia egli fu grandissimo, arrivando ad anticipare il modello del ritratto del gentleman inglese diffusa poi nel Settecento da Pompeo Batoni.
Per questo motivo abbiamo voluto mettere in copertina uno dei suoi ritratti più notevoli, quello di Gaspare Marcaccioni, il computista di casa Barberini, a lungo descritto da Bellori e riapparso di recente.
Dal libro emerge quanto già noto alla critica, evidenziato da Silvia Ginzburg nel suo saggio negli atti del convegno già ricordato del 2013, cioè il buio sull’attività svolta nei suoi anni giovanili: nonostante l’affermazione delle fonti (Bellori e Pascoli) che Maratti fu un pittore precoce, l’esordio dell’artista si ebbe solo nel 1650 con la splendida pala in san Giuseppe ai Falegnami, opera già pienamente matura nelle sue accezioni neo-correggesche permeate attraverso Lanfranco e il neo-venetismo di Andrea Sacchi, suo maestro. Scorrendo il volume, tutto illustrato a colori, e ripercorrendo lo sviluppo della sua produzione, anche solo visivamente, si percepisce con chiarezza lo sviluppo di questo artista, a torto definito soltanto ‘classicista’ mentre egli fu in tutto figlio della sua epoca, sensibile ai maggiori artisti del suo tempo, con una capacità di assorbire da ciascuno di essi un messaggio per aggiornare e maturare il suo stile. Fu questa capacità di ‘eclettico’ che lo accomuna singolarmente a Raffaello, suo celebre conterraneo, che aveva avuto la stessa capacità di assimilare vari linguaggi e fonderli in un suo meraviglioso stile, che rappresenta al meglio il punto di arrivo del Rinascimento italiano in pittura.
Così Maratti, partito da un giovanile venetismo di origine marchigiana, grazie ai dipinti di Tiziano visti nella sua patria di origine, Camerano presso Ancona , viene a contatto a Roma con la poetica di Andrea Sacchi, artista assai sensibile al colorismo veneto ma anche di formazione classicista, che lo indirizzò ad applicarsi al disegno per copiare Raffaello e l’antico, senza dimenticare la lezione dei Carracci. Ma il giovane artista guardò anche ad altri esempi, che dominavano l’arte a Roma in quel periodo: attraverso Sacchi, assimilò la lezione di Bernini, ma rivolse la sua attenzione anche a Barocci, che forse lo indirizzò per primo verso la poetica degli ‘affetti’, e poi Lanfranco, che gli svelò la luce di Correggio, e poi Pierfrancesco Mola, pittore a latere dei grandi del Seicento, grande isolato ma mirabile colorista, ma anche Pietro da Cortona, che comprese le sue qualità e lo chiamò a dipingere nel grande cantiere della Galleria di Alessandro VII a palazzo del Quirinale, da lui diretto.
Con Alessandro VII avviene il grande salto e la maturazione dell’artista, che ha ormai raggiunto al sua piena maturità: dal settimo decennio del Seicento infatti, senza soluzioni di continuità dopo la morte di Cortona nel 1669 e di Bernini nel 1680, egli divenne il vero protagonista della pittura del tardo Seicento a Roma e in Europa.
– Si ritiene Maratti l’esponente – diciamo per semplificare- del barocco in versione ‘classica’; questa considerazione esce confermata o anche rafforzata dal tuo lavoro? Si può dire che ebbe anche un ruolo da ‘teorico’ magari a fianco di Bellori nel corso di quegli anni, fino agli inizi del XVIII secolo?
R: Dal libro emerge con chiarezza che Maratti, come ho esemplificato sopra, non fu solo un pittore ‘classicista’ come ce lo ha voluto tramandare Bellori nella sua visione idealistica e – permettetemi di dirlo – un po’ faziosa. Bellori infatti, che fu il maggior teorico del Seicento a Roma, e forse in Europa, non fa cenno all’attività di Maratti inventore di modelli per oreficerie, credo perché questo genere era da lui ritenuto ‘minore’ rispetto a quello di pittore di storie colte e sacre, sulle quali si dilunga moltissimo offrendone descrizioni ed ekfrasis colte. Maratti invece realizzò i disegni per molte argenterie: il caso più eclatante sono i grandi modelli disegnati, conservati nella collezione del Duca di Devonshire a Chasworth, per i piatti sbalzati dai migliori orafi romani del tempo, donati annualmente dal cardinal Lazzaro Pallavicini, al Granduca di Toscana negli anni dal 1682 al 1686. Non è un caso infatti il fatto che ho voluto dedicare il risvolto della copertina proprio ad uno di questi grandi modelli, pienamente barocchi nella ricca ornamentazione, a sottolineare la novità aggiunta in questo libro alla personalità di Maratti.
