“Chi non punisce il male comanda che si faccia”. La Sistina di Botticelli e la Congiura dei Pazzi; cronaca di un impronunciabile j’accuse.

di Claudia RENZI

Una domenica di aprile un fatto di sangue sconvolse una città.

Ma non era una città qualsiasi, era la Firenze di Lorenzo de’ Medici, e non era una domenica qualsiasi, era la domenica di Pasqua, domenica 26 aprile 1478, e il sangue versato era quello del ventiquattrenne Giuliano, l’amato fratello minore di Lorenzo.

L’evento passò alla storia, com’è noto, come la “congiura dei Pazzi”: quella fatale domenica mattina Giuliano si sentiva ancora indisposto per via di un malessere accusato il giorno prima grazie al quale, senza saperlo, era scampato a un precedente tentativo di assassinio. I congiurati – tra cui i più noti e sicuri sono Jacopo Pazzi, l’arcivescovo di Pisa Francesco Salviati (imparentato con i Pazzi in quanto cugino di Jacopo), Giovanni Battista da Montesecco, Francesco Pazzi e Bernardo Bandini Baroncelli – avevano infatti apparecchiato per lui e il fratello Lorenzo un agguato in quel di Fiesole ma, non essendo intervenuto Giuliano e volendo loro eliminare i due fratelli insieme, si erano visti costretti a rimandare ripiegando su un altro banchetto da allestire in Palazzo Medici il giorno dopo, subito dopo la messa di Pasqua in Santa Maria del Fiore[1].

Tra quelli passati alla storia per essere stati presenti al delitto consumatosi in duomo, il giovanissimo cardinale Raffaele Sansoni Riario, nemmeno diciassettenne: nipote di Sisto IV Della Rovere e di Girolamo Riario (un altro dei congiurati), il ragazzo era a Firenze per una visita amichevole, ansioso di vedere anche la splendida collezione d’arte di Lorenzo de’ Medici. Presentatosi a Palazzo Medici anziché direttamente in Duomo, i fratelli Lorenzo e Giuliano, che avevano già raggiunto Santa Maria del Fiore, tornarono indietro per ricevere degnamente l’ospite e tornare con lui in chiesa: durante il tragitto Franceso Pazzi – imparentato con i Medici per via del matrimonio di Bianca, sorella di Lorenzo e Giuliano, con Guglielmo Pazzi – e Bernardo Bandini Baroncelli si erano premurati, abbracciando Giuliano con la scusa di sostenerlo, che non avesse armi.

Mentre i convenuti finalmente prendevano posto presso l’altare lo zio materno di Lorenzo e Giuliano, Giovanni Tornabuoni, commentò ad alta voce che Giuliano, dato che non stava troppo bene, forse non avrebbe partecipato al banchetto post messa a Palazzo. A quel punto, temendo sfumasse anche quell’occasione, i congiurati rimasti (Montesecco aveva dato forfait, rifiutandosi di compiere un delitto in chiesa) decisero fatalmente di improvvisare: appena l’officiante sollevò l’ostia consacrata Francesco Pazzi e Bernardo Bandini si fecero vicini a Giuliano; Bandini calò un fendente al fianco del giovane mentre Francesco Pazzi gli affondò un pugnale nel petto. Giuliano vacillò e cadde a terra in un lago di sangue dopo almeno 19 pugnalate; l’aggressione fu tanto violenta che lo stesso Francesco Pazzi si ferì a una coscia.

Dall’altro lato dell’altare, nel frattempo, gli altri congiurati Stefano da Bagnone, cappellano, e Antonio Maffei da Volterra, segretario apostolico, tentarono di portare a termine l’impresa avventandosi su Lorenzo, che tuttavia si salvò anche e soprattutto grazie all’intervento dell’amico Francesco Nori, il quale eroicamente si frappose tra lui e i sicari, rimanendo mortalmente ferito e lasciandogli così il tempo di riparare in sagrestia.

