di Laura SCANU & Stefania DE VINCENTIS
Carlo Bononi. L’ultimo sognatore dell’Officina ferrarese. Due percorsi narrativi
Lara SCANU
La retrospettiva dedicata al grande artista secentesco Carlo Bononi, tesa a riportare alla luce non solo la figura del pittore, ma anche un così importante secolo per l’arte ferrarese, il Seicento, generalmente offuscato dalla mitica stagione della corte estense, legata all’età rinascimentale, fino alla Devoluzione di Ferrara allo Stato pontificio del 1598.
Il Bononi, che ci viene riferito dalle fonti locali come allievo del Bastarolo (Giuseppe Mazzuoli) compì viaggi di studio a Roma, Bologna, Parma, Verona e Venezia: la meta romana, così come riportato dal Baruffaldi, che riferisce di una improbabile (in quanto a lunghezza) permanenza nella città eterna dell’artista di due anni e qualche mese, fu senz’altro fondamentale e determinante: Carlo conobbe, studiò ed inserì nel panorama artistico ferrarese le innovazioni apprese dall’osservazione attenta delle tecniche e degli stili della pittura del Caravaggio, dei Carracci e perfino di Simon Vouet, dei quali si possono trovare degli echi nelle opere realizzate dal maestro a partire dagli anni Venti del Seicento.
Artista prolifico, abile disegnatore, riconoscibile per la sua particolare abilità nel rendere in pittura i più reconditi stati dell’animo umano, Carlo Bononi ha la capacità di restituire con i suoi dipinti un’emozionalità intensa e, al tempo stesso, elegante: ben presto la sua fama, così come avvenne per Michelangelo Merisi, venne offuscata dal giudizio degli storici dell’arte di età romantica, sebbene fosse famoso e apprezzato dai viaggiatori, che descrivono le sue opere con empatia e trasporto emotivo, arrivando, in alcuni casi, ad attribuire alle sue figure una sensualità elegante e garbata: poetica, quanto realistica, la descrizione del modus pittorico dell’artista scaturito dalla visione degli affreschi di quello che può essere definito il suo capolavoro, il ciclo pittorico per Santa Maria in Vado, che nel 1622 Tito Prisciani, priore della chiesa, lodò così: «Bononi merita di essere stimato perché li colori che lui adopera sono impastati di cuore liquefatto» [fig.2].
Le sue figure, dalle linee sinuose e dai particolari chiaroscuri, si configurano come una somma tra l’ideale e il reale, tanto da essere definito da Guido Reni «pittore non ordinario» dal «fare grande e primario», dotato di «una sapienza grande nel disegno e nella forza del colorito».
Famoso per i suoi Cenacoli e per i suoi dipinti dai soggetti sacri, che i viaggiatori europei ed americani tra XIX e XX secolo definirono simili e discendenti dalle opere di Paolo Veronese, avevano portato Bononi, fin dal Settecento, ad essere definito il Tintoretto dei ferraresi: destò commozione nell’animo di Guercino, che molto, insieme a Guido Reni, disse di dovere al maestro ferrarese.
L’esposizione, oltre a mostrare il lato canonicamente sacro dell’artista, ha il compito di mettere a nudo anche la sua produzione profana, ancor meno conosciuta, ma di elevatissimo livello, come è possibile vedere nel celeberrimo Genio delle arti [fig.4], conosciuto in più redazioni.
Il percorso di mostra accompagna il visitatore attraverso suggestioni visive, ma non solo: i confronti con i grandi artisti italiani che Carlo aveva potuto ammirare e conoscere più da vicino consentono di ripercorrere la carriera dell’artista e i problematici snodi critici e documentari che ha offerto, aprendo una finestra sulle brillanti ed emozionanti creazioni del maestro, al fine di restituire al Bononi, con l’attenta osservazione dei dettagli più minuti, il suo posto nell’Olimpo dei pittori italiani del XVII secolo, ruolo riconosciuto dapprima dal Lanzi e dal Burckhardt e poi ribadito da Venturi, Longhi ed Emiliani, che all’artista ferrarese dedicò l’unica monografia esistente nel 1962.
Stefania DE VINCENTIS
Il progetto di mostra accosta alla sua narrazione cronologica, che percorre le orme della formazione artistica di Carlo Bononi incentrandosi principalmente su due costanti della produzione dell’artista ferrarese, il nudo maschile e le pale d’altare, il dialogo col contesto ferrarese contemporaneo all’artista stesso.
