Correggio, Caravaggio e Segantini: dalla “Zingarella”, un tema che ha attraversato tre epoche. (Parte I)

di Ugo IMPRESCIA

Ugo Imprescia (L’Aquila,1951) è laureato in Ingegneria Elettrotecnica ed ha lavorato a Roma e come socio dell’AIDI (Associazione Italiana di Illuminotecnica) interessandosi in particolare alle problematiche di illuminazione di monumenti, palazzi, chiese, mostre e luoghi di interesse artistico, anche in ambiente ipogeo; ha scritto, unitamente a ingegneri dell’Acea, diversi articoli pubblicati sulla rivista “LUCE” dell’Associazione AIDI, riguardanti alcuni impianti di illuminazione artistica realizzati a Roma. Appassionato di storia dell’arte si è dedicato a studi sul ‘500 e ‘600 italiano. Recentemente ha scritto sulla rivista Art&Dossier: “Caravaggio e il nicodemismo di Michelangelo”  nel n. 333 del giugno 2016, sull’interesse di Caravaggio per Michelangelo come artista e come uomo e  “Le tre Madri” nel n. 349 del dicembre 2017, sull’influenza del Correggio per l’arte del giovane Caravaggio autore di opere devozionali. Con questo articolo inizia la sua collaborazione con About Art.

Le tre madri

«Io dormo, ma il mio cuore veglia»

Il versetto del Cantico dei Cantici (Ct. 5,2) è il filo conduttore che collega tre celebri opere nelle quali viene rappresentato lo stesso soggetto della madre con in braccio il proprio figlio.

(prima parte)

Fig 1 Correggio, la Zingarella,1516-1517 circa, Museo Nazionale di Capodimonte

Tre grandi artisti della storia dell’arte, Antonio Allegri (Correggio, 1489 – Correggio, 1534), Michelangelo Merisi (Milano, 1571 – Porto Ercole 1610) e Giovanni Segantini (Arco, 1858 – monte Schafberg, 1899) appartenenti ad epoche diverse e a culture diverse, hanno realizzato tre opere nelle quali viene rappresentato lo stesso soggetto, la madre con in braccio il proprio figlio.

L’opera del Correggio è la cosiddetta “Zingarella” realizzata nel 1516-17 e custodita a Napoli nel Museo Nazionale di Capodimonte (fig.1).

 

L’opera del Caravaggio è Il riposo durante la fuga in Egitto della Galleria Doria Pamphilj di Roma, un dipinto realizzato nel 1596-1597 (fig. 2).

Fig 2 Caravaggio, Riposo durante la fuga in Egitto, 1597, Roma,Galleria Doria Pampilij

L’opera del Segantini è Le due Madri firmata e datata 1889 e custodita nella Galleria d’Arte Moderna di Milano (fig. 3).

Fig 3 Giovanni Segantini, Le due madri, 1889, Milano, Galleria d’Arte Moderna

Le prime due opere sono a carattere religioso e rappresentano la Vergine Maria con in braccio il Bambino Gesù; nell’opera di Segantini invece la figura umana rappresenta una giovane contadinella con in braccio il proprio figlioletto in fasce, anche se la dignità della giovane rappresentata, il suo dolce viso e l’ambiente umile in cui si svolge la scena, una stalla, può benissimo evocare la natività di Gesù.

È sorprendente come in tutte e tre le opere l’atteggiamento della figura materna è la stessa; la postura della Madonna del Caravaggio è molto simile a quella della Madonna del Correggio, entrambe sono scalze, accovacciate per terra e in ambedue queste opere il viso del Bambino è accostato al petto della Madre. La testa delle tre Madri è reclinata sulla spalla nel momento del dormiveglia, il braccio destro sta per essere abbandonato al sonno, ma nello stesso tempo la Madre veglia attentamente cingendo con tenerezza il proprio figlio, con il braccio sinistro e la mano ben saldi a proteggere e trattenere il corpicino del neonato in un abbraccio amorevole.

L’atteggiamento della Madre nelle tre opere fa venire in mente il brano del Cantico dei Cantici: «Io dormo, ma il mio cuore veglia» (Ct. 5,2); il riferimento al Cantico dei Cantici è sicuramente appropriato nel caso di Caravaggio nella cui opera sono molti i particolari che si rifanno a diversi brani del Testo Sacro[1].