Il piano prevedeva che l’arcivescovo Salviati occupasse Palazzo Vecchio mentre suo cugino Jacopo Pazzi, il capofamiglia, avrebbe dovuto sollevare una sommossa popolare contro i Medici, ratificando così il colpo di mano, ma entrambi fallirono miseramente. Nel giro di poche ore la milizia fiorentina prelevò Francesco Pazzi nel suo palazzo: fu trascinato per le strade ancora sanguinante per la ferita alla coscia e condotto a Palazzo Vecchio, alle cui finestre più alte fu impiccato; l’arcivescovo Salviati lo raggiunse poco dopo e, secondo una leggenda, mentre penzolava accanto al complice, negli ultimi spasmi lo morse in petto affondando tanto i denti da lasciarveli conficcati. Jacopo Pazzi, che era riuscito a lasciare Firenze, fu presto rintracciato e impiccato; tutti i beni della famiglia furono confiscati e Gugliemo, cognato di Lorenzo, fu risparmiato soltanto in virtù della parentela acquisita, ma comunque costretto all’esilio. Montesecco fu giustiziato dopo aver reso una dettagliata confessione, scritta durante la detenzione, nella quale denunciava (anche) Sua Santità Sisto IV e il Duca di Urbino Federico da Montefeltro di aver avallato, se non benedetto, la congiura.

Il giovane cardinale Riario, quasi certamente all’oscuro di tutto, nel parapiglia si era rifugiato presso i canonici di Santa Maria del Fiore ma, verso sera, fu tradotto in prigione da cui sarebbe uscito soltanto un mese dopo. Sisto IV non prese bene l’arresto del nipote (e forse nemmeno il fallimento della congiura): appena il cardinale Riario fu rilasciato, nel giugno 1478, scomunicò il signore di Firenze, Lorenzo, e lanciò l’interdetto sulla città.

Soltanto uno dei congiurati sembrava averla fatta franca: Bernardo Bandini Baroncelli, uno dei due che aveva fisicamente aggredito Giuliano, era infatti riuscito a fuggire ma, ritracciato a Costantinopoli soltanto diversi mesi dopo e rimandato a Firenze come personale omaggio a Lorenzo de’ Medici da parte del Sultano, finì anche lui impiccato il 29 dicembre 1479, come testimonia un celebre schizzo di Leonardo, testimone oculare dell’esecuzione (1479, Baroncelli impiccato, Bayonne, Museo Bonnat).

Non è facile credere che un papa, per di più amante dell’arte e della cultura come Sisto IV Della Rovere, possa aver fatto parte della congiura, eppure ne era certamente al corrente e, come dice il vecchio adagio, Chi non punisce il male comanda che si faccia; né va dimenticato che aveva sostituito i Pazzi ai Medici in qualità di banchieri ufficiali della chiesa, esigendo anche una verifica per il Banco dei Medici a Roma[2].

Tuttavia nella primavera del 1481 Sisto IV Della Rovere e Lorenzo de’ Medici pervennero a pace: il papa revocò scomunica e interdetto e Lorenzo, dal canto suo, inviò al pontefice uno speciale team di pittori, tra cui Botticelli, per affrescare le pareti della Cappella Magna, poi meglio nota come Cappella Sistina. I migliori artisti di cui Lorenzo disponeva avrebbero dipinto, in circa due anni, un ciclo di storie tratte dalla Vita di Cristo e dalla Vita di Mosè incastonate tra finti arazzi (livello inferiore) e ritratti a figura intera dei primi papi (livello superiore).

Trovandomi a studiare la Cappella Sistina, giunta al riquadro Le tentazioni di Cristo (Fig. 1) di Sandro Botticelli un volto mi ha suscitato un’immediata associazione con quello di Lorenzo de’ Medici: il personaggio si trova sulla sx dell’affresco, è circondato da una rosa di amici e sodali, e reca un copricapo chiaro a netto contrasto con la zazzera corvina (Fig. 2).

Fig. 1 – Sandro Botticelli, Le tentazioni di Cristo, Città del Vaticano, Cappella Sistina
ig. 2 – Sandro Botticelli, Tentazioni di Cristo, Città del Vaticano, Cappella Sistina (part.)

Capelli neri, lineamenti marcati – appena appena ingentiliti dal pennello di Sandro – occhi cerulei, prognatismo… non può che trattarsi di Lorenzo il Magnifico, ma che ci fa qui? Che il personaggio sia Lorenzo lo si può verificare accostando al suo volto il ritratto di Lorenzo decenne fatto da Benozzo Gozzoli nel Corteo dei Magi (1459, Firenze, Palazzo Medici Ricciardi – Fig. 3).

