di Fabrizio TONELLI
Un’esemplare vicenda architettonica rinascimentale: sulle tracce del maggiore progettista milanese nel castello di Bardi, 1552-1555 *
Il principale committente di quanto s’ammira nella rocca di Bardi, sull’alto Appennino piacentino[1], fu il conte Agostino Landi, titolare del feudo dal 1529 al 1555 (figg. 1a-b). Sono precisamente documentabili tre impegnative campagne di lavori condotte nel 1533-37, 1543-45 e 1552-55 (fig. 2). Fanno fede numerose carte d’archivio inedite, la data 1544 inserita in uno dei fregi dipinti all’interno delle
stanze nobili, una descrizione del castello del 1617, secondo cui «il prencipe Agostino l’abellì, fortificò et ampliò molto di fortezza e appartamenti», e soprattutto i caratteri architettonici degli edifici ancora indenni dal influsso michelangiolesco della tarda maniera: tutte prove che smentiscono l’opinione corrente, stando alla quale i promotori di quelle opere sarebbero stati fra Cinque e Seicento suo nipote Federico e addirittura la figlia di questi, Maria Polissena, dopo il 1630[2].
Ora preme in particolare la terza e più aulica fase, che Agostino Landi promosse nel 1552-55, appena ottenuti da Carlo V nel 1551-52 il raddoppio dei propri feudi appenninici con l’aggiunta di Borgotaro, la corroborazione della loro diretta soggezione cesarea e della completa esenzione da Piacenza e Milano, l’elevazione di Bardi in marchesato, le dignità di principe imperiale e senatore milanese, il privilegio di zecca e il titolo d’«illustre» nei protocolli dell’Impero. È la fase in cui egli diede corso al progetto di rinnovo e ampliamento del quartiere nobile della rocca, facendovi costruire la facciata prospettante sul piazzale d’armi spianato ad una quota più bassa (figg. 3-4), l’accesso con la scalinata ad ali a cielo aperto (fig. 5), il cortile d’onore con la sala grande sul lato nord e il portico a colonne su quello sud (figg. 6-7), la nuova cantina scavata sotto alla grande sala, infine arricchendo e sistemando il giardino meridionale recintato ai piedi dell’antico maschio (vedi fig. 2).
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La durata della terza campagna di lavori
In base ai nuovi documenti, l’impresa era in corso già alla fine di giugno del 1552, quando si lavorava alle colonne per il cortile e al soffitto ligneo della sala grande, e dovette iniziare col reclutamento delle maestranze un paio di mesi prima, quando Agostino Landi fu avvisato che Orazio Farnese aveva mandato a Piacenza alcuni sicari travestiti da venditori di corone e frascherie per eliminarlo, i quali, non avendolo trovato, avevano deciso significativamente d’indossare i panni da muratori e portarsi da lui.
I lavori erano di fatto terminati quando il principe morì a Milano il 18 marzo 1555. Forse le ultime finiture vennero perfezionate sotto la sorveglianza di suo zio, conte Giulio Landi, che assunse le redini della casa e la tutela dei pronipoti orfani: sulla mostra lapidea del grande camino della nuova sala, oggi non più esistente, fu inciso il nome del principino Manfredo, nuovo signore di Bardi.
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Gli scalpellini e il pittore documentati a Bardi nel 1552-1555
Oltre a scandire la precisa cronologia dei lavori fra l’estate del 1552 e la primavera del 1555, le nuove carte d’archivio restituiscono in alcuni casi l’identità degli artefici esecutori. Sono registrate l’attività di maestri falegnami, fabbriferrai e muratori e la ricerca fra Bologna e Ferrara di un maestro giardiniere, senza però che ne siano annotati i nomi. Al contrario, per le opere in pietra viva sono attestati due dei maggiori lapicidi piacentini dell’epoca, Andrea Boveri e Ambrogio Primi. La decorazione dipinta dei soffitti lignei e gli affreschi a grottesche sulle pareti della nuova sala, riemersi a brandelli a metà del ’900 da sotto gli intonaci moderni (fig. 8), vennero affidati al pittore piacentino Rolando Cassano, che li eseguì su appositi disegni commissionati a Roma dal principe Agostino: «ho dato ordine che siano fatti dissegni di pittura et farò diligentia a fine che siano secondo il desiderio di Quella», lo avvisava dall’Urbe il suo agente, «et a quest’hora si è dato principio a dissegnare groteschi di nove fantasie, oltraché ho pensato di mandarne ancho a stampa che sono cavati di grotte antiche, reliquie della casa di Nerone, per li quali si aprirà la strada al pittore a formare nove fantasie, se egli sarà huomo di giudicio; ma soprattutto si facci diligentia di huomo che sappi accompagnare i colori, che in tale accompagnamento consiste l’importanza della pittura a grottescho».
