di Chiara GRAZIANI*
*Il presente articolo è apparso lo scorso 28 marzo sull’Osservatore Romano. Lo pubblichiamo, con alcuni aggiornamenti, insieme ad un lacerto d’affresco emerso da tempo ma sempre trascurato da una poarete della chiesa di Santa Chiara ad Antrodoco (Rieti) raffigurante con tutta probabilità la santa di Assisi. L’articolo è stato tradotto in tutte le lingue del medium vaticano, tant’ è che se ne trova notizia in Cina, Vietnam, Germania, ecc. Ringraziamo il Direttore dott. Andrea Monda e l’autrice per aver concesso la pubblicazione del testo.
Il diritto a non possedere nulla. Il dovere di obbedire solo a Dio e alla coscienza, facendo discernimento sugli ordini dell’autorità.
Lo sciopero della fame, inoltre, come pacifico strumento di fedeltà a Dio e alla coscienza, mettendo di traverso il proprio corpo inerte, come pietra d’inciampo, senza curarsi della vita.
Madre Chiara d’Assisi (Assisi, 16 luglio 1194 – Assisi, 11 agosto 1253) parla ancora oggi con voce chiara, attualissima. Quella della sua Regola, – la prima nella storia della Chiesa scritta da una donna per le donne – e quella delle sue rivoluzionarie scelte di vita che parlano direttamente alle donne ed agli uomini d’oggi. Disobbedire ad un ordine che vìola il rapporto di fiducia con Dio, dice ad esempio la Regola per la quale Chiara si battè otto secoli fa, è un dovere, non un’opzione. Un principio affermato nella regola clariana del 1258 che, per volontà del Papa Alessandro IV, fu però destinata a non andare oltre la cerchia delle donne che chiamavano “madre” Chiara nel monastero di San Damiano. E così, storicamente, fu.
Nella Regola di Chiara si legge:
“Le sorelle suddite, (…) siano fermamente tenute ad obbedire alle loro abbadesse in tutto ciò che hanno promesso al Signore di osservare e non sia contrario all’anima ed alla nostra professione”.
Parole inedite per l’epoca, il contesto, la materia e per essere scritte da una donna: 800 anni fa un soggetto sotto tutela patriarcale dalla culla alla tomba, ultima tra gli ultimi, sosteneva già, profeticamente, il dovere di disobbedire a chiunque ti ordini di fare il male. Fosse anche all’autorità. Sosteneva, anzi, che proprio questo andasse chiamato obbedienza a Dio.
L’interpretazione autentica di quelle parole straordinariamente attuali l’hanno data di recente le sorelle della Federazione Santa Chiara d’Assisi delle Clarisse di Umbria e Sardegna; come collettivo hanno, infatti, prodotto e firmato uno studio in tre volumi sulla donna che anche loro, oggi, chiamano madre (“Chiara D’Assisi”, edizioni Messaggero Padova, ristampato nel 2018). Hanno iniziato l’opera per rimettersi all’ascolto della parola e del carisma di Chiara e si sono ritrovate a confronto con una Regola riscoperta viva come una sfida. Vivere “l’altissima povertà” francescana nella fedeltà al Vangelo, ne è il cuore. Nel tredicesimo secolo questa pretesa di totale libertà parve assurda, quasi scandalosa. E questo coglie, oggi, lo studio del collettivo clariano. Si legge a proposito dell’obbedienza nel volume intitolato “Il Vangelo come forma di vita” :
“È implicito che nel caso il comando esca dagli ambiti legittimi si possa e si debba disobbedire: la disobbedienza ad un comando illegittimo o ingiusto è obbedienza alla verità ed al valore che il comando avrebbe dovuto mediare e non ha mediato”.
La vita che riprende forma oggi dalla ricerca storica e documentale delle Clarisse non è, dunque, quella di una donna che fece una scelta di mortificazione, contemplazione e rinuncia al mondo in attesa di terre ultramondane. La sua scelta che ci trasmette oggi fu, al contrario, quella di una combattente nel mondo, perfino dalla clausura. Una scelta d’amore integrale richiede, inoltre, il combattimento per custodire l’amore. E Chiara insegnò, e ci insegna, che l’arma più affilata del combattente, è il diritto a non possedere nulla.
Chiara lottò a lungo perché il privilegio della povertà (privilegium paupertatis), diventasse un diritto. Soprattutto lottò perché fosse lo scudo di chi voleva seguire la forma di vita francescana. Ne ottenne il riconoscimento formale nel 1228 quando Papa Gregorio IX scrisse alle monache di San Damiano: “
“Rafforziamo (…) il vostro proposito di altissima povertà accordandovi che non possiate essere costrette da nessuno a ricevere possedimenti” (Sicut Manifestum Est, Perugia, 17 settembre 1228).
Il combattente, ebbe a spiegare Chiara alla principessa Agnese di Boemia, deve essere nudo per non offrire appigli all’avversario. Il privilegio della povertà permette di sgusciare fra le mani al nemico, per quanta violenza possa esercitare. Non c’è nulla di remissivo in questa immagine. C’è forza, determinazione. Scaltrezza addirittura.
Anche oggi il diritto a non possedere nulla ci interroga. Il possesso, nella civiltà del consumo compulsivo, è la nuova ‘virtù’ sociale ed è fonte di schiavitù. Chiara, alla quale ridanno voce le sorelle povere di oggi, dice che il possesso non è una virtù. E nemmeno l’obbedienza lo è quando pretende di far violenza alla libera coscienza.
Se si volesse, poi, un’altra prova della contemporaneità integrale di Chiara si ricordi un ‘altra delle sue invenzioni da lottatrice. Era l’anno 1230. Una bolla papale, la Quo elongati, separava di fatto Chiara e la comunità di San Damiano dalla cura spirituale dei frati minori di Francesco. Chiara, allora, rimandò indietro anche i frati che portavano il cibo alle “povere recluse” in clausura. E nessuno, privilegio della povertà alla mano, poteva contestarle una disobbedienza, negandole il diritto alla protesta. Fu uno sciopero della fame di donne ed uno sciopero per amore. Vinsero loro, le piccole sorelle povere (e recluse) di San Damiano. Indomabili nell’obbedienza a Dio seminarono, da recluse, anche il nostro futuro.
Chiara GRAZIANI Roma 2 Aprile 2023