di Francesco PETRUCCI
Recensione a: “Roma e Varsavia. Tradizione classica e educazione artistica nell’età dei lumi e oltre”, a cura di Jerzy Miziołek, “l’Erma” di Bretschneider, Roma 2019
Jerzy Miziołek, fine storico dell’arte e studioso di archeologia, già direttore del Museo dell’Università di Varsavia e del Museo Nazionale di Varsavia, ha dedicato numerose ricerche ai rapporti culturali tra Italia e Polonia, culminati recentemente nel volume Varsavia, tradizione classica e educazione nell’età dei Lumi e oltre.
Una pubblicazione ricca di stimoli innovativi per la conoscenza soprattutto del ‘700 romano, che dimostra il cospicuo contributo fornito da artisti e committenti polacchi alla internazionalizzazione delle conoscenze sul mondo classico, documentando con materiale inedito o poco noto agli studi il proficuo scambio culturale tra le due capitali tra XVII e XIX secolo.
Un fenomeno che ebbe particolare impulso nel secolo dei Lumi, con la partecipazione di nobili e intellettuali polacchi in funzione non secondaria al fenomeno del Grand Tour (fig. 1).
In questa sintetica recensione, ripercorriamo attraverso una panoramica dei contributi presenti nel volume, le principali novità della pubblicazione curata con passione e competenza da Miziołek che ha ricevuto un forte appoggio linguistico e editoriale da parte di Francesca Ceci dei Musei Capitolini.
Stanisław Mossakowski studia un disegno di Giovan Battista Gisleni (1600-1672), singolare figura eclettica di architetto, scenografo e musicista romano, molto attivo in Polonia, mettendolo in relazione con la progettazione di una galleria per la Villa Regia di Varsavia concepita su probabile commissione della regina Maria Luisa di Gonzaga-Nevers (1611-1667), moglie di due sovrani polacchi.[1]
Il progetto, conservato nelle raccolte del Castello Sforzesco di Milano, datato tra il 1664 – anno in cui Gisleni torna a Varsavia – e il 1667, viene considerato uno dei primi riflessi della cultura classica italiana a Varsavia (fig. 2). Infatti esso illustra la decorazione illusionistica di una galleria con loggia ad arcate aperta su uno spazio verde, che accoglie copie di celebri statue dell’antichità (Ercole Farnese, Apollo del Belvedere, etc.).
Mi sembra che il progetto, di tipica matrice romana, vada posto in relazione con interventi di poco precedenti, come la “galleria di Alessandro VII” ideata da Pietro da Cortona nel Palazzo del Quirinale (1655-56) e la “galleria di Urbano VIII” decorata da Giovanni Paolo Schor su progetto del Bernini per la Biblioteca Vaticana (1662-63).[2]
L’affascinante studio di Mossakowski dimostra che in qualche modo la galleria di sculture progettata da Gisleni potrebbe essere vista come la premessa ad uno dei più bei interni dell’Università di Varsavia, cioè la “Sala delle Colonne” con la sua ricca collezione dei calchi in gesso, eretta dopo 1818, che torna più volte sotto esame nei contributi del libro.
Agnes Allrogen-Bedel ridimensiona il ruolo di Johann Joachim Winckelmann a villa Albani.[3] Secondo la studiosa il grande archeologo studiò le opere nella loro individualità, come componenti di un processo evolutivo della storia dell’arte, ma non nel contesto dell’allestimento della villa, in merito al quale non ebbe alcuna responsabilità.
Anzi, paradossalmente, sarebbe stato proprio l’approccio filologico dello studioso a consacrare la fama delle singole opere della raccolta al di là del contesto che le ospitava e nel contempo la legittimità della loro musealizzazione in altra sede, come avvenne a seguito dell’occupazione francese nel 1797-98 e le conseguenti confische da parte degli invasori.
Enzo Borsellino si sofferma sull’imponente impresa editoriale del catalogo del Museo Capitolino curato da Giovanni Gaetano Bottari, pubblicato in quattro tomi tra il 1741 e il 1782, che seguì la nascita nel 1734 del primo museo pubblico europeo.[4]
Lo studioso illustra con dovizia di particolari i precedenti, i pregi e i limiti di tale lavoro, che sono quelli di una erudizione universalistica di stampo letterario, poi superata da Winckelmann con un approccio innovativo e filologico, da archeologo e storico dell’arte.
