di Mario URSINO
Giovanni Comisso e Filippo De Pisis, storia di una lunga amicizia
Per me l’incontro con De Pisis, in quel marzo del 1919, fu assolutamente uno dei fatti più importanti della mia vita.
Giovanni Comisso
“Nella primavera del 1919, da poco finita la guerra, mi trovavo a Roma, per frequentare presso l’Università un corso speciale organizzato per gli studenti che erano ancora alle armi”.
Questo è l’incipit dello scrittore trevigiano Giovanni Comisso (1895-1969) del suo libro- memoriale, Mio sodalizio con De Pisis [fig. 1], costruito in gran parte con le numerose e frequenti lettere del pittore inviate a Comisso tra gli anni Venti e i Cinquanta, e dai ricordi personali e le frequentazioni amicali tra i due artisti [figg. 2-3], in Italia e a Parigi. Il volume fu pubblicato per la prima volta da Garzanti nel 1954, e in successive edizioni fino al 2010.
Un’amicizia dunque nata cento anni fa a Roma,
dove il giovane Comisso ambiva a farsi conoscere nell’ambiente letterario con un suo “libriccino di minute poesie”, pubblicate nel 1916 a cura del famoso scultore Arturo Martini (1889-1947), anch’egli trevigiano e amico dell’aspirante scrittore. Fu Martini, infatti, a presentare Comisso a Roma, ad Alpinolo Porcella (1874-1962), artista e scrittore, e “uomo assai curioso”. Scrive Comisso:
“Non avevo molta voglia di frequentare le lezioni dell’Università, passavo invece le mie ore in facili amori pretesi dai miei vent’anni, in visite pomeridiane alla casa di Onofri [Arturo Onofri, 1885-1928 ,poeta e scrittore italiano, n.d.a.] dove convenivano letterati suoi amici. Alla sera andavo spesso in quella di Porcella, la moglie e la figlia del quale si dilettavano di pittura coprendo stranamente tutte le pareti delle stanze. Da lui conobbi il pittore Giorgio de Chirico e un giorno che ero andato a prendere il caffè, dopo colazione, venne Filippo de Pisis […]. Nel sedersi a capo di quella tavola mi guardò acutamente per un attimo, ma subito prese a parlare sempre di se stesso …”.
E’ da quell’ intenso sguardo che dovette nascere la loro duratura amicizia, come si deduce dalle successive, immediate impressioni di Comisso:
“Mi stupivano i suoi occhi penetranti e fuggenti, la sua voce nasale, la sua camicia di una tela che si usa per i materassi e il suo modo di stare seduto, eretto come un professore in cattedra” (op. cit. p. 4).
I due poi andarono via insieme e camminarono lungo il Tevere; durante la passeggiata
Comisso gli recitò alcuni suoi versi, e De Pisis li trovò molto belli. Nel fortunato volume dello scrittore trevigiano si tratteggia l’inconsueta personalità del pittore ferrarese, Filippo de Pisis (1896-1956), non solo come grande artista del Novecento, ma per la eccezionalità della sua vita, appunto eccentrica, come per esempio, quella di Whistler, di Tolouse Lautrec, di Van Gogh, di Gauguin. La singolarità di tale sodalizio però non è nata dall’infanzia, come spesso capita nella vita, ma quando i due giovani avevano poco più di venti anni, ed entrambi intendevano affermarsi come artisti. E hanno avuto ragione. Comisso è divenuto un grande scrittore e giornalista, famoso per i suoi reportage quale inviato speciale in Oriente per il “Corriere della Sera” negli anni Trenta, e va ricordato qui il suo Amori d’Oriente, 1948 [fig. 4], sorta di racconti e frutto di evidenti esperienze personali e descrizioni di realtà allora ai più sconosciute, se non limitate all’epoca in ambiti ancora post o semicoloniali, dove gli europei erano visti dai nativi giapponesi, cinesi, thailandesi, coreani, con stupore, avidità e timore; in quegli stessi anni, tra il 1926 e il 1938, De Pisis si affermerà come pittore a Parigi. Nelle pagine del Comisso, Mio sodalizio con De Pisis, 1954 (cfr. pp. 27-95), si leggono circostanziati episodi delle sue stravaganze: per esempio, una sera del 1928 a Parigi, i due amici andarono verso la rue Venise, forse per un’improvvisa nostalgia della città lagunare; la strada, “stretta e semibuia” era la sede di numerose botteghe chiuse di pescivendoli, e di maisons de passe. Comisso scrive:
“La sraducola tra gli odori di putrefazione e le luci bieche di qualche fanale a gas inebriava De Pisis in furente attesa di qualche apparizione eccezionale. Guardava dovunque come un cacciatore in una selva che fiuti la preda e d’un tratto gridando: “Mirabile! Mirabile!” lo vidi chinarsi su di un mucchio di immondizie e raccogliere tre grandi merluzzi marci gettati via dai pescivendoli. Li mise con cura tra le pagine di un Paris-Soir, steso per terra, e rimase a guardarli sebbene puzzassero nauseanti. In quei pochi istanti gli si era già impresso il quadro [… ]. La mattina dopo andai da lui: il quadro era già compiuto” (op. cit. pp. 32-33).
