di Maria Grazia BERNARDINI
La grande collezione di Carlo I alla Royal Academy di Londra, una raccolta di veri capolavori.
Si è chiusa, il 15 aprile scorso, la mostra che la Royal Academy of Arts, con la partnership della Royal Collection Trust, ha dedicato a Carlo I, re e collezionista.
La mostra è stata certamente un evento da non perdere, sia perché ha offerto un’occasione rara per vedere varie opere di difficile accessibilità a causa della loro collocazione (gran parte delle opere provenivano dalla Royal Collection), sia perché ha celebrato la figura di Carlo I Stuart, re d’Inghilterra, di Scozia e d’Irlanda dal 1625 al 1649, grande collezionista e amante delle arti. Dovremmo anzi dire che Carlo I, definito da Rubens “il più grande amatore di pittura tra tutti i principi del mondo”, è una figura di grandissimo rilievo per la storia del collezionismo e per la storia del gusto, ma anche protagonista di una vicenda amara che portò alla sua decapitazione nel 1649.
Il re riuscì nel suo ambizioso obiettivo di ergersi alla pari degli altri sovrani europei come grande collezionista, raccogliendo un numero veramente ingente di capolavori eccezionali, in particolare del Rinascimento italiano e fiammingo, ma anche opere di artisti a lui contemporanei, con l’aiuto di consigli di artisti, con l’assistenza di amici collezionisti e con il lavoro di agenti scaltri che furono inviati in Italia e nelle Fiandre a caccia di opere d’arte. Tra questi figurano come personaggi di primo piano il conte Thomas Howard, conte di Arundel e George Villiers, duca di Buckingham, due grandi appassionati d’arte che facevano a gara a chi collezionava più opere; Endymion Porter, personaggio singolare e di grande spessore culturale, amico di tanti artisti e figura cosmopolita, che fece conoscere Van Dyck a Carlo I, portando nella sua corte uno dei dipinti più affascinanti dell’artista anversese, quel Rinaldo e Armida che ora si trova nel Museum of Art di Baltimora, e che reinterpretava con la sua sensibilità e con il suo delicato e evanescente linguaggio le antiche poesie di Tiziano; Nicholas Lanier, maestro di musica del Re, che svolse molto attivamente anche il ruolo di agente; Abraham van der Doort, Conservatore del Gabinetto e poi Soprintendente delle dipinti del re; e ancora Daniel Nijs, di origine fiamminga ma residente a Venezia, che fu il vero protagonista dell’acquisizione della collezione dei Gonzaga, la “Celeste Galleria”, che arrivò a Londra in tre tornate (1628, 1630, 1632). E ancora, Sir Dudley Carleton, ambasciatore presso la Repubblica Veneziana, e il suo successore, Basil Fielding, che acquistò la collezione di circa 230 dipinti del mercante Bartolomeo della Nave, considerata una delle collezioni più raffinate esistenti a Venezia; Inigo Jones, influente consigliere e architetto di Carlo I.
Ad arricchire la favolosa collezione di Carlo I, si aggiungevano, a questi consistenti acquisti, anche opere d’arte che arrivavano come doni diplomatici, tra cui il gruppo di opere inviate dal cardinale Francesco Barberini alla regina Henrietta Maria attraverso il suo agente Gregorio Panzani, o la Sfida delle Pieridi del Rosso Fiorentino, inviata al re da Giovan Battista Crescenzi nel 1630; o opere d’arte direttamente commissionate, come il Ritratto di Carlo I in marmo richiesto a Giovan Lorenzo Bernini, che realizzò grazie alla concessione di Urbano VIII (andato distrutto nell’incendio di Whitehall Palace del 1698), o la monumentale opera di Guido Reni raffigurante Bacco Arianna, mai arrivata a Londra e anch’essa andata distrutta. Ancora, i sovrani opere chiamarono alla corte inglese artisti stranieri, come Francis Cleyn, Eustache Le Sueur, Danile Mytens, Orazio Gentileschi, raggiunto successivamente dalla figlia Artemisia, a cui commissionarono direttamente dipinti o per la loro collezione o per adornare i loro palazzi; infine Rubens e Van Dyck. Veramente frenetica dunque l’attività artistica sotto Carlo I e Henrietta Maria.
Ed ecco quindi che la mostra, che dà solo una pallida idea di ciò che poteva essere la raccolta d’arte messa insieme da Carlo I, si apre con i ritratti del conte di Arundel, del duca di Buckingham, di Endymion Porter, con gli autoritratti di Mytens, Rubens e Van Dyck, e continua mostrando capolavori italiani e fiamminghi, in particolare dell’epoca rinascimentale, come la serie straordinaria dei Trionfi di Mantegna, e poi opere di Tiziano, Veronese, Bassano, Tintoretto, Correggio, Bronzino, Dosso Dossi, Polidoro da Caravaggio, ma anche di Holbein, Gossaert, Quinten Massys. La mostra diventa come una grande e affascinante pinacoteca.
