di Marco FIORAMANTI
Roma, SPAZIO ROSSELLINI
CIRCE, UNA DEA CONTEMPORANEA
scritto, interpretato e diretto da Ilaria Drago
SEI METAMORFOSI IN CERCA DI SÉ STESSA
Lo Spazio Rossellini è uno spazio ‘spaziale’. L’ambiente desertico esterno e l’illuminazione pallido-aliena sembrano prepararci a un viaggio nello spaziotempo. Entrando, nella penombra dell’immenso hangar, si scorge il palco rialzato sul quale giacciono alcuni tronchi bianchi che il mare ha depositato sulla battigia dell’isola di Eea. Ilaria Drago non poteva trovare location più adatta al proprio spettacolo per ambientare “Circe”, che così descrive:
Questa Donna/Dea che viene dal passato, una Dea che non ha Tempo, che ha visto tutto e vedrà tutto, contemporanea perché in questo momento è testimone di questo tempo. Cerca fare da specchio a ciò che accade attorno a lei, anche attraverso delle metamorfosi che compie lei stessa in scena.
Dal buio, al ritmo di un jingle da spot televisivo, entra danzando una giovane e provocante ninfa avvolta nell’aura di un cliché femminile abitualmente condiviso: costume succinto rosso-fuoco, autoreggenti color carne e ‘ali di Iside’ luminescenti.
Dopo gli onori di casa – timida nella voce e impacciata nei gesti – nell’allontanarsi verso il buio i suoi vestiti iniziano a decomporsi e il suo corpo a deformarsi.
Nel silenzio una nuova musica introduce il canto degli uccelli. Entra l’anziana Dea, indossa una pelle d’animale, sul mento una larga riga gialla le scende in verticale fino al petto. S’inginocchia, sdraiandosi sul dorso. Ha in mano un corno, forse di yak, e un pugnale nell’altra. Si alza, le braccia aperte e distese, e s’immerge nella trance di un rito apotropaico. Attraversa il nostro tempo e quello antico, cuce il femminile di tutti i luoghi della terra, evoca rinunce, inganni e cicatrici. Evidenzia la necessità di sporcarsi le mani. Uno specchio immaginario riflette il suo spazio interiore e dà inizio alle mutazioni.
Ora è una vecchia Gallina la sgangherata, avvolta un lacero cappotto, la sigaretta spenta sulle labbra, che lancia i versi ritmati della chioccia. Racconta della stupidità, dell’integrazione e del riscatto e si allontana accennando a un canto sardo. Canto che diventa sussurro soffocato di una Madre con la Figlia. Il grande ramo bianco si trasforma nel remo di una barca, i gesti sono quelli lenti della gondola. Finiranno in fondo al mare, fra le braccia delle Sirene, anime diventate sale.
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Ma ecco, di nuovo si trasforma. Il gesto è quello del taglio volontario dei capelli delle donne iraniane a negare un regime violento e patriarcale.
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Diventa poi una giovane e disobbediente Dea, è la Circe custode della terra di poesia, pronta ad opporsi al predatore Ulisse. E ancora, elmetto sul capo, stivali e giacca militari, marcetta e movimenti meccanici, festosa impersona il dittatore dalle mani intrise di sangue. Quanta polvere e quante macerie nel pianto sordo delle madri di Plaza de Mayo… Infine, il rito si conclude, nel corpo e nella voce.
L’emozione è forte ed evidente, arriva diretta, coinvolge il pubblico rapito dalla forza poetica di quest’artista geniale, capace di gettare semi per un domani costruttivo. La Donna/Maga/Dea è ora avvolta in una luce azzurra, in ginocchio, di spalle al pubblico sul fondo della scena. Fragile, spogliata dei vestiti, al rumore del mare alla risacca, recita al microfono dei versi che terminano con … Ci vuole un bardo per il cuore / Il trasloco verso anse divine.
Marco FIORAMANTI Roma 23 Febbraio 2025
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Assistente alla regia Francesca Bini
Musiche originali Stefano Scatozza
Disegno luci Max Mugnai
Produzione Fondazione Armunia Castello Pasquini
Foto di Antonio Ficai, Marco Fioramanti