Comisso gli comprerà subito quel quadro. Il dipinto in questione è il famoso Pesci marci, un olio su cartone, 1928, cm. 53×63 [fig. 5],
che da Comisso passerà nella collezione Malabotta di Treviso (di cui farò cenno più avanti), ed oggi nella Galleria civica d’arte contemporanea di Ferrara. Parigi, De Pisis la racconterà, in anni successivi a suo modo, per osservazioni frammentarie della vita che gli girava intorno casualmente, analogamente ai soggetti che nello stesso modo accostava nelle singolari nature morte dipinte; un procedimento letterario di tipo impressionista caratterizza questo suo romanzo autobiografico, Il Marchesino pittore, Longanesi, 1969 [fig. 6]. E quando i due amici sono lontani, molta è la loro corrispondenza, e, a questo proposito, va segnalata la recente notizia della digitalizzazione dell’archivio Comisso, costituito da diciotto faldoni che gli eredi cedettero nel 1978 al Rotary Club Treviso, che a sua volta lo ha donato alla Biblioteca civica (cfr. “Corriere della Sera”, 14 gennaio 2019). Il progetto di digitalizzazione è stato presentato dall’Associazione Amici di Comisso.
Si tratta anche di un utile omaggio alla memoria dello scrittore nel Cinquantenario della sua scomparsa il 21 gennaio 1969. Devo pure ricordare che parte di codesto importante carteggio è stato utilizzato dal biografo dello scrittore, Nico Naldini, nel suo Vita di Giovanni Comisso, Einaudi, 1985 [fig. 7], che recita in quarta di copertina: “La riscoperta di un protagonista del Novecento italiano, un ritratto d’artista attraverso le sue amicizie”. Nel volume leggiamo molta della corrispondenza con la madre, con Martini, con Orio Vergani, e molti altri protagonisti delle lettere italiane e francesi, e naturalmente con De Pisis. Quando Comisso è ansioso di raggiungere l’amico a Parigi, così gli scrive nel 1926:
“Mio caro amico […] Io non ti ò dimenticato, prova ne è la mia fermata apposita di ritorno da Roma. E ti ò seguito nella tua ascesa di riconoscimento. Tu sei a Parigi, e se incontrerai Marcel Raval, Garçia Calderon, Charles Derenns, Madame Jean Dormis, Gérard Bauer, Paul Hazard, François Le Grix, Paul Morand, ecc. ti prego di parlare loro di me: annunciami !” (op. cit. 1985, p. 77).
E ancora il 6 maggio 1926 da Treviso, Comisso gli scrive ispirato: “Amico adorabile, ò
veduto la bellezza lacerante della tua natura morta esposta a Venezia. Mi fu di conforto grandissimo. Vedo, vivo e creo cose che non si possono sognare. Darò ai giornali notizia della tua mostra” (ibid. p. 78). Qui Comisso si riferisce probabilmente alla partecipazione di De Pisis, per la prima volta, alla 15a Biennale di Venezia del 1926, appunto con una Natura morta (catalogo, 4a ed., Venezia, 1926, p. 102). De Pisis ebbe anche un’importante mostra a Milano, dal 5 al 20 gennaio 1926 alla Saletta Lidel (sede della omonima rivista di moda e costume, attiva dal 1919 al 1935), una sua personale, con quarantasei opere, presentate in catalogo da Carlo Carrà, il quale, riferendosi proprio alle “nature morte” del pittore scrive:
“Le forze vegetali, minerali o animali partecipano bensì con loro carattere a far rivivere la legge di natura che le sostanzia, ma è la personalità spirituale del pittore che conferisce alle cose un’intensità del tutto particolare”.
