di Rav Scialom BAHBOUT
Rav Scialom Bahbout (Tripoli, 1944) diviene rabbino conseguendo la “semikhà” al Collegio rabbinico italiano nel 1965 sotto la direzione di rav Elio Toaff. Docente presso lo stesso Collegio dal 1978 al 1983, è stato direttore del Dac (Dipartimento assistenza culturale dell’Ucei) dal 1983 al 2000. Laureatosi in Fisica nel 1970, per 35 anni è docente di Fisica alla Facoltà di Medicina della Sapienza di Roma. Rabbino Capo a Bologna, Napoli e Venezia, nel 1988 riceve il premio Pras Ha-sar del Ministero per gli Affari Religiosi di Israele e nel 2002 il titolo di Senior Fellow presso la Mandel School di Gerusalemme. Con questo articolo inizia la sua collaborazione con About Art
Marc Chagall, il gallo e la capra
L’opera di Marc Chagall è stata multiforme e vi si possono trovare molte tracce provenienti da diverse fonti. Dobbiamo ricordare che Chagall nasce in Europa Orientale dove accanto alla comunità tradizionale, rappresentata dal rabbinato, operavano tendenze culturali e spirituali diverse: il Hassidismo e la Askalà.
Il Hassidismo si opponeva alla tendenza razionalista rappresentata dalla classe rabbinica e poneva l’accento sull’importanza dell’osservanza dei precetti con gioia ed entusiasmo.
La Askalà, nota anche come il movimento illuminista ebraico, era influenzata dai cambiamenti culturali prodotti dall’Illuminismo e dal Positivismo che si stavano imponendo in tutta Europa, specie per lo sviluppo delle scienze.
Gli ebrei di Vitebsk erano ovviamente divisi in varie comunità e la famiglia di Marc Chagall (In origine Shagal) apparteneva alla comunità hassidica: il Rabbi Menachem Mendel di Vitebsk era stato introdotto e avviato al hassidiasmo dal Maghid di Mezerich, l’allievo del Ba’al shem tov.
La forza della tradizione e gli usi ebraici erano certamente molto sentiti nella famiglia di Marc Chagall, che conduceva una vita profondamente immersa nel mondo ebraico: pertanto il marchio della cultura ebraica e della gioia che caratterizza il Hassidismo si possono riscontrare in molte delle opere di Chagall. L’influenza del periodo trascorso durante la gioventù a Vitebsk nella comunità hassidica aveva lasciato le sue tracce anche nelle persone che si erano allontanate dalle tradizioni e dalla vita ebraica attiva, e tra queste certamente Marc Chagall. Bisogna anche considerare che le comunità hassidiche e ashkenazite erano soggette a una forma di isolamento da parte della popolazione cristiana. Eventi come pogrom erano frequenti nei territori sotto il dominio dello Zar e nell’Europa orientale.
Lo studio del Talmud era impartito fin dall’infanzia nelle scuole dello shtetl e quindi Marc Chagall aveva certamente assorbito il metodo interpretativo in uso nel Talmud, dove ogni parola ha mille sfaccettature. Chagall nelle sue memorie parla della quarta dimensione. Il Talmud parla dei settanta modi in cui può essere interpretata ogni singola parola e delle quattro tecniche di interpretazione del testo. A parte le prime tre tecniche (Letterale, allusiva e interpretativa), l’ultimo sistema è il SOD, il segreto, il mistero, come a dire che dentro e dietro a ogni evento si nasconde qualcosa di misterioso. I dipinti di Chagall sono pieni di misteri e di segreti, sono come una trasposizione di sogni e come dice il Talmud, il sogno è una lettera che non è stata ancora aperta.
Molti dei dipinti di Chagall sono direttamente ispirati a soggetti ebraici, tra questi ricordiamo le vetrate della Sinagoga dell’ospedale Hadassa a Gerusalemme che hanno come oggetto le 12 tribù e gli arazzi che si trovano al Parlamento d’Israele, ispirati a eventi della storia ebraica. Ma moltissime delle sue opere echeggiano concetti universali legati in modo diverso alla cultura ebraica.
Nei suoi dipinti troviamo persone e animali che volano o che sono a testa in giù o in posizioni assolutamente improbabili. Le persone non hanno i piedi per terra e Chagall è il primo ad avvertire questa situazione.
