di Gloria GATTI
Gloria Gatti è Avvocato iscritto all’Ordine di Milano dal 2001, assiste abitualmente imprese multinazionali e italiane, nonché prestigiose istituzioni culturali, case d’asta e privati collezionisti nei diversi ambiti del diritto dell’arte e dei beni culturali. Giornalista pubblicista, collabora con numerose testate e riviste scientifiche dedicate al settore.Tra le attività di Gloria Gatti rientra anche la partecipazione in qualità di relatore a corsi universitari e a convegni giuridici e di materia artistico-culturale.
Steve Mc Curry nel nostro momento più buio ci ha regalato un “Omaggio all’Italia”, soffermandosi anche sulla “Calamita cosmica” di Gino De Dominicis, quasi a ricordarci la grandezza di un artista di cui negli ultimi tempi si è parlato solo nella cronache giudiziarie e, da ultimo, per il rinvio a giudizio di Vittorio Sgarbi, quale Presidente della Fondazione Archivio Gino De Dominicis, accusato di aver rilasciato certificati di autenticità di numerose opere che ad avviso degli inquirenti non sarebbero di mano dell’artista.
Il fatto di cronaca ha riporta all’attualità il tema del “falso d’autore”[1] nei processi penali e civili e il ruolo giocato degli Archivi a memoria d’artista. Questi ultimi vengono definiti dalla dottrina come
“enti solitamente costituiti da quegli stessi soggetti legittimati a tutelare la paternità della produzione dell’artista deceduto, muniti, pertanto, di un potere in un certo senso di supervisione generale, se si ha riguardo ai sistemi che perpetuano o riconoscono una durata alla tutela del diritto morale dopo la morte dell’artista, oppure, e con eguale rilevanza, per la valenza di un sistema di fatto monopolistico […]: l’attività di certificazione può avvenire sia direttamente, attraverso il rilascio di attestati di autenticità, sia indirettamente, ma con eguale efficacia per il mercato, mediante l’individuazione dell’opera nell’archivio delle opere di produzione dell’artista e, sempre indirettamente, con l’inserimento dell’opera nel catalogo ragionato dell’artista”[2],
attività che certamente non coincide con la definizione di Archivio Storico secondo il diritto dei Beni Culturali che indica il complesso dei documenti prodotti o acquisiti da un certo soggetto e da quest’ultimo ritenuti meritevoli di conservazione[3], consistenti nella
“raccolta ordinata e tendenzialmente completa degli atti di un ente o individuo che si costituisce durante lo svolgimento della sua attività ed è conservata per il conseguimento degli scopi politici, giuridici e culturali di quell’ente o individuo”[4].
E più precisamente sono proliferati taluni archivi “vuoti” che, pur tuttavia, hanno assunto
“nell’ambito del mercato, il ruolo di certificatore ufficiale, o quantomeno autorevole, della effettiva paternità ed originalità dell’opera di un dato artista”[5],
facendo leva sulla previsione di cui all’art. 23 della Legge sul Diritto d’Autore, che attribuisce a taluni familiari nell’ordine gerarchico indicato dalla norma un diritto morale proprio sull’opera dell’artista defunto, ma non certo un monopolio sulla damnatio di un’opera con riferimento alla quale sono invece tutti i familiari in forza dell’art. 8 del Cod. Civ. ad essere legittimati a proteggere il diritto al nome e ad opporsi all’indebito uso che altri ne facciano.
Autorevole dottrina[6] lo ha recentemente ribadito concludendo per la non applicabilità anche degli artt. 168 -170 l.a. che attengono alla distruzione dell’opera, il cui potere spetta solo all’artista.
In proposito la critica di Sgarbi appare, una volta tanto, condivisibile, allorquando afferma che il solo fatto che l’Archivio abbia ai vertici la sig.ra Paola Damiani, cugina del defunto maestro, non basta ad attribuire a lei o all’archivio che è sua promanazione il diritto di disconoscere la paternità dell’opera.