Un discorso a parte va fatto invece per Rubens e Van Dyck, la cui presenza è legata all’attività politica e diplomatica del re.
Su incarico dell’arciduchessa Isabella Clara Eugenia, che governava i Paesi Bassi meridionali allora sotto l’influenza della Spagna, Rubens si era recato in Spagna ed aveva ottenuto da Filippo IV un delicato e prestigioso incarico diplomatico: doveva trattare con Carlo I Stuart al fine di creare un accordo anglo-spagnolo per arginare la politica aggressiva della Francia sotto il cardinale Richelieu e quindi arrivare ad ottenere una tregua. Giunto a Londra nel 1629, grazie ai suoi modi aristocratici e alla sua profonda cultura, ai suoi numerosi rapporti e conoscenze delle varie corti europee, cui aveva potuto offrire i propri servizi sia come artista che come diplomatico, Rubens ottenne il sospirato accordo e per suggellare l’avvenimento dipinse Minerva che difende la Pace da Marte, che donò a Carlo I. L’opera, conservata oggi presso la National Gallery di Londra, è giustamente presente in mostra, ma forse avrebbe avuto bisogno di una evidenziazione maggiore proprio per sottolineare i suoi risvolti diplomatici e storici. Carlo I colse l’occasione di avere presso la sua corte l’artista più famoso del momento, e gli commissionò la serie di tele dedicate alla storia degli Stuart, che decorano il soffitto di Banqueting Hall a Whitehall.
Anton Van Dyck giunse a Londra quando ormai Rubens era tornato in patria, nel 1632, chiamato da Carlo I, che lo accolse calorosamente e lo nominò immediatamente pittore di corte e cavaliere donandogli la corona d’oro. Alla pari dei suoi colleghi, pittori ufficiali nelle corti europee del Seicento, Velázquez presso Filippo IV, Rubens presso Alberto e Isabella d’Austria, Philippe de Champaigne presso Luigi XIV (potremmo citare anche Bernini presso la corte papale ma lì la situazione era del tutto particolare), Van Dyck aveva il compito principale di ritrarre il sovrano e la sua famiglia. Tutta l’attività di Van Dyck durante il suo soggiorno inglese infatti consistette principalmente nell’eseguire ritratti (non solo dei sovrani ma di tutta l’aristocrazia inglese). Le due sale in mostra dedicate ai ritratti eseguiti da Van Dyck dei reali inglesi sono senza dubbio superbe: la grande tela con Carlo I, la regina Henrietta e i due figli denominata The Greate Peece è di grande impatto: il re è ritratto seduto con accanto il principe Carlo II, vicino gli è seduta la moglie, la regina Henrietta Maria che tiene in braccio la piccola principessa Mary. Sul tavolo sulla sinistra è in bella mostra la corona e lo scettro e sullo sfondo, in lontananza, si intravede la città di Londra, mentre al centro si staglia una grande colonna e sulla destra si apre un ricco panneggio. Alla sinfonia dei colori sulla zona destra, che gioca dal bianco della veste della principessa, al giallo squillante del vestito della regina e al giallo scuro del panneggio, contrasta il colore austero dell’abito del re, alleggerito però dal brillante risvolto della manica, e il rosso fuoco del tavolo su cui è posta la corona. Altrettanto superbi sono i ritratti dei figli, il Ritratto di Henrietta Maria proveniente dalla National Gallery di Washington, i tre ritratti equestri di Carlo I, in particolare quello della Royal Collection, in cui il grande drappo verde, una rivisitazione dei drappi tizianeschi, che userà di nuovo nel Ritratto equestre del principe Tommaso di Carignano, anticipa a sua volta l’uso del drappo come elemento scenografico e spettacolare usato da Bernini, come ad esempio nella statua di Costantino.
I ritratti di Van Dyck dovevano trasmettere gli ideali della monarchia, gli ideali di Carlo I, e cioè la speranza della pace, l’esaltazione degli affetti familiari, l’amore per la cultura e le arti, ma non ebbero l’esito desiderato: le speranze del re inglese si scontrarono con una realtà del tutto avulsa dal suo mondo e la sua attività politica si rivelò perdente. La volontà di imporre il suo potere in senso assolutistico, sciogliendo il Parlamento e negando i diritti ai cittadini, e nello stesso tempo la difesa della chiesa anglicana contro la chiesa presbiteriana, i cui adepti lo accusarono di essere troppo vicino al cattolicesimo, anche per la presenza della moglie cattolica, portarono alla guerra civile e alla sua condanna definitiva nel 1649.
Maria Grazia BERNARDINI Londra aprile 2018