Nello stesso anno, De Pisis a Parigi espone presso la “Galerie au Sacre du Printemps”, dal 23 aprile al 7 maggio, una mostra personale, presentata in catalogo, questa volta da Giorgio de Chirico, anch’egli presente nella città francese; de Chirico, come è noto, era stato sodale con De Pisis, insieme a Savinio e Carrà, nel periodo ferrarese (1916-1918): Comisso nel suo libro ci conferma di questo importante sodalizio ferrarese:
“Aveva potuto sopportare la chiusa città di provincia durante gli ultimi anni della guerra perché vi aveva conosciuto Giorgio de Chirico e poi Carlo Carrà che per fortunata coincidenza erano venuti a fare il sevizio militare, e da ultimo, reduce dai Balcani, anche Alberto Savinio.” (op. cit. 1954, pp. 5-6).
De Pisis quindi si ritrova a Parigi con Giorgio de Chirico che lo incoraggia e crede nel suo lavoro; fa anche un bel ritratto del suo forte profilo [fig. 8], con la seguente dedica:”A de Pisis toujours et quand-meme”, mentre si trovano al famoso Café Les Deux Magots, il 18 febbraio 1926 Nel catalogo di presentazione della mostra parigina sopra citata, de Chirico scrive: “De Pisis n’est pas un naif. Il sait ce qu’il veut et ce qu’il fait. L’ironie et l’étonnement se mêlent en lui à un très subtil lyrisme”.
Diverse sono le opere di De Pisis dipinte nella metà degli anni Venti, circonfuse o allusive dell’aura metafisica (v. Le peonie, 1926, Milano, Brera [fig. 9], con quella scultura dell’Arianna dipinta sullo sfondo; o Natura morta con scultura, 1927 [fig. 10], Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna*, dove la scultura dipinta, questa volta, è un Mercurio; e ancora di De Pisis I pesci sacri, 1924 [fig. 11], Milano, Brera, è un vero e proprio omaggio al famoso dipinto de Chirico dal medesimo titolo, I pesci sacri, 1919 [fig. 12], New York, MoMA; De Pisis desume sempre ne i suoi I pesci sacri, persino un brano (l’occhio) dal celeberrimo dipinto metafisico di de Chirico del periodo ferrarese, Il saluto dell’amico lontano,1916, New York [fig. 13], coll. priv.
I De Pisis di Comisso nella Collezione Malabotta **
Ho ricordato più sopra come avvenne la creazione del quadro I Pesci marci, e del subitaneo acquisto da parte di Comisso; quasi nello stesso modo lo scrittore descrive l’acquisto de La Coupole, 1928 [fig. 14],
nel Mio sodalizio con De Pisis:
“Una mattina ventosa e limpida con nubi erranti, nel camminare lungo la Senna, giunsi al Quai Voltaire, e vidi gente ferma come vi fosse un venditore ambulante, invece in mezzo a quella gente, De Pisis dipingeva rivolto verso l’Istituto di Francia. Nereggiava l’edificio fino alla sua cupola immersa in quel cielo che sentiva la primavera. La gente intorno osservava e faceva timidi commenti. Se egli scrutava attentamente il paesaggio che aveva davanti, non meno attentamente ascoltava quei commenti che gli riuscivano come uno stimolo. Si accorse di me soltanto quando dissi con entusiasmo non trattenuto: «Stupendo, comperato subito.» Volse di scatto la testa verso di me per sorridermi soddisfatto e proseguì per terminare con sveltezza.” (op. cit. 1954, p. 49).
Molte altre opere, Comisso acquisirà dall’amico pittore: opere che andranno ad
arredare la casa di campagna, acquistata nel 1930 (al ritorno dai suoi viaggi in Estremo Oriente); la casa era sita a pochi chilometri da Treviso, nel Comune di Zero Branco, dove scorre il fiume Zero, narrata nel suo La mia casa di Campagna***, Longanesi, Milano 1958 [fig. 15]. Comisso ne acquisì forse i migliori che De Pisis dipinse tra il 1927 e il 1940, oltre a numerosi disegni. Lo scrittore però, a sua volta, ebbe necessità di venderli a malincuore ad un altro grande estimatore del pittore: il collezionista Manlio Malabotta (1907-1975), di origine triestina, e notaio in Montebelluna [fig. 16].