– Come è nata l’idea di scindere in due volumi la pubblicazione che peraltro si caratterizza per l’altissima qualità delle immagini che è da sempre la peculiarità delle edizioni Ugo Bozzi?
R: La scelta di pubblicare due volumi è scaturita dall’editore, vista la massa di informazioni, numero delle pagine dei testi e schede delle opere (il catalogo dei dipinti ammonta a 251, senza comprendere le repliche catalogate sotto uno stesso numero, ai quali si aggiungo più di 800 disegni preparatori per queste tele).
Novità e Aggiunte al catalogo:
R: Rispetto alle schede redatte dalla Rudolph, aggiornate nella bibliografia come già detto, in questo lavoro sono registrate alcune novità, emerse dagli studi più recenti: è il caso del già citato Ritratto del Marcaccioni, cat. 112 a, presentato dalla Costanzi in una mostra nelle Marche e riesaminato alla luce di nuovi documenti da Xavier Salomon (2012). Tra le altre proposte da me avanzate la più evidente è l’aggiunta di due opere al catalogo dell’artista: la prima è Bacco e Arianna in collezione inglese (cat. 14), opera giovanile ancora molto acerba non accettata dalla Rudolph (che l’attribuiva al modesto allievo Niccolò Berrettoni), ma di cui è emersa la qualità dopo il recente restauro e la componente veneteggiante caratteristica dei suoi anni giovanili.
La seconda è l’Adorazione dei magi da me rintracciata nella collezione della Banca d’Italia a Roma (cat. 207) dove era celata sotto l’attribuzione a Giuseppe Bartolomeo Chiari, ma emersa nella sua qualità come il dipinto spedito da Maratti a Palermo, ritenuto disperso dalla Rudolph e sinora documentato solo dall’incisione di Nicolas Dorigny. E’ una splendida aggiunta al catalogo dell’artista della sua produzione più matura intorno agli anni ’90 del secolo.
La maggior parte dei disegni analizzati nel volume sono posti a corredo delle schede dei dipinti: in questo modo è possibile ricostruire in una sequenza logica, le tappe della genesi dell’opera e dell’invenzione scaturita dalla mente e dalla penna di Maratti, cioè il suo processo creativo, che in un artista di formazione classica è assolutamente fondamentale. Si passa così dai primi schizzi rapidi ed incisivi, realizzati a penna o matita, che traducono sulla carta l’idea che tanto difendeva il suo amico e mentore Bellori; ai modelli definitivi da presentare al committente, in genere più puntuali e dettagliati, che egli poi affidava ai numerosi collaboratori presenti nella sua bottega, i quali dovevano dipingere molte delle pale, dei ritratti e delle repliche che committenti di tutt’Europa e esponenti del mercato dell’arte gli chiedevano continuamente.
Ma il suo lavoro di preparazione di un’opera non si limitava a queste sole tipologie grafiche: una volta definita la scena generale, Maratti passava a mettere a fuoco ogni dettaglio delle varie comparse che popolavano le sue scene, con una meticolosità che divenne leggendaria. Intendo non solo le pose delle figure, studiate dal modello nudo per mettere in evidenza muscolatura e torsioni, fedele ai più rigorosi dettami dell’accademia, ma anche mani, piedi, gambe, teste – e qui possiamo ricordare alcuni studi di teste maschili e femminili di grande intensità emotiva, divisi oggi tra la Royal Library a Windsor Castle e il Kunstmuseum di Düsseldorf – particolari ai quali ha dedicato fogli e fogli di studi, dalla giovinezza sino alla piena maturità, con un’assiduità che attesta come egli non lasciasse nulla di improvvisato nella sua arte.
A questi fogli si aggiungono i ben noti studi di panneggi, tanto lodati da Bellori: su grandi fogli di carta colorata, spesso azzurra, Maratti provava e riprovava il panneggio che avviluppava il corpo delle figure, il cadere delle pieghe, il muoversi dei panni nell’aria, con una reiterazione che aveva del maniacale, ma sempre spinto dalla necessità di arrivare al risultato migliore, lui vero ed ultimo esponente di quella ricerca del ‘bello ideale’ che perseguì per tutta la vita.
Attraverso l’analisi dell’intero corpus dei suoi disegni infatti, l’artista allargò i suoi orizzonti uniformandosi al repertorio barocco, non limitandosi solo alla pittura, ma progettò modelli per sculture – assai noto il suo coinvolgimento nel fornire i modelli per le statue degli Apostoli destinate ad ornare la tribuna di San Giovanni in Laterano, intervento non sempre gradito dagli scultori che trovavano i suoi disegni troppo poco plastici e troppo lineari, o ancora per il modello del monumento a papa Innocenzo XII scolpito da Etienne Monnot – e disegni d’occasione, cioè composizioni di dotto significato allegorico, destinati ad illustrare componimenti poetici o encomiastici di poeti suoi amici, quale Sebastiano Baldini, letterato dell’entourage della regina Cristina di Svezia e del Marchese del Carpio.
