di Nica FIORI
L’arte musiva, oggi poco esercitata, era molto diffusa un tempo nel contesto delle civiltà gravitanti intorno al Mediterraneo.
Non si può affermare con certezza che il mosaico sia “nato” in una regione precisa, ma probabilmente il mosaico romano pavimentale è di derivazione greca, come riferisce Plinio il Vecchio nel XXXVI libro della Naturalis Historia:
“I pavimenti ebbero origine in Grecia e furono abbelliti con arte analoga alla pittura”.
Certo è che la tecnica del mosaico assicurava una buona durata nel tempo, grazie alle sue tessere in materiale inerte (pietra, marmo, pasta vitrea), fornendo allo stesso tempo la possibilità di sbizzarrirsi con svariati motivi geometrici e vegetali, cui spesso si aggiungevano elementi figurati e simbolici che arricchivano di significato l’opera.
Un’esposizione che presenta un’ampia scelta di mosaici rinvenuti a Roma è quella che si è inaugurata nella Centrale Montemartini (visibile fino al 15 settembre 2021), tanto più apprezzabile in quanto si tratta per lo più di mosaici policromi, non molto frequenti a Roma, dove prevalevano quelli in bianco e nero. La mostra “Colori dei Romani. Mosaici dalle Collezioni capitoline”, a cura di Claudio Parisi Presicce, Nadia Agnoli e Serena Guglielmi, promossa dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, riesce brillantemente a raccontare, attraverso queste affascinanti “pitture di pietra”, i gusti e le esigenze dei committenti romani lungo un arco di tempo che va dal I secolo a.C. al IV d.C., illustrando per quanto possibile i contesti originari di rinvenimento. Accanto ai mosaici, infatti, sono esposti anche gli affreschi e le sculture in marmo che ornavano ulteriormente gli edifici di provenienza.
Come ha dichiarato Claudio Parisi Presicce nella presentazione alla stampa, si tratta di un patrimonio unico, perché proveniente al 90% da scavi eseguiti a Roma tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi decenni del secolo scorso, nell’ambito delle trasformazioni urbanistiche legate al nuovo ruolo di capitale d’Italia. Furono scavi particolarmente fortunati, a giudicare dalle parole del celebre archeologo Rodolfo Lanciani:
“A volte io stesso ho scoperto quattro diversi edifici uno sull’altro (…) Quando via Nazionale venne aperta nel 1877 attraverso i giardini Rospigliosi Aldobrandini sul Quirinale, trovammo prima i resti delle terme di Costantino, poi i resti della domus di Claudio Claudiano, poi ancora un’altra domus (…) infine diverse costruzioni con il più antico sistema dell’opus reticolatum (…)”.
I mosaici rinvenuti in questi scavi otto-novecenteschi furono divisi tra i Musei Capitolini e l’Antiquarium del Celio, un museo inizialmente concepito come magazzino archeologico, che nel 1939 subì delle lesioni a causa dei lavori per la metropolitana. Ciò comportò l’abbandono del complesso e il trasferimento in altri magazzini dei reperti, che di fatto risultarono invisibili. I materiali del vecchio antiquarium, grazie ai laboratori di restauro comunali, sono stati finora recuperati al 60% e alcuni mosaici sono stati esposti una prima volta a Ostia antica e nel 2019 in una mostra itinerante che toccò Sofia, Erevan e Tbilisi.
L’esposizione romana si articola in quattro sezioni tematiche, all’interno delle quali il percorso segue un ordine cronologico. L’allestimento è molto curato e i reperti antichi sono accompagnati da foto storiche, acquarelli e disegni che raccontano i ritrovamenti.
Nella prima sezione, dedicata alla storia e alle tecniche del mosaico, viene evidenziato come all’inizio i mosaici fossero solo pavimentali e dai primi decori ad andamento geometrico si passasse a quelli con emblema centrale, anche con motivi iconografici importati dalla Grecia e dall’Oriente. Tra gli emblemi in mostra è integro quello bicromatico con una svastica (simbolo del movimento del sole) del II secolo d.C., mentre sono frammentari quelli policromi con un episodio omerico del I secolo d.C. (rinvenuto nei pressi di Santa Lucia in Selci) e con una scena di pesca di fine I-inizio II secolo d.C. (rinvenuto tra le vie Labicana e Merulana).
