di Michele FRAZZI
Gli ultimi dipinti allegorici
Passiamo ora ad esaminare gli ultimi dipinti allegorici realizzati dal giovane Caravaggio.
La conversione della Maddalena- Vanità e Umiltà ( Allegoria della Vista ?)
Sebbene questa tela (Fig.47) che rappresenta Marta che converte la Maddalena (100×134,5 cm.), molto probabilmente sia stata realizzata un po’ di tempo dopo i quadri analizzati fino ad adesso, abbiamo ritenuto opportuno affrontarne lo studio a questo punto poiché anch’essa come le precedenti presenta una forte connotazione allegorica.
La sua iconografia prende le mosse da un dipinto che a quell’epoca faceva parte della collezione del Cardinal del Monte, quindi con tutta probabilità fu creato durante la permanenza del Caravaggio al suo servizio o poco dopo, il dipinto del cardinale è un’opera di Bernardino Luini, Marta che converte Maria Maddalena o, come venne altrimenti chiamato l’ Allegoria della Modestia e della Vanità (102). Qui lo vediamo in una versione appartenente ai Rothschild (Fig.48), si tratta proprio dello stesso dipinto che una volta apparteneva a del Monte (103 )-
Una incisione di Giovanni Volpato (Fig.49) identifica con chiarezza il suo messaggio allegorico, confermando precisamente ciò che Helene Roberts ha intuito riguardo al valore morale di questo soggetto.
Come nei dipinti precedenti: i Bari e la Buona Ventura, Caravaggio sceglie di di rappresentare una azione, la conversione della Maddalena proprio nel momento in cui sta avvenendo. Marta sta parlando, sta facendo un discorso indicando con la mano quale sia l’unica verità che ha una radice profonda ed eterna: quella divina. Per riuscire a comprenderla è necessaria però l’umiltà di voler imparare e fare propri gli insegnamenti delle scritture, convertirsi in concreto significa cambiare, trasformarsi, mutare la propria visione del mondo e poi agire secondo le nuove direzioni interiori, comportandosi diversamente da prima.
Senza questi passi tutto è vano, vuoto, privo di vera sostanza, questo è il significato profondo della Allegoria della Vanità ed Umiltà, il cui tema si riallaccia alla Maddalena penitente od Allegoria dell’Umiltà che abbiamo già analizzato. Marta sta compiendo un gesto con la mano, sta indicando l’uno, il suo atto è teso a mettere in evidenza il principio divino dell’unità, nella stesso maniera in cui viene descritto dal Lomazzo:
”uno che significa un solo principio delle cose; ma fuori di quelle, si come l’unità che non è numero ma di quelle principio, come anco Dio è principio di tutte le cose, e però non è niuna di quelle”( pag. 447).
Sul tavolo possiamo notare gli oggetti necessari ad esaltare la sua bellezza, un pettine ed il recipiente per la cipria con il relativo batuffolo, questi sono dei chiari simboli della Vanitas ( nell’altra redazione di questo soggetto realizzata dal Luini al loro posto vi sono dei gioielli e un vaso di profumo).
Il Caravaggio volendo ulteriormente rafforzare il valore morale della sua opera rispetto a quanto fatto dal Luini aggiunge un’ulteriore rilevante elemento, si tratta di uno specchio, che è davvero il simbolo principe del narciso. Così il Ripa ne descrive il valore all’interno dell’ immagine della Superbia:
“ Donna bella ed altera, vestita nobilmente di rosso nella sinistra mano terrrà uno specchio, nel quale miri e contempli sè stessa. La Superbia come dice San Bernardo, è un appetito disordinato della propria eccellenza: e però suol cadere per lo più negli animi gagliardi e di ingegno instabile. Quindi è, che si dipinge bella e altera, e riccamente vestita. Lo specchiarsi dimostra, che il Superbo si rappresenta buono, e bello a sè stesso” .