La Legge sul Diritto d’autore (n. 633 del 1941), ha subito innumerevoli riforme dagli anni quaranta ma non sul punto, e dimostra a tal proposito tutta la sua “anzianità di servizio” non tenendo conto dell’evoluzione della concezione di famiglia che è intervenuta negli ultimi decenni, come ha anche dimostrato il Governo Conte usando il termine atecnico di “congiunto”, anziché quello di parente o affine, per indicare la cerchia degli affetti stabili a cui garantire un diritto di frequentazione in tempo di lock-down, come ancor prima la legge Cirinnà e come attestato dalle numerose sentenze che hanno riconosciuto ai conviventi diritti assimilabili a quelli dei coniugi (subentro nel contratto di locazione, risarcimento del danno in caso di morte, diritto agli alimenti).
Un concetto di famiglia in base al diritto vivente che ben può rientrare nell’applicazione dell’art. 8 del Codice Civile e che potrebbe portare ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 23 della Legge sul diritto d’Autore o a un’eccezione di legittimità costituzionale
Anche questa lettura, più corretta sotto il profilo giuridico, non permette, però, di superare il tema della prova del “ falso” che non può e non deve, né in un processo penale né in uno civile, essere rimessa alla sussistenza o meno di un certificato di autenticità rilasciato o non rilasciato da questo o da quell’altro Archivio d’Artista, come se i certificati di autenticità delle opere emessi da taluni fossero un sorta di contemporanea riviviscenza dei certificati di indulgenze che accompagnavano la vendita delle reliquie e “garantivano” gli acquirenti dalla pena degli inferi.
L’autorevolezza del certificato da parte dell’Archivio non dovrebbe essere legata alla figura del parente più prossimo, ma dalla circostanza che l’Archivio ritorni alla sua originaria essenza di custode della memoria dell’artista e delle fonti primarie.
Quale valorizzazione della memoria e del patrimonio immateriale dell’artista può pensare di perseguire un Archivio d’artista se non ha puntualmente raccolto, ordinato e catalogato tutto il materiale (bozzetti, stampe fotografiche, corrispondenza, diari, appunti, manoscritti, fatture, contratti, colori, pennelli, scalpelli, tele, tavolozze, cavalletti, solventi, leganti, collanti, timbri per le riproduzioni, lastre fotografiche, negativi fotografici) che egli ha prodotto durante la sua vita e che consentono la conoscenza del suo pensiero e delle sue opere?
E il caso De Dominicis non fa altro che confermare che per causa di un mercato dell’arte dove gli artisti acquistano valore post mortem, proliferino delle sorte di “fans club” che si autodefiniscono Archivi; per usare le parole del compianto Celant,
“come branchi di iene alla cui guida, azzannandosi uno contro l’altro […] hanno iniziato una corsa, attraverso associazioni, archivi e fondazioni, per appropriarsi del diritto di dichiarare autentici o falsi i reperti dell’artista, così da diventare gli autori del suo catalogo generale”[7].
Quella degli Archivi d’artista, al pari di qualunque altro soggetto che ritenga di averne le competenze, è un’expertise su una determinata opera, che nulla vale più di un’opinione, quale estrinsecazione della libertà di pensiero e non ha, né può avere alcuna fede privilegiata né nel processo civile, né in quello penale.
Per il diritto vigente nulla cambia se l’Archivio a memoria d’artista è stato dallo stesso costituito in vita e neppure i maldestri tentativi via via escogitati dai maestri non hanno retto al vaglio della giustizia, a partire dal caso De Chirico che aveva conferito alla moglie Isabella un mandato notarile ad autenticare le sue opere a valere anche post mortem.
Resta però innegabile che se è stato proprio l’autore a scegliere chi avesse la capacità di esprimersi in merito alla sua opera e a custodire il suo patrimonio documentale e la sua memoria, nell’attesa di un’auspicabile riforma, questi dovrebbe godere di una maggiore autorevolezza e attendibilità d’opinione anche dopo la sua dipartita, lasciando all’eletto un mero compito di consultazione dell’archivio delle memorie dell’autore.
Tutto questo per Gino De Dominicis è più difficile, se non impossibile, perché l’artista che impediva di riprodurre fotograficamente le sue opere sostenendo “che le fotografie del suo lavoro erano opera del fotografo non sua!”, per sua ultima volontà, ha disposto che il mondo e il suo archivio, mai creato in vita, perissero cui lui.
Gloria GATTI Milano 31 maggio 2020
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