Fig. 3 – Accostamento volto Lorenzo de’ Medici ritratto da Benozzo Gozzoli e volto botticelliano nelle Tentazioni di Cristo

Accolto che il personaggio dai capelli corvini è Lorenzo de’ Medici, è il caso di allargare l’inquadratura per capire meglio la dinamica della scena: davanti al gruppetto di quattro amici che circonda, quasi protegge – come in Santa Maria del Fiore avevano fatto Angelo Poliziano, Francesco Nori e gli scudieri Andrea e Lorenzo Cavalcanti – il signore di Firenze, c’è un ragazzo che si è tolto il copricapo in segno di rispetto e sembra muoversi con espressione vacua verso l’altare, posto esattamente al cento dell’affresco, sul cui sfondo si staglia la sagoma di un tempio (nella realtà, si tratta del complesso monumentale di Santo Spirito in Sassia, in particolare dell’ospedale).

Il giovane dai tratti angelici e la figura aggraziata è l’unico in tutta la scena a esibire una fascia bianca annodata al braccio dx, e il modo in cui i lembi di questa fascia cadono ha un che di peculiare, davvero troppo artefatto per essere un caso: nella tradizione ebraica il corpo è avvolto in un sudario bianco, simboleggiante la purezza; la fascia-cintura avnet era una cintura sacerdotale di lino bianco usata dai sacerdoti ebrei che veniva (anche) avvolta attorno al defunto in modo da formare la lettera ebraica shin, che rappresenta uno dei nomi di Dio. La lettera shin ha tre estremità, e la fascia che cinge il braccio del ragazzo cade formando, in effetti, tre lembi pendenti.

In breve, ritengo che questo giovane posto a così breve distanza da Lorenzo eppure già lontano, proiettato in un’altrove olimpico, sia Giuliano de’ Medici, qui idealizzato (poiché defunto) dall’amico Sandro[3]: leggermente sbalestrato in avanti – come doveva essere al momento in cui fu colpito dapprima alla testa e al collo, da dietro, dai due assalitori, mentre con la mano sx sulla cintura sembra tenersi l’addome, altro punto in cui Giuliano fu attinto – il ragazzo[4] si muove in direzione di un altare su cui sta per essere consumato un sacrificio[5], allusione, forse, al sacrificio di Giuliano, immolato sull’altare dell’ambizione del fratello.

Nell’Adorazione dei Magi (1475, Firenze, Galleria degli Uffizi – Fig. 4) Botticelli ha lasciato, oltre al proprio forse più celebre autoritratto (all’estrema dx) anche un ritratto dei due fratelli Medici:

.Fig. 4 – Sandro Botticelli, Adorazione dei Magi, Firenze, Galleria degli Uffizi

all’estremità sx si vede Giuliano mentre, sul lato dx, compare Lorenzo: accostando il volto del giovane in esame a quello di Giuliano visibile in questa precedente opera botticelliana si può notare come l’impostazione generale, l’attitudine e persino la posizione delle palpebre sia la stessa, quasi il ragazzo delle Tentazioni di Cristo sia una replica, trasfigurata in un’eterna giovinezza, del precedente ritratto (Fig. 5).

Fig. 5 – Accostamento volto di Giuliano de’ Medici nell‘Adorazione dei Magi e del giovane personaggio nelle Tentazioni di Cristo

Il giovane ha bei boccoli, e Giuliano risulta avesse i capelli ondulati in misura maggiore che il fratello, come si evince da vari ritratti, postumi e non (oltre a quello nell’Adorazione dei Magi di Botticelli, ancora di Botticelli si hanno tre versioni del Ritratto postumo di Giuliano de’ Medici, 1478 – Washington, National Gallery of Art; Bergamo, Accademia Carrara; Berlino, Gemäldegalerie –; Matteo del Pollaiolo, Busto di Giuliano de’ Medici, 1478 ca., Firenze, Museo del Bargello;  Andrea del Verrocchio, Busto di Giuliano de’ Medici, Washington, National Gallery of Art; Giovanni di Bertoldo, Medaglia sulla Congiura dei Pazzi, 1478, recto), tutti enfatizzanti la chioma leonina: anche nelle Tentazioni di Cristo i due fratelli sembrano distinguersi per la chioma più o meno ondulata e Giuliano spicca per una eterea, ineffabile bellezza, per sempre giovane:

Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto sia, di doman non c’è certezza”,

scriverà suo fratello anni dopo, forse pensando sempre comunque a lui.