Bella, altera, riccamente vestita dotata di uno uno specchio che regge proprio con la mano sinistra questo, questo è ciò che esattamente si vede nel dipinto del Caravaggio. Lo specchio però in questo caso non è rivolto verso di sé, la Maddalena non sta ammirando la propria bellezza, come usualmente accade, lo specchio qui è rivolto verso gli oggetti che sono sul tavolo, gli strumenti della sua bellezza. Il corretto significato di questo accorgimento va ricercato in un’altra allegoria del Ripa, la Falsità d’amore od Inganno:
”Lo specchio, è vero simbolo di falsità, perchè, se bene pare che in esso specchio siano tutte quelle cose che gli sono poste innanzi, è però una sola similitudine, che non ha realità; e quello che gli si presenta alla sinistra, viene alla destra mano, e medesimamante quello che è alla sinistra, viene alla destra mano. Il che è tutto quello che importa questo nome di falsità, come benissimo racconta il Pierio nel Lib. 42”.
Il testo a cui fa riferimento è lo Hieroglyphica di Pierio Valeriano, in questo contesto dunque la funzione di questo oggetto è quella di rafforzare il significato dell’ illusorietà degli oggetti-simbolo che gli si trovano di fronte.
La allegoria del Ripa calata nel contesto del dipinto sta a significare che la bellezza della Maddalena così come anche tutte le altre attrattive del mondo; le ricchezze e le bramosie sono solo un inganno, una illusione che ben presto sarà destinata a scomparire, come le immagini che si formano su di uno specchio esse non hanno sostanza, non possiedono una realtà profonda, sono solo forme vuote, impermanenti, senza concretezza (104 Veca, 1981, pag.135-141), ora esistono e subito dopo scompaiono, la loro vita dura un attimo, così come effimero è anche l’amore di una cortigiana, come era la Maddalena.
Lo stesso paradigma presente nel dipinto del Caravaggio lo si trova identicamente rappresentato in un’opera di Tiziano conservato al museo di Monaco. Nella sua Allegoria della Vanità (Fig.50), ritroviamo il ruolo ingannatore e fallace dello specchio ed il suo valore simbolico di Vanitas, in questo caso Tiziano ci fa vedere chiaramente riflesse le immagini di gioielli, e delle ricchezze, ma esse appunto non sono che immagini, illusioni, come diceva il Ripa sono un nulla.
Questa modalità di rappresentazione allegorica è piuttosto consolidata nell’immaginario di Tiziano dato che la ripete anche in un altro dipinto conservato al Louvre, una volta appartenente alla collezione Gonzaga di Mantova (105 ) ( Fig.50 bis).
Quest’opera ha anche il pregio di raffigurare uno specchio concavo praticamente identico a quello del Caravaggio, forse in qualche modo l’artista conosceva questa iconografia ed il suo significato allegorico, e così lo ha voluto rappresentare anche nel suo dipinto, si tratta di una cosa piuttosto probabile dato che il Peterzano era un allievo di Tiziano.
Anche in questo caso dunque riemergono con evidenza le mai-dimenticate radici della pittura lombardo-veneta. Nel dipinto troviamo anche un ulteriore simbolo tipico della Vanitas, si tratta dei fiori, quelli di arancio, essi con il loro breve ciclo vitale sono l’esempio tipico della evanescenza e della brevità della bellezza ed anche delle passioni del mondo. Li ritroviamo rappresentati non solo nel quadro del Luini da cui il Caravaggio ha tratto ispirazione, ma anche nella Allegoria della Vanità (Fig.51) di Giulio Campi del Museo Poldi Pezzoli, qui sono posizionati al centro del petto di una cortigiana esattamente come avviene del dipinto del Merisi, oppure li vediamo in mano ad una vecchia davanti allo specchio nella Allegoria della Vanità di Bernardo Strozzi ( Fig.52).
I fiori di questi tre dipinti sono stati alternativamente interpretati come fiori d’arancio o di gelsomino (106), entrambi questi fiori sono simbolici del matrimonio, e nel contesto di una cortigiana o di una donna vecchia essi potrebbero stare ad indicare l’ illusione d’ amore.
La prima citazione inventariale del dipinto risale al 1606, quando faceva parte della collezione di Olimpia Aldobrandini, dove così precisamente la si identifica:” Un quadro di Santa Marta e Madalena quando la convertisce”, val qui la pena solo ricordare brevemente il forte legame tra la famiglia Aldobrandini e gli Insensati che emerge nelle poesie degli accademici. Lo zio di Olimpia, papa Clemente VIII regnò praticamente durante tutto il periodo che il Caravaggio passò a Roma, si formò studiando legge a Perugia, così come fece anche suo fratello il cardinal Silvestro che fu addirittura il protettore degli Insensati assieme ad un altro Aldobrandini, il Cardinale Bonifacio Bevilacqua. Silvestro fu anche gran Priore dell’ordine di Malta a Roma dal 1598 al 1612 succedendo a suo fratello il Cardinale Pietro Aldobrandini. Questa famiglia a partire dal 1596 possedette il palazzo che stava di fronte a quello del Cardinal del Monte, di cui essi erano buoni amici.