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La cisterna, la sala, il portico e la scala originari
Incrociando i documenti dei lavori con altri inediti dei secoli seguenti, compresi i due rilievi grafici del castello eseguiti fra ’700 e ’800[3] (fig. 9), si viene pure a sapere d’ulteriori opere volute da Agostino Landi nel 1552-55 e si riesce a restituire l’aspetto originario di quelle modificate successivamente. Quattro gli esiti più rilevanti.
1) Il principe fece costruire una cisterna con apposito impianto idrico e contemporaneamente reclutò un maestro «fontanaro» e un «maestro di miniere» a Brescia, capitale siderurgica già a quel tempo, dopo averli cercati senza successo a Cremona. Perciò è presumibile che le condutture fossero da realizzare in metallo, sfruttando gli abbondanti affioramenti di roccia metallifera nelle alte valli del Ceno e del Taro: «sussistono miniere di rame, di ferro, di alabastro» nei dintorni di Bardi, scriverà nel 1617 Francesco Piccinelli; e nel 1803 il comandante napoleonico del castello farà rimuovere i «condotti di rame già vecchi e mezzo consunti», per «farli rifar de latta», giacché i soldati della guarnigione erano «frequentemente disturbati da dolori di ventre» e il medico aveva stabilito che «l’aqua della cisterna ne fosse la cagione, per esser i condotti delle aque di rame». Sebbene le carte cinquecentesche dei lavori e le due planimetrie più tarde del castello non lascino intendere dove fosse precisamente la nuova cisterna di Agostino Landi, dovrebbe trattarsi di quella tuttora esistente sotto il cortile d’onore, cuore del cantiere del 1551-52, alla quale in effetti si riferiscono esplicitamente i documenti del 1803 per la sostituzione dei condotti.
2) Un’ampia volta in muratura copre oggi la sala grande (vedi fig. 8)[4] e subito sopra si trova l’armatura lignea del tetto assai alto, perciò a nulla servono le cinque finestre prospettanti sulla corte al piano superiore della sala (fig. 10),
poiché illuminano a giorno l’estradosso della volta nel sottotetto. Un recente crollo, presto restaurato, ha svelato che la volta è costruita con la tecnica dell’incannucciato (fig. 11), impensabile a Bardi a metà del Cinquecento. In effetti Agostino volle la nuova sala coperta da un grande soffitto ligneo piano e ne affidò la decorazione al solito Rolando Cassano, riservandosi di decidere fra un ornato ad oro, come quello già eseguito nei soffitti lignei delle stanze preesistenti, o un altro tipo d’ornato. Al piano di sopra fece allestire stanze agibili, illuminate dalle cinque finestre oggi inutili: l’originaria sistemazione è ancora osservabile nel rilievo planimetrico tardo-settecentesco dell’intero castello (vedi fig. 9).
3.Dalle fonti archivistiche finora recuperate non si ricava alcuna notizia sul tipo di copertura adottata nel portico meridionale del cortile d’onore, tuttavia dev’essere recente la volta muraria attuale, lunettata ma segmentata in tre pseudo-padiglioni (fig. 12), una forma di volta priva di riscontri nell’architettura cinquecentesca lombarda ed emiliana.