Molto forte è la percezione dell’esilio per un ebreo che è costretto a migrare da un paese all’altro ed è considerato sempre come straniero nella terra in cui è nato o in quella in cui per avventura è riuscito a trasferirsi.
Per Chagall che è costretto ad andare in Francia, si tratta di vivere in un esilio dell’esilio: lui sa che appena gli sarà possibile tornerà a Vitebsk. Chagall continua a pensare a Vitebsk, alla Russia, come la sua terra, perché è la terra che gli ha dato i natali e che lui ama.
L’idea dell’esilio imminente viene particolarmente evidenziata dal dipinto dell’uomo in rosso.
Dietro l’uomo vediamo scritti i versi del brano con cui Abramo riceve l’ordine di abbandonare la sua terra, la sua patria, la casa del padre. Ma la stessa percezione si ha quando vediamo il dipinto di Vitebsk e dell’ebreo con il fagotto che sta in aria in cammino: dove andrà senza sapere quale sarà in cui andare?
Lo strumento musicale che l’ebreo porta con sè in ogni esilio è il violino e Chagall lo inserisce in molti dei suoi dipinti. Dice una storiella: Perché il violino? Provatevi a fuggire e portare sulle spalle un pianoforte! Mentre in ogni luogo, anche dove non esiste un’orchestra, è sempre possibile portare un violino che è sempre presente in ogni villaggio.
Chagall ci metterà non poco per trovare la strada per una qualche forma di rappacificazione con il mondo esterno e quello cristiano in particolare, per le persecuzioni subite e le discriminazioni imposte sia dalla popolazione che dal potere. La rivoluzione bolscevica, nella quale molti ebrei avevano riposto molte speranze, non rispose affatto a queste speranze, e con il passare del tempo gli ebrei dovettero presto ricredersi: così nel dipinto dedicato alla rivoluzione, non a caso Chagall raffigura Lenin con la testa all’ingiù.
Le promesse non sono state mantenute e anche coloro che avevano espresso una posizione favorevole alla rivoluzione per un riconoscimento dei valori espressi dalla maggioranza, hanno dovuto ricredersi.
Si pensi al dipinto Crocifissione bianca, in cui in alto sopra la folla compare un crocifisso: vediamo un sacro rotolo bruciato e altre raffigurazioni che rimandano a un esodo perenne. Qui Gesù è un figlio di Israele, con uno scialle su una parte del corpo, esattamente sofferente come gli altri e che ammonisce con la sua presenza quei torturatori che hanno abbandonato l’insegnamento Ama il prossimo tuo come te stesso (già annunciato da Mosè nel Levitico e di fatto cancellato da secoli di persecuzione cristiane nei confronti degli ebrei). Anche altri artisti ebrei avevano dovuto rivedere il proprio atteggiamento, aperto verso la società cristiana, ma che, di fronte all’abbandono di Gesù da parte della Chiesa di Gesù e al tradimento del suo messaggio, prendono le distanze. Per Chagall Gesù rimase ebreo fino alla morte come dimostra il Tallet, il manto di preghiera, con cui lo ha raffigurato.
Neldipinto Crocifissione con capra Rossa, la capra rossa può rappresentare il popolo ebraico e comunque l’atmosfera sembra molto più serena Forse perché siamo nel 1950 dopo la Shoà e la persecuzione è già passata. Forse anche nel dipinto Cristo e il pendolo si può ravvisare un’atmosfera diversa di rappacificazione. Il tempo può lenire le ferite e riavvicinare le persone e i popoli
La scansione del tempo è uno degli aspetti fondamentali della cultura e della liturgia ebraica: un orologio a pendolo in ogni casa era una cosa essenziale: serviva per stabilire i tempi della preghiera, i tempi necessari per poter passare da un pasto di carne a uno di latte e ancora più importante, i tempi dell’entrata e dell’uscita delle feste e del sabato. In un paese in cui il cielo è spesso nuvoloso è necessario poter avere un orologio per sapere a che ora finisce la festa. L’ebraismo è una religione del tempo e non dello spazio e per questo non ama molto la rappresentazione di spazi e la produzione di sculture: la raffigurazione di un pendolo dall’ala blu in cui è raffigurata una coppia (forse lo stesso Chagall con la moglie) sta ad indicare che col trascorrere del tempo l’unica cosa veramente importante è il rapporto di coppia e la famiglia che essa forma: sappiamo quanto sia importante questa istituzione sia per la sopravvivenza della Comunità ebraica che della società in generale.