Un ultima riflessione per dire che questa figura con lo specchio potrebbe rappresentare anche l’allegoria del senso della Vista secondo quanto descritto dal Ripa, che la rappresentava come un:
“Giovanetto, che … e nella sinistra terrà uno specchio, e sotto al braccio, quivi vicino si vedrà uno scudo, ove sia dipinta un’Aquila… Lo specchio dimostra che, che questa nobile qualità non è altro che un apprensione che fa l’occhio nostro, il quale è risplendente come lo Specchio, ovvero diafane, come l’acqua delle forme accidentali visibili de’ corpi naturali, e le riceve se non altrimente, che le riceve lo specchio, porgendolo alla memoria, e alla fantasia, le quali fanno l’apprensione, se bene molte volte falsa”.
L’immagine di una donna con lo specchio dal punto di vista iconografico è il simbolo classico per identificare proprio il senso della vista, lo vediamo in questa incisione di Sadeler (Fig.53) con una donna a seno scoperto che si specchia, oppure in quella di Goltzius ( Fig.54)
dove si vede uno specchio con la forma molto simile a quello del dipinto del Caravaggio, con una scritta esplicativa che recita: Dum male lascivi nimium cohibentur ocelli, In vitium preceps stulta iuventa ruit, essa ci raccomanda di evitare accuratamente gli allettamenti del senso della vista: gli occhi lussuriosi fanno precipitare il giovane nell’abisso del vizio.
Abbiamo deciso di esprimere questo possibile ulteriore valore allegorico in forma dubitativa dato che i quadri che possono essere identificati con gli altri sensi non sono delle stesse dimensioni, e quindi non si possono inquadrare in una serie perfettamente definita e di uguale formato. A meno di non voler tenere in considerazione la suddivisione operata dalla filosofia tomistica tra sensi inferiori ( Tatto, Gusto, Olfatto) e superiori ( Vista e Udito), che fu diffusa in ambiente milanese da Giuliano Goselini. In questo caso il ciclo complessivo andrebbe allora così ricostruito, Gruppo dei sensi inferiori che sono dotati anche di un formato minore : Mondafrutto– Gusto, Ragazzo morso dal ramarro-Tatto, Ragazzo con vaso di rose-Olfatto, Gruppo dei sensi Superiori che invece sono dotati di un formato maggiore: Suonatore di liuto-Udito, Marta e Maddalena-Vista.
Amor Vincit Omnia- Allegoria del Piacere terreno
Siamo giunti all’ultimo dipinto di questa sezione (Fig.55).
Si tratta di una realizzazione relativa a qualche anno più tardi rispetto a quelli sin qui analizzati, infatti l’opera creata per Vincenzo Giustiniani viene solitamente situata al 1602. Si è deciso però di includerlo qui perchè si tratta dell’ultimo dipinto a carattere spiccatamente allegorico e probabilmente è anche il più famoso. Fu molto apprezzato ed ebbe vasta eco fin da quando l’opera fu di dominio pubblico e molti storici la descrissero, come ad esempio fece il Baglione:
”Per il marchese Vincenzo Giustiniani fece un Cupido a sedere dal naturale…”, o il Bellori: ”Appresso le quali mezze figure colorì un Amore Vincitore, che con la destra solleva lo strale, ed a’ suoi piedi giacciono in terra armi, armi, libri ed altri stromenti per trofeo…”, o Von Sandrart: ”per il padre della nostra arte, il Marchese Giustiniani dipinse anche un Cupido a grandezza naturale, in figura di un ragazzo di circa dodici anni, seduto su un globo terrestre, che tiene nella mano destra alzato l’arco, sulla sinistra vi sono vari strumenti matematici e libri sui quali è appoggiata una corona d’alloro, Cupido ha, secondo la sua figura, grandi ali d’aquila brune / tutte perfettamente disegnate….”.