Altri motivi iconografici sono relativi a miti greci, come quello con Oreste e Ifigenia (fine II-inizio III secolo d.C.), rinvenuto nel rione Esquilino presso l’Auditorium di Mecenate, o quello del IV secolo con la personificazione del mese di Maggio (Maius), proveniente dallo stesso Auditorium. Un tema questo abbastanza diffuso, insieme a quello delle Stagioni (pure presente in mostra), che simboleggiano il trascorrere del tempo e quindi la transitorietà della vita .
Emblema “vermiculato”, cioè fatto con tessere minutissime di marmi e paste vitree, è quello con leone e amorini (I secolo a.C.), che è stato rinvenuto ad Anzio nel 1749 ed è conservato nella stessa Montemartini.
Come viene spiegato nella lunga didascalia, raffigura una scena dionisiaca all’aperto, con due amorini che, dopo aver stordito il leone con il vino di un cantaro, sono intenti a blandirlo col suono di strumenti musicali, mentre un terzo sta per legarlo con un drappo, motivo che si ritiene derivato da un modello ellenistico. Sullo sfondo appare Ercole, con una gonna femminile in atto di filare (in quanto asservito alla regina di Lidia Onfale), ma l’aspetto di questa figura è stato notevolmente alterato da un intervento di restauro settecentesco.
A partire dal I secolo a.C. si diffusero anche i mosaici parietali che non hanno precedenti in Grecia e sono quindi un’invenzione romana.
Erano inizialmente concepiti per decorare ninfei e per questo le tessere potevano essere costituite da sassolini, pietre e conchiglie che alludevano all’acqua, come si vede in alcuni esempi in mostra.
Sui raffinati mosaici parietali, che erano di grande effetto pittorico, prevalevano le tessere vitree che offrivano una variegata gamma di colori. Come ci fa sapere Plinio, i pavimenti a mosaico “scacciati dal suolo, si estesero fin sulle volte e furono fatti di vetro”.
La prima sezione, caratterizzata da un allestimento in rosso, termina con un bel rilievo funerario in marmo bianco, prestato dal Parco archeologico di Ostia antica, raffigurante la bottega di un mosaicista (fine del III-inizio del IV secolo d. C.). Proviene dalla necropoli di Isola sacra, dove era collocato a chiusura di un loculo per rappresentare l’attività svolta in vita dal defunto.
Nella seconda sezione, contraddistinta dal colore verde e intitolata “Vivere e abitare a Roma tra la fine dell’età repubblicana e l’età tardo-antica”, sono raccolti i mosaici provenienti da contesti domestici. Sono di epoca tardo-repubblicana (I secolo a.C.) alcuni mosaici provenienti dal Celio, come quello policromo a cassettoni (un vero tappeto musivo con la raffigurazione all’interno dei cassettoni di elementi decorativi provenienti dal repertorio vegetale e delle armi) trovato nel 1886 durante i lavori di demolizione di villa Casali e quello con labirinto trovato presso piazza San Giovanni in Laterano nel 1958.
Proviene dall’orto di San Lorenzo in Panisperna un raffinatissimo mosaico con fondale marino, del quale si sono conservati ampi frammenti con esemplari di pesci, crostacei e molluschi realizzati con straordinario realismo. Il mosaico era completato da un fregio a girali vegetali con uccellini e altri piccoli animali. Costituiva il pavimento di un piccolo ambiente termale di una ricca domus del Viminale.
Ancora più ricca doveva essere la dimora dei Claudii Claudiani (una gens di rango senatorio), a giudicare dallo straordinario mosaico parietale (fine del II secolo d.C.) con la scena della partenza di una nave dal porto di Alessandria d’Egitto, da dove proveniva la maggior parte del grano per l’approvvigionamento di Roma. L’imbarcazione raffigurata ha l’aspetto di una nave annonaria e ha la poppa a testa di cigno rivolta verso il faro. La domus sorgeva sul Quirinale ed è stata scoperta nel corso dell’apertura di via Nazionale nel giardino di Palazzo Rospigliosi Pallavicini.
Oltre ai mosaici di grande raffinatezza, che decoravano un ninfeo, la casa era corredata di sculture in marmo e oggetti di lusso, che vengono per la prima volta presentati in questa mostra, a testimonianza del prestigio sociale, del gusto e dell’esigenza di autorappresentazione del proprietario. Un architrave con la scritta Balineum Claudianum ha fatto pensare alla presenza di un edificio termale appartenente alla domus.