4) I due soliti rilievi planimetrici mostrano una configurazione della scalinata esterna diversa dall’attuale. Oggi dalla piazza d’armi salgono le due rampe simmetriche, ciascuna di nove gradini, convergenti sul pianerottolo centrale rettangolare (vedi fig. 5), e di qui, con altri tre gradini infilati nella luce del portale, attraverso il considerevole spessore della muraglia di facciata, si raggiunge la quota di calpestio della corte (fig. 13). Nei rilievi planimetrici sette-ottocentechi, invece, le due rampe esterne sono pausate da bassi pianerettoli quadrati e intorno ad essi girano a L i primi gradini d’invito (vedi fig. 9). È questa esattamente la configurazione attestata nei documenti relativi all’esecuzione dell’opera.
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Un progetto organico, un solo architetto
È facile accorgersi che la facciata, la scalinata, la corte e la sala sono frutto d’un progetto unitario d’un solo architetto, considerando che:
1) le dimensioni e l’aspetto della corte sono stabiliti ipso facto dal fronte ionico della nuova sala sul lato nord (vedi fig. 10) e da quello dorico del portico sul lato sud (vedi fig. 7);
2) la severa facciata sulla piazza d’armi è ingentilita da quattro mostre lapidee disposte in modo simmetrico, ossia le due ampie finestre ioniche laterali, il portale dorico centrato fra esse e la sottostante scala ionica per raggiungerlo dal piazzale (vedi fig. 3);
3) le mostre in facciata si trovano tutte in esatta corrispondenza agli assi di simmetria degli ambienti interni (vedi fig. 9); precisamente il portale dorico e la scalinata ionica sono sull’asse mediano della corte, mentre le due finestre ioniche sono rispettivamente sugli assi longitudinali della sala e del portico, e all’interno della sala la finestra si specchiava nel perduto camino monumetale sulla parete opposta, mentre sotto il portico l’altra finestra ha riscontro speculare nel portale tuttora esistente;
4) le semicolonne doriche del portale in facciata sono gemelle delle colonne doriche del portico nel cortile e v’è pure corrispondenza in dettaglio fra le loro trabeazioni, dotate di fregio liscio e di cornice aggettante priva di mutuli, distinte appena nelle fasce d’architrave (fig. 13 vedi, e fig. 14);
5) le finestre ioniche in facciata sono le stesse di quelle della sala sul lato nord del cortile (figg. 15-16);
6) un identico cornicione a guscia corona sia la corte (vedi figg. 7, 10), sia la facciata (vedi fig. 5) (fig. 17).
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Cristoforo Lombardino progettista del nuovo quartiere nobile
Le carte fin qui ritrovate non consegnano esplicitamente il nome dell’architetto reclutato nel 1552 per il progetto di rinnovo del castello. Tuttavia non v’è motivo di dubitare che Agostino Landi abbia scommesso sul più eminente professionista milanese del tempo: Cristoforo Lombardino (notizie dal 1510; † 30 settembre o 1° ottobre 1555), già scultore del duomo di Milano e socio in varie imprese del Bambaia, poi architetto dei maggiori cantieri del ducato lombardo, dalla cattedrale a S. Maria presso S. Celso nella capitale, dalla certosa di Pavia al santuario di S. Maria dei Miracoli a Saronno, ingenere pubblico del Comune milanese, nonché architetto di alcune delle maggiori famiglie, dai Trivulzio, ai Borromeo, agli Stampa da Soncino, amico e collega di Giulio Romano fra il 1540 e il 1546, meritevole di menzioni postume da parte di Giorgio Vasari (seconda edizione delle Vite, 1568) e di Giovan Paolo Lomazzo (Trattatato della pittura 1584; e Grotteschi, 1587)[5].
Ad assicurarci del suo incarico da parte di Agostino Landi sono stringenti circostanze storiche, un indizio documentario più esplicito e soprattutto la prova stilistica, l’unica in grado di decidere in via risolutiva una questione di paternità progettuale.
