di Ursula Verena FISCHER PACE
Nel 2012 fui contattata dal pittore finlandese Antero Kahila per trovare un luogo a Roma dove presentare il suo progetto “Discovering Caravaggio’s Colours” cominciato nel 2003.
Il suo intento era di ricreare il perduto primo San Matteo basandosi sul materiale documentario della Gemäldegalerie di Berlino. Il dipinto venne esposto per la prima volta alla Finnish National Gallery a Helsinki nel 2008 .[1]
A Roma Kahila voleva coinvolgere Maurizio Marini, ma purtroppo non gli fu possibile per la morte di questo studioso, specialista di Caravaggio.
Munito di eccellente materiale fotografico mi rivolsi nella ricerca di una sede romana, forse a Palazzo Venezia, per esporre questa versione ricostruita del primo san Matteo di Caravaggio. (fig. 1).
Cercai di interessare al progetto in primo luogo l’allora soprintendente Rossella Vodret, lei stessa impegnata in studi caravaggeschi avendo organizzato a Palazzo Venezia la grande mostra “Roma al tempo di Caravaggio 1600-1630“. Tramite il compianto Giorgio Leone ne ebbi solo risposte negative. Non diversamente avvenne presso altre istituzioni che, mi sembrava, avrebbero potuto o dovuto interessarsene vista la serietà della proposta, tanto che già prima, nel 2011, il quadro era stato esposto a Berlino nella ex chiesa di San Matteo accanto alla Gemäldegalerie in cooperazione con la Gemäldegalerie e la St. Matthäus- Stifung .
Dopo questo sostanziale disinteresse, fu l’Academia finlandese di Villa Lante a deciderne l’esposizione in una sua sala fra il 2016 e 2017, approfittando della parete vuota dall’Allegoria di Roma” del Valentin, allora in viaggio per le mostre di New York e Parigi .[2] Nel 2017 sorprendentemente (visto il disinteresse per la mia proposta), la foto del dipinto del pittore finlandese è apparsa peraltro sulla copertina di un romanzo di Rossella Vodret e Paolo Jorio dal titolo ”Il mistero dell’Angelo perduto”. Nella primavera dell’anno scorso (2020) il dipinto di Antero Kahila e stato esposto in una mostra „Nulla è perduto” a Illegio (Friuli) (Tolmezzo 4 luglio – 13. Dicembre 2020).
A suo tempo parlando del progetto espositivo con Monsignor Bousquet, rettore di S. Luigi dei Francesi, ero venuta a conoscenza di una copia a colori del primo san Matteo in una piccola chiesa nel sud della Francia vicino a Bordeaux, a Pauillac. Decidemmo cosi con mio marito di recarci alla prima occasione in quello sperduto paesino francese, dove, come mi disse Mgr. Bousquet, era nato proprio un suo predecessore alla carica di rettore di S. Luigi dei Francesi, Mgr. Albert D’Armaihlacq, tra l’altro autore di una monografia della chiesa di S. Luigi. Quando vi arrivammo, era la primavera del 2015, la sorpresa fu grande, in quanto sulla parete d’ingresso della chiesa di St. Martin si trovava non solo la copia del s. Matteo di Caravaggio (fig. 2 ),
ma erano anche appesi altri tre quadri di evangelisti, fra i quali una copia del s. Giovanni Giustiniani del Domenichino, unico dipinto finora conosciuto di questa committenza (fig. 3 ).
Gli altri due evangelisti della stessa serie, Luca e Marco li ho ricollegati a Guido Reni e Francesco Albani, discutendone nel mio articolo del 2017 apparso sul “Burlington Magazine” [3]. Ambedue le tele degli evangelisti di cui si conoscono gli originali, sono di misura ridotta rispetto agli originali: ca: 160 x 114, invece di 259 x 199 quella del Domenichino e 232x 183 quella del Caravaggio.
Tornando alla prima versione del san Matteo del Caravaggio, la sua copia invita ad alcune considerazioni: in primo luogo mancano alcuni dettagli come l’iscrizione in ebraico sul libro di Matteo e non c’è una piena corrispondenza della sedia e dell’inclinazione della testa dell’angelo, ma è soprattutto il cambiamento dei colori fra la prima e la seconda versione che salta all’occhio e che a mio avviso non è mai stato preso in considerazione. Il san Matteo di Pauillac ha infatti una veste verde e un mantello sul marrone arancione, dal Benkard chiamato “orangefarbener Lederton” (colore di cuoio sull’arancione marroncino), mentre l’Evangelista della seconda versione ha invece la sottoveste gialla e il manto rosso. Rosso l’ha dipinto anche il nostro artista contemporaneo.