Pfeiffer è stato il primo ad avere la felice intuizione di una relazione tra le Tentazioni di Cristo botticelliane e la Congiura dei Pazzi[6] tanto che, come acutamente osservato in seguito da Sergio Rossi[7], i tre personaggi all’estrema sx dell’affresco che confabulano (Fig. 6) – i principali e più accaniti fautori della Congiura risultano essere stati proprio almeno in numero di tre: Francesco Pazzi, l’arcivescovo Francesco Salviati e Jacopo Pazzi[8] – hanno buona probabilità di essere un’allusione nemmeno tanto velata alla Congiura: sembra infatti stiano tramando, isolati, qualcosa di losco e terribile, ed è possibile notare che uno di loro è palesemente armato, tiene saldo un pugnale che sembra non vedere l’ora di usare.

Fig. 6 – Sandro Botticelli, Tentazioni di Cristo, Città del Vaticano, Capp. Sistina (part.)

È inoltre probabile che la posizione delle dita dei tre cospiratori componga una cifra o un messaggio alludente alla Congiura dei Pazzi, espediente del resto già usato da Botticelli in altre sue opere[9]: il personaggio all’estrema dx mostra tre dita aperte per la mano sx e nessun dito visibile per la mano dx (stretta attorno al pugnale) ma, se si considera il pugnale un’estensione della sua mano, esso può essere computato come numero uno; dunque al primo cospiratore può essere attribuito il numero 4.

Del secondo cospiratore, quello dal manto rosso, si vedono bene due dita per la mano dx (poggiata sul braccio dx del terzo uomo) e cinque per la mano sx, poggiata sull’altra spalla del terzo cospiratore: a questo secondo personaggio si può associare, facendo la somma delle sue dita in evidenza, il numero 7.

Il terzo cospiratore, quello seduto, sembra infine avere il mignolo della mano dx, poggiata sul petto di quello col pugnale, chiuso, quindi ha in evidenza le restanti quattro dita; della mano sx, posizionata sulla propria coscia, si contano quattro dita (soltanto l’indice non si vede): a quest’ultimo si può dunque associare, facendo la somma, il numero 8.

Ne vengono fuori, da sx verso dx, i numeri 4, 7, 8 che, volendo, si potrebbero sciogliere come aprile [14]78

Sul lato dx delle Tentazioni di Cristo è inoltre possibile cogliere un riferimento anche alla famiglia e alla persona di papa Sisto IV. Oltre che per l’ospedale di Santo Spirito in Sassia (distrutto da un incendio nel 1471, il neo papa Sisto IV ne ordinò la ricostruzione) si notano due querce, da cui si ricava, appunto, il legno rovere: la più rigogliosa va letta probabilmente come un’allusione al papa stesso, Sisto IV, mentre la seconda, più giovane e momentaneamente “modesta”, dovrebbe potersi riferire al nipote Giuliano, che sarà papa dal 1503 con il nome di Giulio II.

Al momento del lavoro di Sandro, Giuliano Della Rovere era già cardinale, precisamente dal 1471 e, come si vede, nell’affresco c’è in effetti un cardinale. Il porporato è in prima fila (Fig. 7), sulla destra del dipinto, proprio sotto la quercia più florida, a sottolinearne il legame, la parentela col papa; non lontano, inoltre, dalla figura femminile che regge un fascio di rami di rovere, allegoria della Chiesa retta da Sisto IV o comunque della sua famiglia.

Fig. 7 – Sandro Botticelli, Tentazioni di Cristo, Città del Vaticano, Cappella Sistina (part.)

Ma il porporato non è, come pure ritenuto da alcuni, un ritratto del trentacinquenne Giuliano Della Rovere bensì, ritengo, di Raffaele Sansoni Riario ovvero il giovanissimo cardinale coinvolto, a sua insaputa, nella Congiura dei Pazzi. I tratti del personaggio sono infatti ben diversi da quelli volitivi, forti, di Giuliano Della Rovere quali si possono vedere nel celebre Sisto IV nomina il Platina prefetto della Biblioteca Vaticana di Melozzo da Forlì (1477, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana) e sembrano anzi essere più corrispondenti, anche per età, a quelli del giovane cardinale come si possono leggere nel Busto di Raffaele Sansoni Riario di Andrea Bregno (1478 ca., Berlino, Bode Museum) tanto che, accostando i due volti, si può ravvisare una certa vicinanza di attitudine e tratti (Fig. 8).

ig. 8 – Accostamento Busto di Raffaele Sansoni Riario, Berlino, Bode Museum,  con volto del porporato nelle Tentazioni di Cristo

L’identificazione del porporato con Raffaele Riario sembra trovare sostegno nel fatto che, essendo il ragazzo probabilmente estraneo alla congiura, Botticelli colloca il suo possibile cripto-ritratto dal lato opposto ai cospiratori, quasi ad assolverlo.