Per quanto riguarda le circostanze e l’indizio documentario, basti anticipare che:
1) Piacenza fu incorporata nel ducato milanese dal 1547 al 1556; il Landi fu uomo di riferimento in loco del governatore di Milano Ferrante Gonzaga e nel 1551 ottenne un seggio nel senato della capitale;
2) Agostino, del resto, era imparentato strettamente con diverse famiglie milanesi tramite la moglie Giulia, figlia di Caterina Visconti Borromeo, la sorella Caterina, moglie di Giovanni Fermo Trivulzio (più un fratello che un cognato per Agostino), la figlia Porzia, moglie di Ludovico Gallerati, la zia Tidea, moglie di Giovanni Tolentini[6], la carissima cugina Ippolita Pallavicino da Scipione, figlia di Margherita Visconti da Saliceto e moglie morganatica di Pallavicino Visconti da Brignano[7];
3) i documenti inediti attestano varie sue trasferte nella città ambrosiana: almeno nel gennaio e nel giugno del 1543, nel febbraio del 1548, nell’aprile del 1551, nell’aprile-maggio del 1553, nel marzo del 1554, nel febbraio-marzo del 1555, quando vi morì, in casa del consuocero Guido Gallerati;
4) Lombardino lavorò a Milano nel 1519-21 per Tidea Landi[8], nel 1533-34 per Pallavicino Visconti[9], almeno dagli anni ’40 per i Trivulzio cugini di Giovan Fermo[10];
5) lo stesso Cristoforo fu ingaggiato almeno due volte per opere da realizzare a Piacenza: nel 1531-34 per il sepolcro del cavaliere Nicolò Dolzani nella chiesa di S. Sisto[11], e nel 1549-50 per il progetto della nuova chiesa dei canonici lateranensi di S. Agostino[12], ordine religioso di cui egli era architetto a Milano in S. Maria della Passione[13]; il suo vice-architetto alla Passione, Martino dell’Acqua, fu chiamato a Piacenza nel giugno del 1550 per stimare l’antico monastero di S. Agostino[14]; un altro suo stretto collaboratore, Giulio d’Oggiono, lavorò al palazzo piacentino d’Ippolita Pallavicino da Scipione in due riprese, fra il 1552 e il 1557[15].
7) è notizia del tutto inedita che Lombardino sia stato reclutato a Milano anche dal conte Vitaliano Visconti Borromeo, fratello di Caterina, suocera di Agostino Landi; quest’ultima, trascorsi venticinque anni fra Compiano e Piacenza, tornò a vivere a Milano nel 1538, rientrò stabilmente a Piacenza nel 1541 e, dopo la morte di sua figlia Giulia nel 1546, assunse la direzione domestica col benestare di Agostino; rimase in stretto contatto epistolare col fratello Vitaliano e nell’ottobre del 1550 era da lui avvisata che «a giorno per giorno s’aspetta la venuta de quello messer Cristoforo ingegnero della fabrica dil Domo, et venuto subito intenderò di quel marmo di Carrara et ne aviserò vostra signoria»; dunque, Lombardino stava lavorando per i Visconti Borromeo, i quali non avrebbero mancato in occasione della sua prossima visita di chiedergli notizia dei marmi carraresi necessari ai Landi chissà per cosa.
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Aggiunte al catalogo di Lombardino architetto a Milano, Vigevano, Carpiano e certosa di Pavia
La rassegna di vicende e personaggi appena abbozzata serve a dire che Agostino Landi ebbe senz’altro modo di sapere precisamente chi fosse Cristoforo Lombardino e sincerarsi comodamente dei suoi talenti. A sancire che sia lui il progettista dei lavori avviati nel castello di Bardi nell’estate del 1552 è la prova stilistica, poiché questo è un caso in cui lo stile architettonico è più loquace di qualsiasi rogito o registro contabile per identificare l’autore.