Marzio Milesi celebra l’opera in una poesia del 1606, rivelandoci quale brano poetico l’ha ispirato, mettendo così apertamente in luce quel legame tra poesia e pittura di cui si servì Caravaggio nella sua fase giovanile, un legame che è caratteristico di praticamente tutti i quadri finora analizzati, ecco il suo componimento:
“De Michaele Angelo de Caravagio, qui/ Amorem omnia subigentem pinxit/ Omnia Vincit Amor, tu pictor, et omnia vincis /Scilicet ille animos,corpora, tuque animos “.
Il verso che è servito da spunto per il soggetto ed a cui Milesi fa riferimento è: Omnia Vincit Amor”, l’amore vince e domina su ogni cosa. Si tratta di un passo tratto dalla decima egloga di Virgilio, dove si parla dello sfortunato amore di Gallo, si tratta di un testo poetico che abbiamo già incontrato durante l’analisi del motto nell’emblema di Leandro Bovarini, il principe degli Insensati.
Il significato del verso è piuttosto chiaro, l’amore sottomette ogni cosa esistente sulla terra, questa è l’interpretazione più completa e corretta del significato del dipinto, come ci conferma anche la sua descrizione nell’inventario dei suoi proprietari, i Giustiniani:” Un quadro con un’Amore ridente in atto di disprezzare il Mondo che tiene sotto…”. Questo concetto allegorico è ben espresso in un emblema dell’ Alciato che descrive la potenza dell’Amore: Potentia Amoris (Fig. 56), lo proponiamo nella versione in latino del 1551 perchè particolarmente attinente al dipinto.
Potentia Amoris
Nudus Amor viden’ ut ridet, placidumque tuetur?
Nec Nec faculas, nec quae cornua flectat, habet.
Altera sed manuum flores gerit, altera piscem,
Scilicet ut terrae iura det, atque mari.
Nell’ immagine che lo accompagna si vede Amore che sta seduto e sorride, mentre impone il suo dominio al mondo, al globo terracqueo, simboleggiato dagli elementi che tiene in mano, i fiori e il pesce. Questa immagine è davvero molto vicina a quella creata dal Caravaggio e al concetto che lui voleva esprimere con questo dipinto. Una iconografia però ancora più precisa anzi davvero esatta dell’immagine e degli elementi contenuti nel dipinto è descritta nelle figure allegoriche delineate da Lomazzo, quando tratteggia la rappresentazione del simbolo del Piacere e del Dispiacere, di cui riportiamo le parti pertinenti al dipinto ( pag. 449-450) :
“ I quali si dipingono insieme perchè no mai un è separato dall’altro…E ciò si fa per dimostrare che hanno un medesimo fondamento; perciochè il fondamento ed origine del piacere, è la fatica co’l dispiacere insieme; e per incontro il fondamento, e radice del dispiacere sono i vani e lascivi pensieri. …e al dispiacere si pone nella mano destra una gran quantità di punte di freccia a denotare le punture acute e velenose con che egli punge i cuori…Oltre di ciò la destra gamba di questo corpo posa sopra un mucchio di feno; e l’altra sopra sopra una tavola d’oro, a dimostrare la diversità loro, e che l’un piede, cioè l’affetto del piacere mondano è basso ; debile e molle, e l’altro cioè l’affetto del dispiacere sopra l’oro è certo sodo e risplendente per doglia conforme alle punte delle frecce.”.
Questo è esattamente quanto viene rappresentato nell’opera e cioè l’ Amore terreno che tiene nella mano destra delle frecce, simbolo del dolore pungente che è sempre unito al piacere sensuale, piacere e dispiacere sono le due facce di una stessa medaglia; si tratta di un significato morale ricorrente e del tutto identico a quello contenuto negli altri suoi quadri giovanili di cui abbiamo già dato conto nel corso di questa analisi; la gamba sinistra è appoggiata sopra di un tavolo sul quale stanno i simboli preziosi ed elevati del potere: uno scettro, una corona, ed un sacco probabilmente di monete, la gamba destra invece si appoggia più in basso sulla gloria delle arti: l’alloro, la penna e le pagine scritte indicano la letteratura, la corazza è invece simbolo dell’arte e della gloria militare. In aggiunta sul pavimento vediamo degli strumenti musicali con le corde rotte, ancora una volta simbolo dell’eccellenza musicale, poi vengono le scienze: la squadra è simbolo dell’architettura e della geometria, mentre la sfera celeste su cui sta seduto è il simbolo dell’astronomia.