Ma anche nell’opera del Correggio vi è un chiaro rimando al Cantico dei Cantici per la presenza dell’angioletto in alto che in prossimità di  una palma abbassa i rami per consentire di coglierne i datteri: «La tua statura è slanciata come una palma e i tuoi seni sembrano grappoli» (Ct. 7,8)ed ancora «Salirò sulla palma, coglierò i grappoli di datteri» (Ct. 7,9).

Un altro versetto del Cantico dei Cantici accomuna le tre opere, soprattutto l’opera di Correggio a quella di Caravaggio, per la posizione della testa del Bimbo vicina al petto della Madre; è il versetto 8,6 dove lo Sposo-Cristo dice alla Sposa-Madre; «Ponimi come sigillo sul tuo cuore».

È difficile pensare che Segantini, dotato di una spiritualità laica si sia ispirato al Cantico dei Cantici, ma l’atteggiamento della giovane madre da lui dipinta e la posizione del figlio sono sicuramente inerenti a quanto espresso nei brani (Ct. 5,2 e Ct 8,6) del Testo Sacro.

In tutte e tre le opere il tema trattato è quello del riposo; durante la fuga in Egitto nell’opera del Caravaggio, testimoniata dalla presenza di San Giuseppe con ai suoi piedi la borraccia e il fagotto, mentre alle sue spalle è raffigurato l’asino, tutti elementi riconducibili al viaggio intrapreso da Maria e Giuseppe per salvare il Bambino dall’eccidio dei neonati ordinato da Erode.

Questi elementi non compaiono nell’opera del Correggio, che comunque, pur nella pessima condizione di degrado in cui si è venuta a trovare sin dall’inizio, resa ancora peggiore dagli infelici interventi di restauro effettuati, è stata sempre interpretata come il Riposo durante la fuga in Egitto; la Madonna riposa in solitudine con il Figlio in assenza di San Giuseppe, ma l’angioletto che compare  alle sue spalle intento a piegare i rami di un albero, è uno specifico riferimento al miracolo della palma (descritto nel Vangelo apocrifo dello Pseudo Matteo al capitolo 20), avvenuto appunto durante il riposo della Sacra Famiglia in fuga verso l’Egitto[2].

Nell’opera di Segantini il riposo è invece quello di una giovane contadinella seduta all’interno di una stalla, affranta dopo le fatiche della giornata.

Le evidenti analogie, non solo formali, tra le tre opere, suggeriscono alcune ipotesi sulla possibilità che sia Caravaggio che Segantini abbiano potuto trarre ispirazione per comporre le loro opere da una conoscenza se non proprio diretta dell’opera del Correggio, per lo meno tramite le innumerevoli riproduzioni che ne sono state realizzate.

La “Zingarella” è stata una delle opere più copiate della storia dell’arte, mediante dipinti, disegni, stampe ed incisioni realizzati nel cinquecento, seicento ed oltre; molti sono gli artisti a cui sono state attribuite copie della “Zingarella”, tra questi sono stati fatti i nomi del Parmigianino (Parma, 11 gennaio 1503 – Casalmaggiore, 24 agosto 1540), Girolamo Mazzola Bedoli (Parma,1500 circa – Parma,1569), Francesco del Cairo (Milano, 1607 – Milano, 1665), Rutilio Manetti[3] (Siena, 1 gennaio 1571 – Siena, 22 luglio 1639) , Panfilo Nuvolone (Cremona, 1581 – Milano, 27 ottobre 1651), Camillo Procaccini (Parma, 3 marzo 1561 – Milano, 21 agosto 1629) e più recentemente Giulio Cesare Procaccini[4] (Bologna, 1574 – Milano, 14 novembre 1625), la cui attribuzione è stata ipotizzata da Vittorio Sgarbi in occasione della scoperta in collezione privata dell’ennesima copia, esposta nel 2014 al Palazzo dei Principi di Correggio[5].

Attualmente esistono decine di copie custodite in vari musei  e in collezioni private in Italia e all’estero; molte di queste copie erano presenti in area lombarda ma anche nell’ambiente  artistico romano.

Qualche decennio dopo la realizzazione della “Zingarella” erano state realizzate già alcune repliche, una di queste potrebbe essere probabilmente quella registrata nell’inventario del 1569 dell’importante collezione romana del letterato e canonico Gerolamo Garimberto:

quadretto d’una Madonna vestita alla cingaresca, che si riposa in un bosco col figliolo in braccio andando in Egitto, bellissimo»[6].