L’osservazione dell’architettura del quartiere nobile rileva infatti una serie nutrita di soluzioni peculiari che nel loro insieme trovano riscontro solo nel catalogo delle opere sicure di Lombardino. Occorre tuttavia includere preliminarmente in tale catalogo cinque nuovi titoli, che passano finora per anonimi o attribuiti ad altri maestri o del tutto inosservati e sono invece referenziati dalla convergenza di appoggi documentari e di caratteri stilistici collimanti a quelli degli edifici già riconosciuti negli studi a Lombardino. Precisamente:
1) il modello ligneo del nuovo duomo di Vigevano (fig. 18), realizzato plausibilmente dopo la sospensione del cantiere del 1535, su disegno databile al 1533-35[16]; la sua stretta parentela col progetto autografo di Lombardino per la facciata di S. Maria presso S. Celso e con le opere da lui eseguite all’interno della chiesa stessa è lampante, ad esempio, nelle grandi volute coricate sulle falde del tetto, nelle identiche bifore di gusto quattrocentesco della cella campanaria e nel portale con timpano triangolare sormontato dall’oculo in lunettone (fig. 19), ma pure nei peculiari pilastri a binati astratti con triplice specchiatura ovoidale divisoria (fig. 20).
2) le parti più monumentali del castello di Carpiano dei certosini di Pavia, ossia la torre d’ingresso (fig. 21), il cortile sud-ovest detto del Priore (fig. 22), il corridoio voltato a botte fra questo e la corte grande, le stanze terrene contigue, il tutto eseguito sulla base di un progetto placitato nel 1549[17], quando l’architetto stipendiato della certosa era appunto Lombardino e il priore del monastero era padre Damiano Longone che l’aveva assunto a stipendio nel 1540 circa; in particolare la torre d’ingresso si segnala come uno dei vertici dell’architettura astratta e dell’applicazione dell’ordine a fasce in Lombardia nella prima metà del Cinquecento, insieme alla parte più alta della torre di palazzo Stampa da Soncino (fig. 23) e alla corticella sul fianco meridionale della tribuna di S. Maria della Passione a Milano (fig. 24)[18];
3) il nuovo appartamento priorale nella certosa di Pavia, realizzato fra anni ’40 e ’50 del ’500 presso l’angolo nord-ovest del chiostro grande, le cui parti più smaglianti sono l’andito d’ingresso con porte lapidee, il salone con camino monumentale, il pozzo in pietra, l’altana e la doppia loggia sul giardino con colonne doriche (fig. 25)[19];
4) sempre per i certosini pavesi, il progetto databile verso il 1550 per la completa ricostruzione della loro domus residentiae a Milano in Porta Ticinese (fig. 26), i cui lavori erano già in corso nel 1552, stando a documenti inediti, e furono completati nel 1558, tre anni dopo la morte dell’architetto[20];
5) il complesso della nuova sagrestia di S. Maria presso S. Celso a Milano, cioè il portale ionico d’accesso dalla navata laterale sinistra della chiesa (fig. 27), l’intero vestibolo quadrato (figg. 28-29) e l’intera sala della sagrestia vera e propria (figg. 30-31), i cui lavori furono condotti nel 1551-1555[21].
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Lo stile di Lombardino a Bardi
Rinviando a diversa occasione l’analisi stilistica completa del quartiere nobile del castello di Agostino Landi, qui s’antipano solo alcuni proficui paragoni con altre opere di Cristoforo.
1) Il cornicione a guscia, che a Bardi corona la facciata sulla piazza d’armi e il cortile d’onore (vedi figg. 5, 10), ebbe una modica diffusione in Lombardia nel tardo ’400 (due esempi: il vestibolo d’ingresso alla certosa di Pavia e il palazzo di Eliseo Raimondi a Cremona), ma era del tutto desueto a metà del ’500, perciò è significativo che prosperi nel catalogo architettonico di Lombardino: lo si trova sulla torre d’ingresso del castello di Carpiano (vedi fig. 21) (fig. 32) e nella corticella di S. Maria della Passione a Milano (vedi fig. 24), che in virtù dell’associazione purista di ordine a fasce e cornicione a guscia palesano la più stretta consanguineità, e ancora sull’altana della prioria nella certosa di Pavia (vedi fig. 25); in tutti e tre i casi ora accennati si tratta di una guscia liscia e non troppo eminente, in funzione di semplice coronamento esattamente come a Bardi; infine quel tipo di cornicione troneggia nella domus milanese dei certosini di Pavia in dimensioni più ampie, con lunette e finestre, per dare luce a un piano tuttora abitabile, sia sulla facciata verso strada, sia su quella verso l’ex giardino, sia nel cortiletto posteriore (figg. 33-35).