L’Amore sensuale domina tutti questi simboli del potere e della gloria terrena, egli domina sul mondo, esattamente come descritto nell’inventario dei Giustiniani. Tutte queste immagine simboliche che rappresentano ciò su cui Amore trionfa, sono anch’esse precisamente descritte dal Lomazzo (pag.399) nel capitolo dedicato alla rappresentazione dei Trofei, ed a ben vedere questo è proprio il termine che Bellori utilizza nella sua descrizione di questo dipinto: “armi, armi, libri ed altri stromenti per trofeo”. Leggiamo ora la definizione data Lomazzo :
”I trofei dimandati ancora altrimenti spoglie, che non sono che prede vittoriose riportate da nemici … Onde vediamo che negli antichi gli hanno portati ne i trionfi per segno della maniera e qualità della vittoria avuta … Et così in quelle arti nelle quali ciascun dio era stimato haver potenza e dominio, da lui si ricorreva a dimandar le gratie e ottenutele, se gli appendevano per trofei quelle cose le quali con gli stromenti dell’arte del dio si erano acquistate o vinte. Si che non si potrebbe per trofeo di una vittoria ottenuta nel suonare un leuto, una spada,…Onde a marte si dedicano l’arme conquistate…come della musica cimbali, trombe timpani, lire e simili …; d’Astrologia sferee quadranti, di geometria, quadri, trigoni, pentagoni, squadre … e così discorendo per le altre arti de i suoi instromenti si formano i trofei.”.
Questo passo chiarisce ulteriormente e definitivamente il significato di tutti questi oggetti. Amore li domina tutti, sono le spoglie vinte e prese dal vincitore. Amore è poi dotato di un paio di ali che sono di una foggia particolare, come perfettamente riconosciuto per primo dal Sandrart, si tratta di ali di aquila, il Lomazzo descrive anche questo simbolo che identifica per l’appunto la vittoria:” per la vittoria un’Aquila” ( pag. 459) e dunque in forza del loro valore simbolico l’Amore vincitore deve essere forzatamente dotato delle ali di un’ aquila.
A valle della lettura di tutti questi brani il significato del dipinto è chiaro, il piacere carnale sovrasta ed irride tutti gli altri oggetti dell’interesse umano, in primo luogo le ricchezze ed il potere che sono posti più in alto, mentre più in basso è posizionata la gloria, che si acquista nell’eccellenza delle arti che viene qui rappresentata dalle arti militari, letterarie, musicali, la architettura e la geometria. Dietro le apparenze degli oggetti del desiderio umano sta sempre comunque nascosta un altra ben più cruda realtà, la loro fragile transitorietà; a tutti i successi terreni ed al piacere che essi donano farà poi seguito il dispiacere della perdita con le sue “punte di freccia a denotare le punture acute e velenose con che egli punge i cuori”.
Anche quest’ opera dunque ricalca pienamente e in maniera evidente i temi che abbiamo già ritrovato nelle altre sue opere e anche in questo caso il pittore utilizza quei testi ( il Trattato di Lomazzo e l’emblemastica dell’Alciato) già utilizzati nel caso degli altri dipinti.
Tutta la sua prima produzione dunque presenta un contenuto allegorico davvero consistente ed importante; per questo motivo queste opere non possono essere inquadrate come una semplice rappresentazione di una scena di genere, che all’epoca era considerato un genere di pittura di basso livello, esse appartengono invece alla categoria della pittura di più alto livello e cioè quella di storia.
E’ quindi perfettamente comprensibile il motivo per cui il Caravaggio fosse scontento di dipingere fiori e frutti e volesse tornare alla pittura di figura, che è lo strumento necessario per la pittura di genere superiore, alla quale si dedicava quando lavora liberamente.
Un ultima nota per parlare di un quadro che fu collegato a questo, e che fu occasione di un diverbio e di un processo, si tratta di un quadro del Baglione : l’Amor divino che sottomette l’Amore mondano e il diavolo ( Fig. 57 bis), anche questo di proprietà dei Giustiniani. Possiamo ora comprendere quanto fosse irritato il pittore lombardo per l’opera del Baglione che a ben vedere infatti nasconde una critica alla sua opera, implicitamente Baglione voleva significare che il suo dipinto con l’Amor divino sottometteva quello con l’Amore profano realizzato dal Merisi.
( Continua….