di Vittorio SGARBI
In un orto di galline malate, tra complessi, fallimenti, presunzioni, frustrazioni, si mostra tutto il disprezzo per chiunque abbia fatto qualcosa piuttosto che stare alla finestra, pretendendosi incontaminati.
Da trentotto anni, cioè da quando io ne avevo trentuno, il “Giornale dell’arte”, mensile di informazione e pettegolezzi, fondato da Umberto Allemandi dopo l’ eutanasia della casa editrice Bolaffi, interroga inermi e inerti osservatori sul meglio e sul peggio dell’anno. Non manco io, tra i pochi, nella lunga maratona, a essere giudice e giudicato. E mentre le virtù e i meriti dei giudici sono discontinui, costante è il giudizio negativo su di me, sulle mie attività e sugli istituti che presiedo. E siccome, al di là’ dell’antipatia, credo che il lavoro debba essere rispettato, vorrei essere giudicato per quello che ho fatto.Anche quest’anno risulto il primo dei peggiori, e sono in buona compagnia: con Jeff Koons, con il Mart di Rovereto, con Bansky, con Dario Franceschini e con i marmi Torlonia. Non che le sentenze vengano da aquile, ma è sintomatico che i giudizi negativi accomunino cose e persone, artisti e musei, mostre e restauri di indiscussa importanza e prestigio. Dovrei dunque ritenermi soddisfatto di stare, per la meschinità’ dei giudici, nell’Olimpo dei migliori, insidiati dall’invidia e dall’ insuccesso di coloro che non hanno fatto nulla per essere ricordati. Ma mi diverte troppo, pensando non solo che sono attivo e determino reazioni, ma che sono fra quanti danno danari ad Allemandi per pubblicità e promozione di iniziative, osservare i luoghi comuni e le contraddizioni che portano a far scrivere i nostri nomi sulla lavagna.
Non va bene la mostra di Jeff Koons, ma è bravissimo l’assessore Tommaso Sacchi che l’ha promossa. Va bene la mostra di Domenico Gnoli, allestita come una televendita alla fondazione Prada, con un catalogo sgangherato e mortificante, ma vado male io che sono il primo ad aver pubblicato un libro su Gnoli, quando Celant e Prada dormivano, con l’editore Franco Maria Ricci.
Nessun dubbio che l’esposizione più clamorosa del 2021 sia stata quella dei Marmi Torlonia, curata da Salvatore Settis, ma una congiura di incompetenti, con la puzza sotto il naso, senza nulla sapere e senza nulla capire, ha stabilito che qualcuno (che non esiste) ha spulito le sculture. Banksy spopola tra i giovani e alle aste ,dove la sua Girl with balloon ha toccato i ventidue milioni di euro, ma è “troppo sopravvalutato”. Perché non puntare, allora, sui freschissimi Joseph Beuys e Alberto Burri (siamo nel 2022, non nel 1972),o sulla nuvolosa Corinna Gosmaro?
Gli istituti museali, interdetti dall’epidemia, sono stati chiusi molti mesi e hanno prodotto (poche) mostre, a intermittenza; ma i sagaci osservatori (con ‘l’eccezione dei sereni Alberto Fiz, Andrea Bruciati, Paolo Bolpagni) sembrano non essersi accorti che almeno uno, forse l’unico, ha resistito producendo in un anno le seguenti mostre: “Caravaggio. Il contemporaneo”; “Nicola Samorì”; ”Luciano Ventrone”; ”Giovanni Boldini. Il piacere”; “Leonardo Cremonini / Karl Plattner”; “Picasso, De Chirico e Dalí in dialogo con Raffaello”; “Lino Frongia”; “Botticelli, il suo tempo e il nostro tempo”; ”Steve Mc Currey” ;”Il falso nell’arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento”; “Depero New Depero”; ”Romolo Romani”; “Herta Ottolenghi”; ”Antonio Canova,tra innocenza e peccato”; “Achille Perilli/Piero Guccione”, ”Nicola Bolla”; ”Wainer Vaccari”.