2) A Bardi, le finestre ioniche della facciata sulla piazza d’armi e quelle della sala grande sul lato nord del cortile d’onore hanno tutte il fregio pulvinato ossia bombato (fig. 36), elemento antiquario che fu applicato all’ordine ionico per primo da Raffaello a Roma[22], recuperato per primo da Lombardino in patria, per le porte ioniche della loggia superiore delle foresterie in certosa a Pavia (fig. 37).
3) Le porte ioniche che si aprono sotto il portico meridionale del cortile bardigiano esibiscono tre motivi speciali d’ornato: una mostra a due fasce con orecchie poco aggettanti intorno alla luce, il fronte delle volute intagliato a foglie lanceolate, la sottocornice superiore a losanghe piatte piene (fig. 38).
È una combinazione di motivi usati altrove da Lombardino. Cristoforo infatti fu il primo a introdurre a Milano cornici di porte e finestre all’antica, a fasce con orecchie pur di minimo aggetto: nel progetto per la facciata di S. Maria presso S. Celso (fig. 39), nel portale ionico che all’interno della stessa chiesa immette dalla navata sinistra nel vestibolo della sagrestia (fig. 40), nella facciata a logge della prioria della certosa di Pavia verso il giardino (vedi fig. 25), sul fianco esterno del santuario di S. Maria dei Miracoli a Saronno, sulla distrutta facciata di S. Caterina alla Chiusa a Milano, rilevata parzialmente prima della demolizione[23]. Applicò inoltre l’ornato con foglie lanceolate alle volute del medesimo portale ionico in S. Maria presso S. Celso (vedi fig. 40) e la decorazione a losanghe piatte piene, gemella di quella delle porte Landi, alla sottocornice del cornicione ionico sommitale nella corte delle foresterie in certosa a Pavia (fig. 41), invece usò losanghe piatte ma specchiate nella sottocornice della trabeazione del primo ordine della torre di palazzo Stampa a Milano, che funge pure da ripiano del balcone superiore.
4) Il lato sud nel cortile d’onore a Bardi presenta una peculiare sovrapposizione di ordini architettonici: al piano terreno colonne intere e al piano superiore lesenine molto appiattite e contratte, prive di capitelli (vedi fig. 7). In altri termini, dal basso verso l’alto l’ordine architettonico perde corpo vistosamente, grazie alla diminuzione plastica e all’astrazione formale, un duplice climax sciorinato da Lombardino in modo eclatante negli anni ’40 su tutta l’altezza della torre di palazzo Stampa da Soncino a Milano, per ben sei piani (vedi fig. 23); dev’essersi ispirato plausibilmente all’amico Giulio Romano, che aveva combinato il decremento corporeo e l’incremento astrattivo, sempre dal basso verso l’alto, all’esterno di palazzo Stati-Maccarani a Roma.
5) La miscela di elementi dorici e ionici ad uno stesso piano dell’edificio, perfino su una stessa parete, è smaccata nella loggia superiore del cortile delle foresterie nella certosa di Pavia (fig. 42) e nel secondo ordine esterno del tiburio di S. Maria della Passione a Milano[24], ma si ritrova pure nel palazzo milanese degli Stampa da Soncino (qui, al piano terra, sono doriche le colonne del cortile, ionici i portali originari superstiti[25]). A Bardi la mescolanza dorico-ionica caratterizza sia la facciata esterna del quartiere nobile, dove il portale dorico è piantonato dalle finestre e dalla scala ioniche (fig. 3), sia il lato sud del cortile, dove sotto il portico dorico si trovano porte ioniche (vedi figg. 14, 38), senza contare che il cortile nel suo complesso esibisce i lati nord, est ed ovest ionici (fig. 43) e il portico dorico sul lato sud (vedi figg. 7, 20), tutti al piano terra.