Numerosi sono i dipinti in cui appare il gallo e la capra i curatori della Mostra hanno scelto come Copertina Il gallo ed per la seconda di copertina La notte verde, dove appare una capra verde.
Chi ha visto il catalogo delle foto realizzate da Roman Vishniac “Un mondo scomparso”, sa quanto gli animali siano presenti negli shtetl, i villaggi dove gli ebrei svolgevano i lavori anche più umili.
Numerosi sono i dipinti in cui appaiono il gallo e la capra i curatori della Mostra hanno scelto come Copertina Il gallo ed per la seconda di copertina La notte verde, dove appare una capra verde. Chagall illustrerà la copertina de “La storia del galletto la capretta e il topo” e la presenza dei due animali e il fatto che Chagall abbia deciso di illustrare la copertina del racconto non è casuale.
Il primo animale ricorda il gallo che canta al mattino e che ti dà la sveglia, come viene ricordato nella preghiera del mattino: anche il gallo sa che arriva il giorno, ha una intelligenza sua propria e sa che bisogna pregare come può fare un gallo modo suo … tanto più l’uomo.
Nella tela utilizzata per la copertina del catalogo della mostra, l’uomo che cavalca il gallo, e che appoggia la testa a quella del gallo indica che entrambi hanno una intelligenza e che devono sapere per istinto quando è il momento di andare, quando è il momento di pregare.
Non bisogna neanche dimenticare il ruolo del gallo nell’uso delle kapparoth che si fa alla vigilia dello Yom Kippur. La macellazione di un gallo simboleggia quello che dovrebbe essere il destino dell’uomo qualora dovesse pagare per tutte le colpe commesse. Questo uso molto contestato dai rabbini, oggi viene sostituito da donazioni ai bisognosi.
La capra, l’altro animale onnipresente presente nei dipinti di Chagall, come nei racconti dei narratori ebrei dell’Europa orientale (Singer, Agnon) è paragonata al popolo ebraico, spesso sofferente per le persecuzioni cui è stato oggetto.
Una rappresentazione di questa idea ci dà Umberto Saba, ebreo triestino, nella poesia La capra.
Ho parlato a una capra. / Era sola sul prato, era legata. /Sazia d’erba, bagnata/ dalla pioggia, belava. / Quell’uguale belato era fraterno / al mio dolore. Ed io risposi, prima/ per celia, poi perché il dolore è eterno,/ ha una voce e non varia./ Questa voce sentiva/ gemere in una capra solitaria. /In una capra dal viso semita / Sentiva querelarsi ogni altro male,/ ogni altra vita.
Scegliendo un umile animale come soggetto privilegiato per il poema, il poeta crea un simbolo assoluto di sofferenza. Anche chi noi riteniamo non sia in grado di soffrire (una capra, appunto) è lacerato da una condizione di afflizione. Il dolore del poeta e della capra diviene il simbolo per una condivisione della sofferenza universale del mondo: vedersi specchiato nella “capra dal viso semita” (v. 11) è il primo passo per abbandonare il proprio egocentrismo. Il dolore, appunto il dolore dell’ebreo perseguitato ed esiliato, viene riconosciuto come generale ed “eterno”.
Non bisogna dimenticare che il popolo ebraico è stato preso come capro espiatorio per qualsiasi disgrazia o epidemia: i numerosi pogrom accaduti nell’Europa orientale hanno causato una enorme sofferenza e Chagall è stato testimone di quegli eventi tremendi e la sua arte li rappresenta in qualche modo.
I dipinti in cui Chagall sono presenti delle capre sono numerosi: ognuno dei quali meriterebbe un’attenta analisi. Tra i tanti dipinti ricordiamo Io e il villaggio, Studio per la pioggia, Coppia con capra rossa, Due capre: progetto per il sipario del teatro ebraico.
Pur muovendosi dalla sua esperienza specificamente ebraica, Chagall riesce a trasmettere attraverso i suoi dipinti un messaggio universale che può toccare ogni persona: l’esilio, il tempo, la gioia e il dolore sono esperienze che toccano tutti gli uomini: Non resta quindi che mettersi di fronte a un quadro di Chagall, ammirare e pensare.
Rav Scialom BAHBOUT Roma 21 febbraio 2021