Questo museo cosi virtuoso, e così attivo, è naturalmente il peggiore: il Mart di Rovereto. Che io presiedo. Difficile sostenerlo in assoluto, e anche al confronto con tanti musei pubblici che sono rimasti letteralmente fermi. Ma è l’insindacabile giudizio di due donne serene, note per la loro lungimiranza come Annamaria Maggi e Alessandra Mammí, che colpiscono il museo di cui nulla hanno visto, in questo anno difficile, soltanto perché presieduto da me. Un criterio oggettivo, come sa bene Allemandi, che le ha scelte come giurate.
La Maggi è talmente lucida che crede che Dario Franceschini sia stato coraggiosamente contrario alle chiusure di musei e istituzioni pubbliche per l’arte, e ignora che invece è proprio lui il deprecato “responsabile della chiusura non necessaria dei musei e dei luoghi di cultura durante la prima parte del 2021”. Non sapendo quello che dice e parlando di ciò che non sa e non vede, si affianca al suo simile e affine, il tortuoso gallerista Massimo De Carlo, per cui il Mart ha senso solo come deposito delle opere dei suoi collezionisti.
E’ la condizione di museo pubblico che lo infastidisce, un sentimento simile a quello dell’inutilissimo raccoglitore Giorgio Fasol, le cui opere, tutte dimenticabili, l’abile Denis Isaia è riuscito a scaricare dal Mart alla Università di Verona dove nessuno le vede e, se le vede, non se ne accorge.
Questi spiriti liberi e disinteressati sono i nemici del Mart, e hanno antipatia per chi cerca di far vivere il museo, non con opere di Diego Tonus, Emilio Vedova, Piero Dorazio, Tomaso De Luca, ma con opere (da grandi musei, italiani e stranieri) di Botticelli, Caravaggio, Raffaello, Canova, Picasso, Boldini, per “scelte curatoriali improntate troppo all’arte antica”. Troppo. Occorre più moderazione. Che cosa importa se poi, girando per le sale del Mart, ti imbatti in Edward Weston, Man Ray, Irving Penn, Eikoh Hosoe, Dino Pedriali, Robert Mapplethorpe, Helmut Newton, Vanessa Beecroft, Miroslav Tichy, Lisetta Carmi, Lee Friedlander, Bettina Rheimes, Jan Saudek, Joel – Peter Witkin, Mustafa Sabbagh, Nadav Kander?
Cosa importa ad Annamaria Maggi della galleria Fumagalli, che è così moderna con i suoi Castellani, Kounellis, Bonalumi, Giulio Paolini? Che scelte originali! E perché perdere tempo con Carlo Benvenuto o Piero Guccione? Non facciamole sapere che abbiamo messo Paolini vicino a Canova! Potrebbe soffrire.
Per non parlare di Clarice Pecori Giraldi, che non può sopportare che alcune sale di palazzo Ducale a Mantova siano chiuse senza avvisarla all’ingresso. Se poi le chiedi del migliore architetto del 2021 ti risponde: “Carlo Scarpa, sempre ancora perfetto“ (che e’ morto nel 1978).
Umberto Alemandi sorride leggendo una tal sequela di scemenze. Gli piace tanto, nel suo castigato snobismo, il comico docente di archeologia e storia dell’arte musulmana Giovanni Curatola. Sorriderà di meno quando dovrà chiedere sostegno per il suo giornale alle Maggi, alle Mammí, ai De Carlo, ai Fasol, ai Curatola. Perché avere rapporti con il peggiore dei musei pubblici, il Mart di Rovereto?
Dopo tante contumelie, mi consolo trovando, nel catalogo della donazione di “Vetri veneziani” alla Galleria d’arte moderna ‘Carlo Rizzarda’ di Feltre, le belle parole di Ferruccio Franzoia, che di Carlo Scarpa fu colto e luminoso allievo:
”A Vittorio Sgarbi desidero esprimere gratitudine non solo per le sue brillanti intuizioni critiche, ma anche per l’attenzione che motivatamente rivolge alle realtà marginali e per l’inesausta veemente capacità’ di indignazione con la quale stigmatizza l’ignoranza diffusa nel ‘bel paese là, dove il si’ suona’ “.
Anche questa volta. Per fatto personale.
Vittorio SGARBI Roma 14 gennaio 2022