Tra le diverse copie che circolavano nei primi decenni del ‘600 in territorio lombardo, due di sicura attribuzione erano presenti a Milano e sono oggi conservate nella Pinacoteca Ambrosiana; una copia (fig.4) è stata realizzata da Bartolomeo Schedoni (Modena, 1578 – Parma, 1615), l’altra (fig.5) da Fede Galizia (Milano o Trento, 1574 ? – Milano, 1630).

Mentre è facile pensare che Segantini abbia potuto conoscere l’opera del Correggio durante la sua formazione artistica a Milano presso l’Accademia delle Belle Arti di Brera, per quanto riguarda la conoscenza della “Zingarella” da parte di Caravaggio si possono avanzare solo delle supposizioni; ma vi sono molti indizi che portano a ritenere plausibile  che  l’artista lombardo abbia potuto conoscere l’opera, se non direttamente, attraverso le innumerevoli copie, mentre iniziava la sua folgorante carriera nella città papale o a Milano prima del suo trasferimento a Roma.

In particolare le due copie dell’Ambrosiana realizzate da Bartolomeo Schedoni e da Fede Galizia, hanno una storia che si interseca con le vicende e i personaggi che hanno contrassegnato la vita artistica, e non solo, del Caravaggio.

La copia dello Schedoni era stata commissionata da Federico Borromeo che conosceva la Zingarella per averla vista nella collezione Farnese molto probabilmente durante il suo viaggio a Parma nel 1592; l’opera era registrata nell’inventario del 1587 della Guardaroba del duca di Parma Ranuccio I Farnese[7], parente dello stesso Borromeo: «un ritratto della Madonna in habito di Cingana di mano del Correggio […]».

Giacomo Berra[8] ipotizza che Caravaggio, nel suo viaggio da Milano verso Roma, abbia percorso la via Emilia passando anche per Parma oltre che per Bologna; normalmente era questo il tratto  percorso da chi volesse recarsi a Roma da Milano; lo stesso Leonardo quando nel 1513 lascia Milano per recarsi a Roma chiamato da Giuliano de Medici, annota le tappe del suo viaggio in terra Emiliana che lo porterà a Bologna «Fiorenzuola, Borgo a San Donino (l’attuale Fidenza), Parma, Reggio, Modana, Bologna» (C.A., f.260v ex 95rf).

Tutti luoghi dove Caravaggio nel suo ipotetico viaggio sicuramente si sarebbe fermato per aggiornarsi sulle novità pittoriche degli artisti che vi avevano lavorato; a Parma in quegli anni era ancora presente la Zingarella custodita nella guardaroba di Ranuccio I Farnese, dove Federico Borromeo l’aveva potuta ammirare.

Della Zingarella il cardinale parla nel suo Musaeum:

«Opera del Correggio è parimente un altro quadro, popolarmente chiamato la Zingara. Anch’esso fu riprodotto da uno dei Carracciolo e ne abbiamo visto in Parma l’originale a tal punto corroso e rovinato da farci sospettare che in breve sarebbe scomparso. Del resto la bellezza di tale lavoro fu pregiudicata dall’artista stesso col violare le leggi del decoro, attribuendo alla ladruncola egiziana la figura della Vergine».

In realtà il sentimento devozionale e i valori di umiltà e dolcezza espressi dall’opera, erano per il cardinale talmente elevati da superare le riserve da lui avanzate sul tema del decoro e da desiderare di averne una copia dell’originale; la rappresentazione della Madonna con Bambino del Correggio rispondeva esattamente a quanto affermato dal cardinale nel suo De Pictura Sacra e cioè che la Vergine doveva essere rappresentata con aspetto modesto ed umile come lo era il suo stile di vita.

A tal proposito Federico Borromeo ribadisce nel suoMusaeum”  che per il giudizio su un’opera d’arte deve prevalere lo spirito devozionale e la capacità del soggetto raffigurato di smuovere nel riguardante i più profondi sentimenti religiosi.

Bartolomeo Schedoni realizza la sua “Zingarella” con l’aggiunta di elementi che accentuano il tema del Riposo durante la fuga in Egitto[9], riproducendo però fedelmente la figura di Maria, senza peraltro rimuovere quei particolari (l’abbigliamento da zingara) ritenuti non in linea con i canoni della Controriforma.