Se sul lato sx delle Tentazioni di Cristo Botticelli ha posto tre cospiratori in allusione alla Congiura dei Pazzi, dal lato dx possiamo credere allora trovino posto, quindi, i giusti e la Giustizia: in alto si vede, forse non a caso, Gesù che costringe, avendolo smascherato, il diavolo a precipitare giù dalla rupe, così come i congiurati colpevoli della morte di Giuliano erano stati fatti “saltare” nel vuoto per finire impiccati a Firenze.

Sembra che nella Cappella Sistina Botticelli abbia fatto allusione alla Congiura dei Pazzi anche nel riquadro delle Prove di Mosè (Fig. 9), esattamente dirimpettaio delle Tentazioni di Cristo.

Fig. 9 – Sandro Botticelli, Prove di Mosè, Città del Vaticano, Cappella Sistina

Secondo Sergio Rossi nell’estremità dx delle Prove di Mosè

Sarebbe rappresentato quasi alla lettera quanto accadde quel fatidico 26 aprile del 1478 nella cattedrale di Firenze. In primo piano abbiamo un giovane che sta per essere assassinato a colpi di spada e appena più dietro un altro giovane ferito che, sorretto da una figura femminile, riesce a mettersi in salvo riparando nell’edificio posto alle sue spalle. Giuliano pertanto, contrariamente a quanto pensa Pfeiffer [secondo H. Pfeiffer, op. cit., il giovane ferito al capo sarebbe Giuliano, N.d.A.], è da identificarsi nell’egiziano che sta per essere colpito a morte da Mosé mentre Lorenzo, le cui fattezze (capelli neri, scuri e leggermente ondulati) coincidono per altro con quelle del fratello, è l’ebreo che sta per mettersi in salvo[10];

tale lettura è condivisa da Michele Nigro, che interpreta la figura femminile come la Vergine Maria, provvidenziale salvatrice[11].

Personalmente ritengo che l’allusione alla Congiura dei Pazzi, che comunque c’è anche in questo riquadro, vada letta piuttosto come segue: il personaggio a terra che soccombe sotto i colpi dell’aggressore (Mosè) va identificato come Francesco Nori, colui che morì in seguito alle ferite riportate – quindi rimase letteralmente a terra – per aver fatto da scudo a Lorenzo de’ Medici con il proprio corpo, permettendogli di fatto di mettersi in salvo, mentre i due personaggi all’estrema destra (Fig. 10), cioè il giovane ferito alla testa vestito di rosso sorretto dalla donna e quest’ultima, vanno letti come Lorenzo – che, ferito, riparò nella sagrestia del duomo mentre Nori moriva al posto suo – e una, forse, personificazione della stessa Firenze: la figura femminile, evidentemente allegoria della salvezza, della provvidenza, ecc., sta infatti conducendo l’aggredito al sicuro, verso l’interno di un edificio (forse, idealmente, Santa Maria del Fiore).

Fig. 10 – Sandro Botticelli, Prove di Mosè, Città del Vaticano, Capp. Sistina (part.)
Fig. 11 – Sandro Botticelli, Adorazione dei Magi, Firenze, Galleria degli Uffizi (part.)

Il riferimento ad ogni modo più intenso e sentito alla Congiura dei Pazzi Botticelli lo ha posto tuttavia nelle Tentazioni di Cristo [12], tanto che sul lato dx dell’affresco, tra i “giusti”, si può individuare un autoritratto (o forse addirittura due) dello stesso Botticelli: dunque Sandro si sarebbe autoritratto, in una stessa opera, assieme ai due amici Lorenzo e Giuliano come già avvenuto in occasione dell’Adorazione dei Magi.

Secondo Pfeiffer e Rossi, Botticelli si sarebbe autoritratto nel giovane castano con indosso una camicia azzurra all’estrema dx dell’affresco che guarda verso lo spettatore e indossa un copricapo con una penna: a occhio, confrontando questo volto un po’ troppo legnoso con l’autoritratto (certo) di Sandro nell’Adorazione dei Magi (estrema dx – Fig. 11), è da escludere.