Joanna Kilian prende spunto da due vedute romane di Gaspar van Wittel e Paolo Panini conservate presso il Museo Nazionale di Varsavia, per analizzare il diverso apporto dei due artisti all’immagine universalistica della città eterna.[5]
Analitico e razionalista quello di van Wittel, romantico e interpretativo quello di Panini. Le opere di entrambi, espressioni dell’età dell’illuminismo, soddisfano con risposte diverse le richieste dei colti viaggiatori, come esatta descrizione dei luoghi da parte del primo e con approccio concettuale da parte del secondo.
Se la produzione di van Wittel è una premessa al vedutismo veneziano di Canaletto, quella di Panini, come ben argomenta la studiosa, accompagna la nascita dell’archeologia e la “mania per l’antichità” che si diffonde in tutta Europa, caricandosi di significati preromantici ed escatologici nel gusto per la rovina, quale emblema del carattere effimero delle civiltà umane.
Giovanna Perini Folesani si interroga sulle ragioni dell’aggregazione di Marcello Bacciarelli, divenuto pittore di corte del re Stanislao Augusto Poniatowski e direttore generale delle fabbriche reali, all’Accademia Clementina di Belle Arti di Bologna.[6]
Viene ancora pubblicato come autoritratto dell’artista un dipinto raffigurante Ritratto di uomo con la medaglia di Benedetto XIV del Musée Fesch di Ajaccio, che in realtà non lo raffigura, come ha dimostrato con convincenti argomentazioni Dorota Juszczak.[7]
Il problema degli autoritratti di Bacciarelli anteriori al soggiorno polacco rimane comunque controverso. A mio avviso le forti somiglianze fisiognomiche e le caratteristiche stilistiche rendono compatibili con l’artista romano, come ha proposto sino ad oggi la bibliografia specialistica, gli autoritratti giovanili della Fondazione Ciechanowieckich nel Castello Reale di Varsavia e del Palazzo Chigi in Ariccia, collezione Lemme (1755-60), messi in dubbio dalla Juszczak per l’abbigliamento a suo avviso più tardo (figg. 3, 4).[8]
Aleksandra Bernatowicz nel suo testo scritto in francese si sofferma sul notevole impulso dato da Stanislao Augusto Poniatowski, vero monarca illuminato e illuminista, alla didattica artistica in Polonia, che sarebbe dovuto approdare all’apertura di un’Accademia di Belle Arti, solo in parte fondata durante il suo regno, sul modello delle accademie europee.[9]
Katarzyna Jursz-Salvadori ha approfondito il rapporto di Stanislao Augusto Poniatowski con l’incisore e architetto Francesco Piranesi, finalizzato alla realizzazione di una monumentale pianta di Villa Adriana a Tivoli in sei tavole, da lui patrocinata (fig. 5).[10]
Infatti il sovrano polacco, che aveva maturato un formidabile interesse per la cultura classica come patrimonio universale, pur non avendo mai potuto visitare Roma, la conosceva attraverso libri e stampe, tanto da chiedere a Bernardo Bellotto di dipingere 15 vedute della città ispirate alle incisioni di Giovan Battista Piranesi.
Enzo Borsellino riprende il tema dei progetti della decorazione pittorica del cosiddetto Castello di Ujazdow a Varsavia, richiesta dal re Stanislao Augusto Poniatowski a Gregorio Guglielmi.
Lo studioso pubblica alcune lettere inedite di Guglielmi indirizzate a Marcello Bacciarelli, pittore di corte del re Poniatowski, che riguardano la suddetta decorazione di Ujazdów, purtroppo mai portata a compimento.[11]
Il Borsellino si sofferma anche su un bozzetto perduto, già conservato nel Museo Nazionale di Varsavia e noto solo attraverso una vecchia fotografia, che illustrava Le quattro parti del mondo, posto in relazione con tale progetto (fig. 6).