L’attività di copista era molto diffusa in quel periodo ed aveva principalmente lo scopo, in attinenza alle direttive della Controriforma, di divulgare opere a carattere devozionale; i collezionisti apprezzavano le copie quasi come gli originali. Nell’opera Vite degli artisti di Gaspare Celio (Roma, 1571 – Roma, 1640), il biografo scrive su Caravaggio:

«Dopo desiderando il card.le Del Monte un giovane, che li andasse copiando alcune cose, Prosperino, vi accomodò esso Michelangelo»

e lo stesso cardinale Borromeo si circondava di pittori a cui affidare l’incarico di riprodurre opere di artisti famosi per la nascente Accademia Ambrosiana, spesso disponendo di rimuovere rispetto all’originale, tutto ciò che potesse offendere il senso del decoro.

È noto dalle fonti biografiche che anche Caravaggio avrebbe iniziato a lavorare a Roma come copista di opere devozionali, come ci tramanda Giulio Mancini nelle sue “Considerazioni sulla pittura” (1617 – 1621) dove afferma che l’artista ha realizzato per Monsignor Pandolfo Pucci «alcune copie di devotione che sono in Recanati».

Inoltre da recenti studi[10] si apprende  che Caravaggio, che della religiosità popolare e pauperistica di San Carlo e di Federico Borromeo si farà interprete, lavorava a Roma dal 1596 presso la bottega del pittore siciliano identificato con Lorenzo Carli, a conferma di quanto già accennato nelle loro biografie sui pittori, scultori e architetti, sia dal Baglione (1642): «E da principio si accomodò con un pittore siciliano che di opere grossolane tenea bottega », sia dal Bellori (1672): «[…] in bottega di mess. Lorenzo siciliano ricoverò in Roma».

L’attività principale di Lorenzo Carli era appunto quella di eseguire opere prevalentemente a carattere devozionale; probabilmente proprio nella bottega del pittore siciliano  Caravaggio potrebbe aver realizzato le «copie di devotione» per Monsignor Pandolfo Pucci, anche se tale tipologia di produzione era realizzata probabilmente controvoglia dall’artista, costretto per necessità ad accettare lavori di poca importanza che gli venissero offerti dalle numerose botteghe allora attive a Roma; lo afferma lo stesso Mancini il quale dice che Caravaggio agli esordi a Roma usava lamentarsi per i servizi «non convenienti all’esser suo».

Molte delle opere della bottega del Carli avevano infatti come tema la Madonna con il Bambino, come risulta dall’inventario stilato dalla moglie del pittore dopo la sua morte avvenuta nel marzo 1597[11]; dall’inventario risulta che Lorenzo Carli aveva nella sua bottega copie della “Salus Popoli Romani” la famosa icona sacra di Santa Maria Maggiore ed inoltre della icona sacra di Santa Maria del Popolo. É interessante notare che l’immagine della “Vergine con le mani giunte” rinvenuta a seguito di analisi radiografiche del 1980 al di sotto della stesura pittorica della “Buona Ventura” dei Musei Capitolini, è stata di recente accostata alla serie di immagini devozionali mariane descritte nell’inventario delle opere presenti nella bottega di Lorenzo Carli. Inoltre Giorgio Leone in un suo studio del 2016 ha rilevato che gli strati pittorici preparatori dell’immagine della suddetta Vergine, sarebbero compatibili con quelli di altri dipinti realizzati da Caravaggio nel primo periodo romano, il che non escluderebbe che la Vergine dipinta sotto la “Buona Ventura” sia di mano di Caravaggio, a testimonianza del fatto che l’artista in quegli anni dipingeva non solo fiori, frutti e ritratti ma anche madonne.

Per la riproduzione di opere a carattere devozionale ci si riferiva ad artisti famosi, tra questi sicuramente vi era il Correggio che godeva di ampia considerazione negli ambienti artistici e culturali a ridosso del ‘600; ne sono testimonianza alcuni disegni che prendono a modello proprio la figura della sua  “Zingarella” quale ad esempio un disegno preparatorio (fig.6) di Ludovico Cigoli per un “Riposo durante la fuga in Egitto” e soprattutto uno studio (fig.7) per la figura della Vergine realizzato da Domenico Fetti che riproduce perfettamente la postura della Madonna del Correggio, raffigurata dall’artista dormiente, nell’atto di trattenere con la mano sinistra il Bambino (non rappresentato nel disegno) e con in testa un turbante alla zingaresca.