Eseguì inoltre struggenti disegni di ritratti : ma non sono studi preparatori per i ritratti dipinti, bensì studi autonomi, perché egli amò raffigurare le persone a lui più care e vicine – la moglie Francesca Gommi, compagna fedele nella vita e nell’attività di mercante d’arte, con cui si arricchì notevolmente; l’adorata figlioletta Faustina, di cui ci ha lasciato una tenera documentazione visiva dai primi anni dell’infanzia sino alla giovinezza, l’amico scultore Domenico Guidi – e soprattutto se stesso in grandi fogli con autoritratti, divisi oggi tra Darmstadt, Dresda, Vienna, il British e Madrid, nei quali si è voluto immortalare nel suo bell’aspetto di gentiluomo, ormai arrivato al massimo della celebrità nella carriera e nella scala sociale.
Come si è detto, la novità più eclatante sono i suoi disegni per oggetti di arredo e di oreficeria, destinati ad essere tradotti in raffinatissimi manufatti in argento dai più affermati orafi attivi a Roma al tempo, attività totalmente ignorata da Bellori, ma che lo accomuna ai maggiori artisti del suo tempo, da Bernini a Cortona, che non disdegnarono di eseguire modelli per oggetti d’arredo. Va detto però che lo studio su Maratti, ed anche su Maratti e il disegno, non si chiude qui.
Questa monografia infatti vuole essere un punto di partenza per ulteriori messe a fuoco sull’artista, non un punto di arrivo. Lo dimostra l’ultimo capitolo del volume, che non a caso ho voluto intitolare ‘Disegni per gli allievi’, che costituisce un’apertura su un problema ancora tutto da indagare: il meccanismo all’interno della bottega. Attraverso alcuni esempi assai chiarificatori, ho tentato di ricostruisce il modus operandi dell’artista, che da vero manager d’impresa con metodi assai attuali, forniva ai suoi collaboratori disegni preparatori per gli affreschi che egli non era faceva più in tempo a dipingere. Anche qui il suo modello è Raffaello: e se committenti e pontefici –come Clemente XI Albani – si lamentavano perché i dipinti di Passeri e Procaccini non raggiungevano il livello del maestro, egli prontamente li difendeva scrivendo al papa così:
«Io sono stato quello che ha formato più di un Pensiero, Io son quello che ho fatto tutto di mia mano il disegno.. Io son quello che ho fatto lo sbozzetto e che ho aggiunto sul disegno cose che non erano ne’ pensieri…».
Rivendicando quindi a sé l’invenzione, Maratti dà il massimo riconoscimento al disegno in quanto espressione diretta dell’idea, quasi un anticipo, ma in chiave neoplatonica, del concetto moderno di copyright.
– Ti sei avvalsa di collaborazioni, e se si quali, nel riprendere in mano un argomento tanto ampio?
R: Purtroppo non ho avuto collaboratori in questo lavoro, salvo una bravissima PhD di RomaTre, dr.ssa Michela Corso, che ha curato l’editing dei volumi. Lei è un’ottima professionista, e brava storica dell’arte, perciò la sua revisione ai testi della Rudolph e miei, i suoi indici e la bibliografia, da lei curati, sono stati un ottimo strumento di controlli incrociati. Un supporto importante mi è stato dato da Elisa Martini, brava PhD dell’Università di Ferrara, che ha redatto una indispensabile Cronologia della vita e delle opere di Maratti, attingendo a tutte le fonti note e pubblicate al fine di fornire una serie di dati fondamentali per ricostruire la vicenda biografica del pittore. Infine Vincenzo Stanziola, attuale funzionario storico dell’arte al Museo di Capodimonte, ha tradotto i testi in inglese della Rudolph, che abbiamo inserito tra i saggi introduttivi.
– Infine una curiosità; non solo tra i semplici appassionati ma anche tra gli studiosi si è soliti usare indifferentemente il nome Maratti (di battesimo) o Maratta per indicare l’artista; mi risulta personalmente che la Rudolph fosse assolutamente contraria all’uso del Maratta; risulta anche a te? E a tuo parere, invece, l’uso dei due termini di riferimento è corretto?
R: Questo è un quesito che mi pongono tutti e di frequente: credo che Francesco Petrucci l’abbia risolto in modo egregio in un suo saggio del 2011, in quanto già nel XVII e XVIII secolo erano usate entrambe le dizioni per appellare l’artista. Indubbiamente la dizione più corretta è Maratti, perché egli così si firmava nei documenti ufficiali e così lo cita Giovan Pietro Bellori nella biografia a lui dedicata; ma ciò non toglie che la dizione Maratta si ritrovi anche nelle fonti che negli antichi inventari di collezioni.
Roma 6 Ottobre 2024