Per l’assenza di una normativa iconografica del colore per le vesti degli evangelisti, dove variano combinazioni di rosso- verde, rosso-giallo, come sui pennacchi delle chiese romane, p.e. nella cappella Mellini o della Passione e nella cappella del Sacro Cuore al Gesù, la variante non dovette incontrare ostacoli. La scelta del rosso, nella seconda versione del Caravaggio, potrebbe trovare una spiegazione, a mio avviso, in una rimeditazione sul rapporto visivo con il san Giovanni Evangelista di Giovanni Battista Naldini (ca. 1570-75, ca. 280 x 180) (fig. 4) della pala d’altare della cappella nella navata opposta (oggi però collocata sull’altare della sagrestia e mai riprodotta), che ha una bella veste rossa, cui il san Matteo del Caravaggio avrebbe potuto fare da perfetto pendant o dirimpettaio, sia per il colore che per le misure (296,5 x 189).
Un riflesso dei colori del primo Matteo lo troviamo invece in un dipinto di Lucio Massari (fig. 5) nel coro d’inverno della chiesa della Concezione a Roma, che ha i colori verde e giallo come la copia ottocentesca. La problematica dei colori è stata quasi completamente taciuta nella letteratura caravaggesca, tranne un accenno da parte di Valeska von Rosen, almeno da quanto ho potuto constatare.[4] Ma anche in rapporto alle tele laterali, la Vocazione e il Martirio, di colorito piuttosto scuro, il cambiamento dei colori risulta più omogeneo nella visione d’insieme pittorica e narrativa favorevole nell’accento sulla pala d’altare della cappella, di per sé assai scura, in quanto la vicinanza di Palazzo Madama impedisce la penetrazione della luce del giorno.
Ma ancor più significativa è, soprattutto, la rappresentazione del san Matteo in piedi, in bilico, dal momento che gli evangelisti venivano di consueto rappresentati seduti nell’atto di scrivere con le gambe accavallate e i piedi nudi. E in proposito sorprende che nella vasta letteratura sulla cappella Contarelli il problema non sia stato posto, se si eccettuano le osservazioni del Lavin nel suo articolo “Divine Inspiration in Caravaggio’s Two St. Matthews”. [5] Lavin sottolinea appunto come nella seconda versione Caravaggio abbia abbandonato del tutto la tradizionale iconografia adottando un prototipo completamente diverso e più direttamente legato all’ispirazione divina, cioè all’Annunciazione della Vergine.
Per questo contesto lo studioso ha citato la versione di Marcello Venusti, basata su un disegno di Michelangelo (fig. 6), tra l’altro al tempo di Caravaggio collocato su un altare di S. Maria della Pace sotto lo stesso tetto con le Sibille di Raffaello.[6] È soprattutto l’espressione di meraviglia, il rigirarsi indietro verso l’angelo e la torsione del busto che accomuna il secondo san Matteo alla Vergine Maria del Venusti, nonché il rapporto fra le figure e il tavolo. Non ci si deve d’altronde meravigliare che il Caravaggio abbia ben guardato i modelli di Michelangelo, sia per il prestigio del suo predecessore, del quale portava persino lo stesso nome di battesimo!
Un tale cambio di modello può essere avvenuto anche, o in primo luogo, sia per la drastica modifica del formato che dovette essergli richiesta (dai 232 x 183 ai 296,5 x 189) sia pure per una più convincente coerenza compositiva e ‘dialogica’ con i quadri laterali.
Tra l’altro il primo san Matteo aveva pure un illustre modello nel Pitagora (fig. 7)
della Scuola d’Atene nella stanza della Segnatura, non a caso ritenuto un san Matteo dal Vasari:
”Ne si può esprimere la bellezza e la bontà che si vede nelle teste e figure de Vangelisti, a quali ha fatto nel viso una certa attenzione et accuratezza molto naturale e massimamente a quelli che scrivono. E cosi fece dietro ad un san Matteo mentre che egli cava di quelle tavole dove sono le figure i caratteri tenuteli da un angelo e che le distende in su un libro, un vecchio che messosi una carta in sul ginocchio copia tanto quanto san Matteo distende”
Certo, non sappiamo se Caravaggio abbia letto il Vasari, tuttavia la somiglianza fra le due figure è ovvia ed e una testimonianza della sensibilità del pittore lombardo e del suo impatto ricevuto a Roma dalle opere dei grandi maestri che lo hanno preceduto.
In occasione dell’esposizione del quadro di Antero Kahila l’Academia finlandese aveva organizzato un colloquio davanti al quadro con la partecipazione di Sybille Ebert-Schifferer, Rossella Vodret, Alessandro Zuccari e Altti Kuusamo, ma anche in questa occasione il problema del colore e del cambiamento della posa non vennero affrontati.[7] Perciò dobbiamo essere grati al pittore finlandese di averci dato l’occasione di riflettere di nuovo sull’opera perduta del Caravaggio.
Ursula Verena FISCHER PACE
NOTE