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Portici alla greca: un primato di Lombardino a Milano
Il portico dorico trabeato al pian terreno del lato sud nel cortile di Bardi è da porre in serie con quello «del Priore» nel castello Carpiano (vedi fig. 22), con quelli plurimi nella domus milanese dei certosini di Pavia (corte grande: vedi fig. 26; due lati affrontati nel cortiletto posteriore, di cui oggi sopravvive solo quello sul lato nord; demolito portichetto d’ingresso all’oratorio sull’ex giardino) e con quello del cortile di palazzo Brivio a Milano in via Olmetto 17[26]. Sono comunque tutti portici trabeati dorici con colonne sorelle di quelle bardigiane, ma soprattutto sono, intorno al 1550, una vera primizia di Lombardino in patria, giacché non si conoscono precedenti portici terreni alla greca, cioè architravati e sorretti da colonne libere di qualsiasi ordine canonico, in chiostri o cortili residenziali lombardi. In particolare il cortile d’onore della residenza milanese dei certosini di Pavia, quadrato, col peristilio completo su tutti e quattro i lati, è un fatto di per sé rilevante, oltre a costituire il punto qualificante di un progetto ispirato evidentemente alla domus antica.
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Portico architravato su colonne binate: Peruzzi, Serlio, Lombardino
A Bardi, il lato sud del cortile d’onore presenta l’ordine architettonico binato su duplice livello (fig. 44).
Sub specie generali l’ordine binato non era a quelle date una novità in regione, poiché fu introdotto nell’ultimo ventennio del ’400 da Bramante in molti dei suoi progetti fra Milano e Pavia e fu ripreso a inizio ’500 da diversi architetti anche nella periferia del ducato, compreso Alessio Tramello all’esterno dei tiburi di S. Maria di Campagna a Piacenza. Però Lombardino ne fu un vero e proprio alfiere, declinando il motivo in tutte le combinazioni: in coppia singola, coppia doppia o in serie, con colonne libere, semicolonne o lesene, architravate o collegate da archi cioè a serliane concatenate. Basti pensare a palazzo Stampa da Soncino (arco terreno e trofeo apicale della torre, pozzo, lato est del portico terreno e loggia al secondo piano del lato nord nel cortile), alla perduta facciata di S. Caterina alla Chiusa in Milano, alla corte delle foresterie nella certosa di Pavia (lato est), alla chiesa di S. Agostino a Piacenza (interno ed esterno).
Il punto è che la formulazione nel cortile di Bardi, cioè un portico terreno architravato su binati di colonne libere (vedi fig. 44), è un unicum clamoroso in Lombardia alla metà del ’500 e bisogna attendere i primi decenni del secolo successivo per trovarne una riedizione nei trionfali loggiati del cortile del Seminario Maggiore a Milano, attribuiti affidabilmente a Fabio Mangone[27]. Se pure si allarga l’indagine fuori regione alla ricerca di modelli utili per Lombardino, si trova un solo precedente, a Roma intorno al 1535, nel vestibolo di palazzo Massimo alle Colonne di Baldassarre Peruzzi (fig. 45), per di più con ordine dorico a fregio liscio come a Bardi. Non è un caso che l’unico altro esempio antecedente al castello di Agostino Landi sia quello teorico della facciata di casa dorica illustrata da Sebastiano Serlio, allievo del Peruzzi, nel Libro Quarto del suo trattato, stampato a Venezia nel 1537 (fig. 46)[28].