Se le opere vibrano sulle pareti color ardesia e si animano di meravigliosa tridimensionalità grazie all’indovinato uso dei led, a inserirsi nella continuità espositiva sono le geometrie dei light-box che si appropriano nelle nicchie e nelle finestre cieche delle sale di Palazzo dei Diamanti. Questi dispositivi luminosi, di solito utilizzati a fine didascalico, sospesi come quinte teatrali, riproducono le piante, gli spartiti, i brani letterari e le mappe astrali di quei documenti che testimoniavano la vita e l’opera delle illustri personalità che animavano la cultura ferrarese. Ritroviamo la maestria musicale delle composizioni di Girolamo Frescobaldi [fig.1], i cui temi insistevano su quel coinvolgimento sentimentale dello spettatore proprio del periodo Barocco; così come l’intensa attività teatrale e il gusto verso una dimensione scenica della vita che le illustri famiglie ferraresi amavano coltivare si ritrova nelle architetture del Teatro degli Intrepidi (1605) di Giovan Battista Aleotti.
Sono brani di cronaca quotidiana, come il disegno di Antonio Tempesta che riproduce l’ordine tenuto dalla processione per l’ingresso di papa Clemente VIII a Ferrara nel 1598, che con l’avvio del periodo legatizio segna la fine della fulgida era Estense. L’imponenza totemica delle stampe luminose funge segnaletica nella linea diacronica dell’opera bononiana indicando i momenti storici legati al contesto dell’artista e invitando a soffermarvisi.
Il bianco e nero, la luce e l’ombra, si alternano tanto all’interno dei suoi quadri, suggerendone gli influssi del più noto Caravaggio, quanto attorno, negli apparati luminosi e nei dispositivi digitali.
Le teche che riprendono i disegni preparatori al grande ciclo decorativo di Santa Maria in Vado terminano nel monitor touch-screen [fig.3]
da cui è possibile muoversi virtualmente nelle navate della chiesa per ammirare i dettagli degli affreschi e delle pitture su tela che ne ricoprono le pareti e le volte proseguendo nel percorso di suggestione e di meraviglia evocato attraverso le sale della mostra e invitando a uscire per ritrovarlo nella città. In un continuo rimbalzo tra presente e passato legati dal continuo sforzo di raccontare per conoscere, conservare e valorizzare, il progetto di ricerca storica sull’artista si lega al progetto di recupero sull’opera. L’Incoronazione della Vergine, la tela realizzata intorno al 1617 e incastonata sul soffitto della chiesa, era stata rimossa inseguito al sisma del 2012 rivelando un avanzato stato di deterioramento. Le indagini per il suo recupero hanno coinvolto CIAS (Centro Ricerche Inquinamento Fisico Chimico Microbiologico Ambienti Alta Sterilità) dell’Università di Ferrara, la Parrocchia dell’Annunciazione di Santa Maria in Vado, il Consorzio Futuro in Ricerca, il Comune di Ferrara (con i suoi Musei di Arte Antica) e la Fondazione Ferrara Arte. Un cantiere aperto approntato nella stessa chiesa di Santa Maria in Vado, rende visibili al pubblico le attività di restauro, unendo la finalità conservativa a quella di valorizzazione dell’opera attraverso attività di divulgazione e informazione dei lavori in corso.
La mostra termina con un brano tratto da I Promessi Sposi che dà voce alle raffigurazioni della peste nell’opera del Bononi e riconduce nuovamente alla cronaca del tempo e alle tragedie dovute al flagello dell’epidemia nel ferrarese, mentre la raffigurazione dell’orbita celeste di Thomas Digges dal suo A Prognostication Everlasting of Right Good Effect testimoniano come le scoperte scientifiche in campo astronomico ad opera di Niccolò Copernico, Giovanni Keplero e Galileo Galilei, contribuirono a modificare la percezione dell’universo conosciuto. Il contrappunto scientifico a uno scenario dominato dal dramma della pestilenza.
La mappa di Giambattista Aleotti riprodotta sulla parete finale che chiude la mostra apre un nuovo sipario sulla città di Ferrara sui luoghi dove son conservate le opere dell’artista Ferrarese e dei suoi contemporanei.
Il progetto di ricerca monografico sull’artista non si esaurisce all’interno dell’ambiente espositivo ma abbraccia il contesto cittadino guidando lo spettatore a riconoscerla nei luoghi che lo hanno visto operare: sono, oltre a Santa Maria in Vado, la chiesa di San Francesco, la Cattedrale, l’antico tempio di San Giorgio, il monastero di Sant’Antonio in Polesine, insieme ai luoghi in cui sono conservate le opere dell’artista, come la Pinacoteca Nazionale o i Musei Civici di Arte Antica a Palazzo Bonacossi. Un itinerario culturale che segue quello espositivo e che conferma la mostra nel suo essere processuale e progettuale, non un punto di arrivo ma uno di partenza verso uno scenario, quello attorno a Carlo Bononi, che stimola nuove ricerche.
di Lara SCANU & Stefania DE VINCENTIS Parma dicembre 2017