Il saggio di Jerzy Żelazowski si incentra su un manoscritto dedicato agli scavi settecenteschi di Veleia, proveniente dalla biblioteca di Stanislao Augusto Poniatowski, ritrovato negli anni ’90 del secolo scorso nella Biblioteca Nazionale dell’Ucraina. Un’ulteriore testimonianza degli interessi antiquari dell’ultimo sovrano polacco, perfettamente aggiornato sugli scavi archeologici in Italia, la cui viscerale passione per l’antico lo portava a farsi leggere brani di Vitruvio prima di dormire.[12]
Jerzy Miziołek illustra l’avvenieristico progetto del Conte Stanislao Kostka Potocki di ricostruzione ideale su carta della Villa di Plinio a Laurentum, presso Ostia, eseguito nel 1777-78 a Roma con la collaborazione con Vincenzo Brenna, Giuseppe Manocchi e Franciszek Smuglewicz (Varsavia, Bibloteca Nazionale) [13].
L’intellettuale polacco, che si fece ritrarre tra l’altro da Angelica Kauffmann e Jacques-Louis David, è una delle figure più innovative per l’avvento in Europa della cultura neoclassica, a partire ancora una volta da ricerche e fermenti culturali sviluppati nella capitale pontificia.
Il grandioso progetto della villa ostiense è stato poi ricostruito digitalmente, su iniziativa dello stesso Miziołek, in una mostra tenuta nel 2007 presso la Biblioteca Nazionale di Varsavia (fig. 7). In occasione della mostra fu girato un documentario sulla villa pliniana di duratura di 29 minuti, che venne poi arricchito con le nuove visualizzazioni in 3D e recentemente messo su Youtube (si veda il canale “Italia e Polonia”).
Il piano ricostruttivo di Potocki, riflesso della sua vasta cultura classica, è figlio del suo tempo, trattandosi sostanzialmente dell’architettura di una villa palladiana rivisitata in chiave neoclassica, come ha ben argomentato Miziołek (fig. 8).
In tal modo la straordinaria restituzione su carta della famosa villa, studiata già nel 1994 da uno studioso canadese[14], viene sottoposta a un’indagine interdisciplinare i cui risultati sono davvero impressionati. Del tutto accettabile e anche l’ipotesi riguardante Giuseppe Manocchi quale autore dei più bei disegni non solo della villa di Plinio, ma anche della Scuola delle Belle Arti voluta dal Conte Potocki per la capitale della Polonia (fig. 9).
Tale esperienza secondo lo studioso non fu senza conseguenze, essendo stata fonte d’ispirazione per la progettazione su impulso dello stesso Potocki della “Sala delle Colonne” dell’Università di Varsavia, arredata con calchi in gesso di sculture antiche.
Agata Pietrzak si sofferma sulla formidabile biblioteca del conte Potocki dedicata alle belle arti, paragonabile a quella del re Poniatowski, alla base dei suoi lavori più importanti, autore anche dell’inedito manoscritto Il Vasari polacco, tanto da essere ritenuto il Winckelmann polacco.[15]
Mario Cesarano torna su un argomento da lui affrontato precedentemente, quello della collezione di marmi antichi e di “vasi etruschi”, in realtà vasi di Nola, che arredavano la ricca biblioteca del conte Potocki. Una passione corroborata da ben sei viaggi in Italia, di cui il più proficuo fu quello del 1785-86. Il suo palazzo di Wilanow venne trasformato dall’architetto Vincenzo Brenna in un museo pubblico, uno dei primi in Polonia.[16]
Un approfondito saggio di Mikołaj Baliszewski mette in risalto l’importante ruolo avuto dal pittore polacco Franciszek Smuglewicz nell’illustrazione e divulgazione delle decorazioni di contesti archeologici romani in pubblicazioni di carattere antiquario.[17]
Infatti l’interesse per l’arte classica che approda all’affermazione del neoclassicismo, suscitato da ritrovamenti e scavi archeologici, porta allo sviluppo di una vera e propria “industria dell’antico”, con copie di sculture da vendere come souvenir, tra bozzetti, biscuit e gessi, assieme a riproduzioni a stampa di complessi architettonici emersi dagli scavi. Si aggiungono le incisioni tratte dalle decorazioni di Raffaello, considerato dalla cultura del tempo alla stregua degli antichi.