Piuttosto, sulla dx dell’affresco si nota, tra gli astanti, un giovane biondo con indosso un cappello dai toni bruni, dalla mascella volitiva e lo sguardo basso, come se fosse dispiaciuto di qualcosa, se non in lutto (Fig. 12) e, ancora nella metà destra, appena dietro la figura del porporato Riario (vedi Fig. 7), si intravede un altro volto del quale si percepisce lo sguardo – sebbene da un solo occhio – fisso verso lo spettatore: per questo personaggio, di cui non vediamo quasi null’altro ma a cui sembra importare comunicare qualcosa allo spettatore, la vicinanza con i tratti di Sandro nel già menzionato Adorazione dei Magi è notevole, tanto da far pensare a una sorta di cripto-autoritratto: con un semplice fotomontaggio i volti si rivelano combacianti in maniera notevole (Fig. 13).

Fig. 12 – Sandro Botticelli, Tentazioni di Cristo, Città del Vaticano, Cappella Sistina (part.)
Fig. 13 – Sovrapposizione autoritratto Botticelli e volto seminascosto nelle Tentazioni di Cristo

Cosa potrebbe voler dire un autoritratto del genere, dallo sguardo così inquietante puntante dritto “in camera”, che buca lo schermo per raggiungere l’osservatore?

Dipingere – e quindi denunciare – in maniera palese il coinvolgimento personale di Sisto IV nella Congiura dei Pazzi nella sua cappella, la Cappella Sistina, sarebbe stato davvero troppo rischioso per Botticelli, perfino a distanza di anni; più saggio velare tutto col filtro dell’arte e limitarsi piuttosto che a un incredibile, clamoroso, impronunciabile e troppo pericoloso J’accuse, a un comunque ammonitore Je ne m’oublie pas.

©Claudia RENZI, Roma,  2024

NOTE

[1] Per tutti i personaggi noti e quelli rimasti nell’ombra coinvolti a vario titolo nella congiura si rimanda a Marcello Simonetta, L’enigma Montefelto. Arte e intrighi dalla Congiura dei Pazzi alla Cappella Sistina, Milano, 2008.
[2] M. Simonetta, op. cit., p. 90.
[3] Sandro Botticelli e Giuliano de’ Medici avevano, com’è noto, in comune anche l’amore, più o meno platonico, per Simonetta Cattaneo Vespucci. Per il loro legame si veda almeno Giovanna Lazzi, Paola Ventrone, Simonetta Vespucci. La nascita della Venere fiorentina, Firenze, 2007.
[4] Secondo Heinrich Pfeiffer, La Sistina svelata. Iconografia di un capolavoro, Milano, 2007, p. 41, e secondo Sergio Rossi, La Congiura dei Pazzi, delitto e castigo. Una nuova lettura degli affreschi quattrocenteschi della Sistina https://www.aboutartonline.com/la-congiura-de-pazzi-delitto-e-castigo-una-nuova-lettura-degli-affreschi-quattrocenteschi-della-cappella-sistina/ su «About Art online» del 29.03.2020, il ragazzo sarebbe Lorenzo.
[5] Il tema dovrebbe essere, nello specifico, l’offerta del lebbroso risanato da Gesù secondo Marco, 1: 40,45; Levitico 14: 1.
[6] H. Pfeiffer, op. cit., p. 38.
[7] S. Rossi, op. cit., «About Art online» del 29.03.2020.
[8] Secondo S. Rossi, op. cit., «About Art online» del 29.03.2020, i tre potrebbero essere Francesco Pazzi, Francesco Salviati e Jacopo Bracciolini.
[9] Si veda Giancarlo Giannazza, Gian Franco Freguglia, I custodi del messaggio. Dalla Commedia al Cenacolo, la mappa segreta del viaggio di Dante sulle tracce del Graal, Milano, 2006.
[10] S. Rossi, op. cit., «About Art online» del 29.03.2020, ribadito in S. Rossi, Roma VS Firenze, e lo strano caso degli affreschi della Sistina, https://www.aboutartonline.com/roma-v-s-firenze-e-lo-strano-caso-degli-affreschi-della-cappella-sistina/ su «About Art online» del 16.10.2022.
[11] Michele Nigro, A proposito di alcuni affreschi della Cappella Sistina, in: «Theory and Criticism of Literature and Arts», IV, 2, 2019, pp. 26-54, p. 43.
[12] Più lontana, anche fisicamente, la terza scena dipinta in Sistina da Botticelli, Punizione di Core, Dathan e Abiram, dove l’allusione alla Congiura dei Pazzi, se c’è, è molto più blanda.