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Una scalinata a podio sotto il cielo per l’ingresso alla residenza, dopo Michelangelo e Alessi
Con il portico trabeato a colonne binate Cristoforo mise a segno un punto d’avanguardia nell’Italia settentrionale, un altro con la scalinata ad ali en plein air per l’ingresso al quartiere nobile, ponendosi tempestivamente, in questo caso, alle calcagna di Palladio e Galeazzo Alessi e dei rispettivi committenti di ville venete e genovesi. Prima del 1552, infatti, sono ancora poche le scalee cerimoniali a cielo aperto, di qualunque forma, nell’architettura residenziale in tutta la Penisola, rare quelle ad ali convergenti, idea rilanciata da Bramante col progetto del Belvedere in Vaticano, rarissime quelle propriamente a podio, ossia con rampe speculari complanari e pianerottolo apicale, quattro quelle a podio innanzi all’ingresso di una residenza e, di queste, soltanto tre effettivamente costruite: nel 1527 Jacopo Sansovino ne prevede una d’attracco a pelo d’acqua nel progetto ineseguito del palazzo di Vettor Grimani sul Canal Grande a Venezia[29]; nel 1546-49 Michelangelo realizza quasi interamente lo scalone del palazzo senatorio in Campidoglio a Roma, issando l’entrata al primo piano novile dell’edificio[30]; nel 1548 Alessi avvia il cantiere della villa di Luca Giustiniani ad Albaro fuori Genova (poi villa Cambiaso), contemplando un più consueto accesso a piano terra, tramite una forma analoga di scala[31]; nel 1550-51 lo stesso Michelangelo progetta la scala davanti al nicchione del Belvedere superiore, per l’accesso a piano terra del nuovo appartamento di Giulio III in Vaticano[32]. Se non sfugge qualcosa, dovrebbero essere questi i precedenti di Bardi[33], e bastano a sospettare che il principe Landi approvò scientemente un elemento d’architettura di delizia a ingentilire, insieme ai giardini, il proprio maniero.
Considerando la scalinata di Bardi nella sua forma originaria a tre pianerottoli, attestata già negl’inediti documenti del cantiere cinquecentesco e ancora vigente nei rilievi planimetrici sette-ottocenteschi (vedi fig. 9), il suo prototipo è certo da ravvisare nello scalone capitolino, coi due pianerottoli laterali rompitratta e il podio aulico sommitale (fig. 47), tuttavia è la traduzione di quel prototipo escogitata da Galeazzo Alessi per Luca Giustiniani a costituire il più stringente modello dell’edizione di Lombardino per Agostino Landi, sia nelle dimensioni e nella quota d’adito, sia nei pochi gradini d’invito disposti ad L attorno ai due pianerottoli bassi (vedi fig. 9 e fig. 48), sia nell’articolazione del fronte-scala con due coppie di mensoloni binati verticali sotto ai pilastrini della balaustra centrale (figg. 49-50).
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Il fronte-scala di Bardi: una firma di Lombardino
Ogni dubbio sul progettista del quartiere nobile bardigiano è fugato proprio dal fronte-scala d’accesso, un brano d’architettura idiosincratica, al di là dei possibili modelli d’ispirazione: due enormi volute coricate in orizzontale fungono da parapetto delle rampe convergenti sul pianerottolo centrale e quest’ultimo è protetto da una balaustrata di birilli a doppio fuso simmetrico con anello centrale, sorretta da due coppie di volute binate, issate in verticale a mo’ di mensoloni allungati (fig. 50).
Prendendo ciascun elemento separatamente, le volute giganti si trovano pure sdraiate sulle falde dei tetti laterali nel modellino ligneo per il duomo nuovo di Vigevano (vedi fig. 18), le coppie di pseudo-mensoloni binati verticali nel pozzo di palazzo Stampa da Soncino (vedi fig. 51) e nel monumento dei vescovi Arcimboldi in cattedrale a Milano (fig. 52)[34], i balaustri a doppio fuso simmetrico con anello centrale nella loggia ionica della corte delle foresterie in certosa a Pavia (vedi fig. 42). Considerando invece lo schema compositivo del fronte-scala di Bardi nel suo insieme, ossia un montaggio a forma di trapezio, i cui lati obliqui sono occupati dalle grandi volute coricate, il lato superiore da un’alzata centrale e il cuore del trapezio dai binati di volute ritte in piedi per tutta la sua altezza, allora si può trovarlo tale quale, traslato dal basso in alto, esclusivamente nel progetto di Cristoforo per la facciata di S. Maria presso S. Celso a Milano (figg. 53-54). Inutile cercarlo nei repertori d’altri architetti lombardi o non lombardi.