Nella stessa sezione colpisce la nostra attenzione anche un quadretto musivo con scena nilotica (I secolo a.C.), di fattura alessandrina, che rappresenta alcuni sacerdoti intenti a dar da mangiare a un coccodrillo (nella città di Crocodilopolis, dove l’animale era venerato) e ricorda in piccolo il grandioso mosaico nilotico del santuario della Fortuna Primigenia a Praeneste. È stato rinvenuto nel 1882 nei pressi dell’attuale Palazzo delle Esposizioni, insieme ad altri reperti legati all’Egitto, tra cui una base di candelabro con scene nilotiche e la parte inferiore di una statua di Ramesse II, risalente al XIII secolo a.C. e quindi classificabile presumibilmente come un oggetto da collezione. Un altro mosaico eccezionale per la rarità è quello raffigurante la pianta di un edificio, rinvenuto presso la Stazione Termini nel 1872.
La terza sezione, più piccola delle altre e caratterizzata da un colore azzurro, è dedicata interamente a un edificio sacro. Si tratta della Basilica Hilariana, sede del collegio dei “Dendrofori” (portatori dell’albero), i sacerdoti addetti al culto di Cibele e Attis, che avevano il compito di trasportare un pino sacro sul Palatino nel corso dei riti primaverili dedicati a queste divinità di origine anatolica. I primi resti archeologici della Basilica Hilariana vennero alla luce tra il 1889 e 1890 durante gli scavi per la costruzione dell’ospedale militare del Celio.
L’edificio aveva incredibilmente mantenuto un insieme di reperti significativi, tra i quali due mosaici pavimentali straordinariamente conservati, uno raffigurante un insieme di animali disposti intorno a un occhio colpito da una lancia (in funzione apotropaica contro il malocchio) e l’altro costituito da una iscrizione benaugurante collocata sulla soglia, che, tradotta, suona così: “A chi entra qui, e alla Basilica Hilariana, siano gli dèi propizi”.
Il nome dell’edificio è dovuto a Manius Poblicius Hilarus, un ricco mercante di perle (margaritarius) che sostenne le spese per la costruzione della basilica. Sono esposti anche il suo ritratto e la base della sua statua, posta all’ingresso dell’edificio, che al momento della straordinaria scoperta fu accuratamente documentato con tavole acquarellate, anch’esse esposte in mostra.
Nella IV e ultima sezione (grigio-ocra) dedicata ai “mosaici degli edifici funerari nelle necropoli del suburbio di Roma” ci rendiamo conto che le tombe, in quanto dimore eterne, dovevano essere anche esse abbellite. Ovviamente la decorazione – con temi figurati, motivi ornamentali o soggetti mitologici – è volta sempre a esaltare le qualità del defunto e a rievocare i valori fondamentali della società romana.
I mosaici presentati in questa sezione sono tutti cronologicamente inquadrabili nel II e III secolo d.C. e, come specifica il titolo, provengono da contesti funerari situati nelle aree suburbane della città, perché le necropoli erano sempre esterne al centro abitato.
Il mosaico più appariscente è quello policromo con pavoni (II secolo d.C.), che costituiva la parte centrale del pavimento di una ricca tomba di famiglia situata lungo la via Appia. Il motivo del pavone, uccello sacro a Dioniso e a Giunone, lo si ritrova in ambito funerario, in quanto simbolo di immortalità. I Romani credevano che il suo corpo, conservato in certe condizioni, non si decomponesse mai. Allo stesso tempo era simbolo della primavera, e quindi di rinascita, perché, come scrive Plinio nel X libro della Naturalis Historia,
“perde la coda ogni anno al cader delle foglie; allora, finché non gliene rinasce un’altra insieme con la fioritura primaverile, pieno di vergogna e di dolore, se ne sta nascosto”.
Bellezza, splendore, immortalità e rinascita sono tutti emblemi del pavone che ritroveremo nelle catacombe cristiane e poi in tutta l’arte occidentale.
Nica FIORI Roma 1° maggio 2021
“Colori dei Romani. Mosaici dalle Collezioni capitoline”
Centrale Montemartini, Via Ostiense 106, Roma.
Orario: da martedì a domenica ore 9.00 – 19.00, fino al 15 settembre 2021.
Biglietto: per i cittadini non residenti: intero € 10,00; ridotto € 9,00. Per i cittadini residenti: intero € 9,00; ridotto € 8,00. Ingresso gratuito e ridotto per le categorie previste dalla tariffazione vigente. Per i possessori della MIC Card l’ingresso è gratuito: È consigliato l’acquisto online dei biglietti o tramite call center 060608 (tutti i giorni 9.00 – 19.00).
Informazioni: tel. 060608, www.zetema.it e http://www.centralemontemartini.org