La storia di questo incrocio e delle estenuanti trattative per la vendita dei De Pisis tra Comisso e Malabotta è stata ben narrata nel catalogo della mostra nel Museo Civico di Treviso, Filippo De Pisis La Collezione Malabotta, a cura di Daniela de Angelis, Eugenio Manzato, Electa, Milano 1995 [fig. 17], in occasione del Centenario della nascita di Giovanni Comisso (si vedano al riguardo, Eugenio Manzato, Manlio Malabotta Collezionista in Montebelluna, pp. 13-17 e I quadri depisisiani di Comisso, nel saggio di Daniela De Angelis, Per De Pisis e Comisso, in cat. cit. pp. 26-46).
Si può dire che ognuno dei dipinti appartenuti a Comisso sono stati segnati da una storia, come i già citati I pesci marci e La Coupole, cui si aggiungono La bottiglia tragica del 1927 (titolo di per sé eloquente, legato ad una drammatica aggressione che De Pisis subì nel suo studio ad opera di due giovinastri che avrebbero dovuto posare per lui); Il gladiolo fulminato, 1930 [fig. 18], una splendida natura morta di fiori, raccolti dallo stesso pittore, come ci narra Comisso, di cui uno solo fu dipinto di fantasia:
“Ad ogni fiore mi decantava la sua bellezza e mi spiegava a quale specie apparteneva […]. Il giorno dopo ne aveva fatto un quadro, ma tra quei fiori vi aveva dipinto un gladiolo rosa, che non aveva raccolto, che non aveva aggiunto al mazzo, ma era stato da lui fantasticato. Difatti quel gladiolo era trasfigurato con pochissime pennellate, tutte d’impeto, in una specie di calla rosata, che faceva soprattutto pensare a un sesso femminile apparsogli d’intuito. E sopra in direzione di esso vi aveva tracciato a sghembo un raggio giallo che diceva essere un fulmine nell’attimo di colpire quel fiore gravido di mistero” (op. cit. 1954, p. 64).
A questi si aggiungono Il nudino rosa, 1931 [fig. 19], Il ritratto di Allegro, 1940 (v. fig. 17): “De Pisis aveva scritto sullo sfondo giuocando sul nome del ragazzo: “Non Allegro ma Allegri” – scrive Comisso – Lo comprai subito ed egli mi pregò di lasciarglielo per una sua mostra che si doveva fare alla Galleria Barbaroux” (Milano, 1941); ancora del 1940 è il bel ritratto L’aviatore [fig. 20]; nella scheda del dipinto, la De Angelis, riporta: Sul retro del quadro appare una dedica a Comisso. “Al caro Comisso Pisis Hommage à Fragonard ritratto del caro Gino C ”. Ancora sul retro una scritta di Comisso: “Ritratto di Gino Carniato nato a Montreal nel 1913 morto in incidente di volo a Lonate Pozzuolo il 2 aprile 1940”. Il bel ragazzo aveva solo ventisette anni.
Nel 1936, Comisso così descrive la disposizione dei De Pisis nella nuova residenza campestre:
“Avevo da qualche anno assestato la mia casa di campagna a Zero Branco adornando le piccole stanze coi quadri e i disegni di De Pisis, con dipinti che avevo portato dalla Cina e con altri ricordi dei miei viaggi […]. Nella mia casa avevo, allora, di lui: I pesci marci di rue de Venice, Il gladiolo fulminato di Cortina, Il tavolino con la bottiglia di Medoc (che ritraeva un angolo della sua stanza in rue Bonaparte), un quadro di funghi, fatto ancora in rue Madame, quello della Coupole, vista dal Quai Voltaire […]. Invitai De Pisis a venire a colazione da me con due suoi amici […]. Appena giunti, De Pisis volle subito rivedere i suoi quadri, sostò attento davanti a ognuno, come se li vedesse per la prima volta […]. Poi mi disse con quel suo tono affettuoso e distaccato insieme: “Ah, ma allora tu te ne intendi di pittura, sei stato bravo a prenderti i miei quadri migliori”. Gli dissi che ognuno testimoniava una tappa della nostra amicizia, la più grande amicizia del secolo” (op. cit. 1954, pp. 89-90).
“2 aprile 1956 E’morto De Pisis, mentre stavo scrivendo di lui. I suoi quadri si fanno più vivi”.
(in: Giovanni Comisso, Diario 1951-1964, Con un ricordo di Goffredo Parise, Longanesi, Milano,1969, p. 109)
Mario URSINO Roma febbraio 2019