Di botteghe come quella di Carli a Roma ve ne erano numerose soprattutto concentrate nel rione di Campo Marzio, dove si producevano, ma anche si acquistavano, opere che rispondevano al gusto e al clima dell’epoca; vi era quindi una grande circolazione di opere e non si può escludere che tra queste vi potessero essere copie della “Zingarella”, apprezzata per la sua capacità di stimolare i più profondi sentimenti religiosi

Tra le botteghe situate nelle vicinanze di quella di Lorenzo Carli che commerciavano quadri seriali, copie di opere a carattere devozionale di pittori famosi, vi era la bottega del perugino Giandomenico Angelini, maestro di Antiveduto Gramatica presso cui aveva lavorato anche Caravaggio; Angelini, secondo quanto riportato da Antonino Bertolotti[12], eseguiva tra l’altro copie da Raffaello e dal Correggio.

Non è del tutto da escludere che, prima di affidare l’incarico a Bartolomeo Schedoni, Federico Borromeo che tanto apprezzava la “Canestra di frutta” abbia tentato, nonostante un giudizio non proprio benevolo  sul carattere e sul modo di vita del Merisi,  di commissionare la copia della “Zingarella” allo stesso Caravaggio, ricevendone un rifiuto; ciò si potrebbe dedurre da un episodio riportato in un suo saggio da Maria Cristina Terzaghi in cui si specifica che Giovanni Maria Vercelloni, segretario del cardinale, riferisce nei suoi scritti di una commissione richiesta dal Borromeo a Caravaggio avente per tema una Madonna con manto stellato, commessa inizialmente accettata, ma essendo passato troppo tempo il cardinale, sempre secondo il Vercelloni «… si servì d’altro pittore[13]

Lo stesso Lothar Sickel sostiene che solitamente Caravaggio

«era molto affidabile nello svolgere i compiti assunti, ma non accettava ogni incarico che gli veniva offerto», enumerando lo studioso alcuni incarichi rifiutati dall’artista o accettati ma mai eseguiti.[14]

Ugo IMPRESCIA  Roma 15 aprile 2020

NOTE

[1]M. Calvesi, “Le realtà del Caravaggio”, Torino 1990, pp. 201-207.
[2]David Ekserdjian, “Correggio”, Milano 1997, pp. 60-61. Maddalena Spagnolo, “Correggio Geografia e storia della fortuna (1528-1657)”, Milano 2005, pp. 94 e seg.
[3]Tale attribuzione si deve a Cesare Brandi.
[4]I Fratelli Procaccini trasferitisi a Milano nella seconda metà degli anni 80 del ‘500, erano legati al cardinale Federico Borromeo che commissiona a Camillo una natività per la chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia in Milano mentre Giulio Cesare realizza un ritratto del cardinale.
[5]Resto del Carlino” del 28 gennaio 2014.
[6]G. Bertini, “La galleria del duca di Parma, storia di una collezione” – 1987.
[7]La zia di Ranuccio, Ersilia, era sorella di suo padre Alessandro e moglie di Renato I Borromeo fratello di Federico.
[8]G. Berra, “Il Caravaggio da Milano A Roma: problemi e ipotesi” in Atti della Giornata di Studi “Sine Ira et Studio”, pag. 41 – Sapienza Università di Roma, 2017.
[9]Non è chiaro se il coniglio e l’angelo di più grandi proporzioni presenti nella copia dello Schedoni e mancanti nell’originale come ci è oggi noto, siano stati aggiunti dallo Schedoni o se erano dei ritocchi operati dallo stesso Correggio e rimossi dai recenti restauri.
[10]F. Curti, “Sugli esordi di Caravaggio a Roma. La bottega di Lorenzo Carli e il suo inventario” in “Caravaggio a Roma, una vita dal vero”, Catalogo della mostra presso l’Archivio di Stato di Roma – 2011, pp 65-76.
[11]F. Curti – “Sugli esordi di Caravaggio a Roma”, cit. p.74.
[12]A. Bertolotti, Gian Domenico Angelini pittore perugino e i suoi scolari, in Giornale di erudizione artistica, III-IV (1876), pp. 65-87.
[13]M. C. Terzaghi, “Tracce per la Canestra e la natura morta al tempo di Caravaggio”, in “Il giovane Caravaggio – Sine Ira et Studio”, 2018 pgg. 111-113.
[14]L. Sicke “Gli esordi di Caravaggio a Roma: una ricostruzione del suo ambiente sociale nel primo periodo romano”, Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana, pg. 56.(2010),