di Giusy EMILIANO
“Si può essere sorpresi da un’immagine in qualunque momento”
Jean-Christophe Bailly.
La giornata mondiale dei suoli quest’anno tratta il tema dell’alimentazione affermando con forza che occorre proteggere e conservare la salute del suolo; così come è necessario e urgente dare valore al cibo e a chi lo produce in modo sostenibile. Occorre adottare pratiche agricole orientate alle più attuali pratiche di gestione del suolo, ovvero pratiche che considerino le colture come parte dell’ecosistema.
In questa moltitudine di parole, non possiamo non pensare a quelle popolazioni che vivono in carenza di cibo. Dare un’immagine a tutto questo ci pensano i media che ogni giorno inondano le nostri menti con contenuti e moniti privi di empatia. Ho sempre pensato che questi temi, scevri di umanità, non potevano innalzare la linea di consapevolezza.
Ritengo che la differenza la fanno gli scienziati che mettono passione nel trovare soluzioni e gli artisti che ci comunicano, attraverso il loro talento, tali questioni ma da differenti prospettive. Ed è qui in questo spazio fatto di un vuoto emotivo che le immagini di Stefano Lotumolo trovano respiro.
“Contemporaneo è colui che tiene fisso lo sguardo nel suo tempo per percepirne non le luci, ma il buio. Tutti i tempi sono per chi ne esperisce la contemporaneità, oscuri” (Giorgio Agamben).
Questa affermazione colma di poetica e forza accompagna il lavoro di Stefano che attraverso i suoi viaggi ci riporta uno spaccato di contemporaneo distante da noi ma che viaggia sulla stessa linea temporale.
Gli scatti che possiamo ammirare in questa personale “Sip of Earth” definiscono non solo i luoghi ma narrano la relazione, una sorta di irrequietudine, anche in ragione di un approccio filosofico che ne sottolinea uno sguardo insolito di esistenza. La relazione che emerge da queste opere d’arte porta e riconsegna al pubblico tracce pure e senza posizionamenti cosi come farebbe un bambino. Il fruitore puo’ immaginare quello spazio temporale che l’artista impegna per scattare cio’che diventa, successivamnete o simultaneamente, un’opera. L’obbiettivo di Stefano intercetta e fissa per lungo tempo una precisa azione come nel tentativo di trattenere e mantenere … come enunciava Baudelaire: “l’immagine, la mia «primitiva passione»”.
Lotumolo costruisce, forse inconsapevolmente, una sorta di deposito di ricordi per ricreare una sensazione di essere immersi in uno correre di immagini relativie ad un viaggio condiviso. I volti dei suoi protagonisti vengono intimamente percepiti come familiari.
È evidente che un’immagine è secondaria, a livello temporale, è postuma ad un evento accaduto. Ma e ribadisco in modo positivo ma, le opere di Stefano arrivano prima di qualsiasi posizione ermeneutica e ci colpiscono. Solo successivamente giungono le corrispondenze con i nostri ricordi, con quella che è un’immensa rete di senso.
Il tema del suolo e dell’alimentazione viene ampliamente declinato da frame di naturale convivenza, attraverso luoghi e soggetti che appaiono sereni nel loro spaccato quotidiano.
Come per esempio la fotografia Burro di Karitè nella quale una bambina, con in testa un contenitore per il cibo, sorridente con indifferenza al cumolo di suolo sano alle sue spalle. La sua indagine passa attraverso un linguaggio sensibile e i suoi scatti raccontano, anche, la dura e difficile quotidianità delle persone meno fortunate e più emarginate. I suoi personaggi sono eroi che non smettono mai di esternare la loro tenacia di fronte alle sofferenze rappresentate dalla fatica di tutti i giorni. I suoi scatti sono sempre leggeri e delicati anche nel cristallizzare stati al limite della sopravvivenza. Stefano Lotumolo ne coglie la bellezza quasi un monito a non arrendersi alla realtà, immaginando un miglioramento globale.
Trovo molto interessante vedere la reazione del pubblico davanti a fotografie che narrano luoghi e storie distanti da noi. L’individuo è mobile, è in divenire, mentre l’immagine normalmente è immobile. Quest’incontro tra due singolarità è come un urto, uno scontro. Cosa accade allora nell’individuo, in colui che è sede di una mobilità costante, di un pensiero che vaga ovunque, che non sta fermo? In generale, dalla sua immobilità, l’immagine provoca un’interruzione, una cesura. Il flusso di pensieri, qualcosa che è immobile e non parla. Qualunque cosa si pensi, l’immagine possiede il silenzio e l’immobilità.
La fotografia ha la funzione di interrompere un flusso. A partire da quel momento, e in quel momento, tra il soggetto dell’incontro e l’immagine presente si forma una soglia, o quanto Walter Benjamin descriveva come un’esperienza di soglia. Tale soglia non è strutturata o organizzata, ma vuota. Lentamente l’immagine riempie quel vuoto proponendo dei contenuti, che si possono accettare o rifiutare. In questo modo ci si accorge che una quantità di senso è trattenuto entro quel campo limitato e circoscritto dall’inquadratura. Allora si è come obbligati arispettare una sorta di veridicità, ogni volta legata alla maniera con cui il nodo di senso scuote il nostro senso di umanità.
Giusy EMILIANO Roma 11 Dicembre 2022