Una delle imprese editoriali più prestigiose fu la pubblicazione del volume sulle Vestigia delle Terme di Tito (1776) promossa da Ludovico Mirri, che illustra la decorazione di sedici camere della Domus Aurea dissotterrate dagli scavi del 1775-75. Le riproduzioni, in bianco e nero e dipinte, vennero effettuate da Smuglewicz coadiuvato dall’architetto Vincenzo Brenna, mentre l’abate Giuseppe Caletti si occupò del commento scritto. Gli stessi artisti si interessarono contestualmente, sempre per conto di Mirri, della riproduzione grafica delle decorazioni di Villa Madama, eseguite dalla bottega di Raffaello ma che al tempo erano riferite al maestro (fig. 10).
Smuglewicz riprodusse anche la Nozze Aldobrandini, incise da Giovanni Ottaviani, le decorazioni di Villa Adriana a Tivoli (1778) ed altro, sempre con Mirri. L’artista polacco, imbevuto della cultura classica assorbita anche tramite la frequentazione della bottega di Mengs, è stato uno dei più rigorosi interpreti delle teorie di Winckelmann sull’imitazione dell’antico, con una interpretazione rigorosa delle parti mancanti.
L’assimilazione dei rilievi classici, come quelli dell’Arco di Costantino, sarebbe riflessa in sue opere come alcuni affreschi dell’Episcopio di Frascati, che lo studioso polacco gli riferisce contestando la precedente attribuzione a Taddeo Kuntze, o lo splendido dipinto raffigurante la cosiddetta Captio di Rea Silvia da parte di Amulio de d’Alba, di cui Baliszewski individua la corretta e rarissima iconografia, ritenendola giustamente “un saggio di virtuosismo ed erudizione” (fig. 11).
Małgorzata Biłozór-Salwa illustra il progetto di Franciszek Smuglewicz, mai portato a compimento, per un ciclo di 200 incisioni sulla storia polacca, secondo il metodo delle sottoscrizioni, già sperimentato con successo dall’antiquario scozzese James Byres per le tombe etrusche di Tarquinia e da Ludovico Mirri per le Vestigia delle Terme di Tito.[18]
Hubert Kowalski e Jerzey Żelazowski indagano la storia dell’imponente collezione di calchi in gesso di sculture antiche, iniziata dal Re Stanislao Augusto e poi incrementata in tempi successivi, finalizzata alla costituzione di un’Accademia di Belle Arti, portata a compimento soltanto nel 1816.[19]Si tratta di una delle prime gipsoteche in Europa, collocata nella già più volte menzionata “Sala delle Colonne” (fig. 12).
Oggi, dopo diversi spostamenti in deposito, i gessi sono nella Orangerie del palazzo Lazienki a Varsavia, mentre alcuni gessi sono tornati nella Sala delle Colonne (2012), divenuta aula di rappresentanza dell’università di Varsavia. Gli studiosi si soffermano sull’importanza di tale raccolta per la cultura polacca, non solo alla base della formazione di artisti, ma anche quale modello per la produzione di copie in marmo che arredano ville e palazzi in Polonia.
Anna Santucci si sofferma sull’enorme fortuna iconografica di una coppia di sculture create a Roma attorno al 1760, raffiguranti Fanciullo con uccello e Fanciulla con nido, restituiti da Andrew Ciechanowicki a Charles-Antoine Bridan, ispirate ad originali di media età imperiale della collezione Borghese.[20]
Raffaella Bucolo percorre i criteri di formazione a Roma, città per eccellenza della loro creazione, di raccolte di gessi e la loro funzione, prevalentemente didattica o strumentale al lavoro degli artisti. Lo studio è focalizzato sulla costituzione della gipsoteca dell’Università La Sapienza di Roma, culminata nel 1893 nella costituzione del “Museo dei Gessi” al Testaccio e trasferita nel 1935 nel seminterrato della facoltà di Lettere e Filosofia. Oggi costituisce il Museo dell’Arte Classica alla Sapienza.[21]
Giovanna Capitelli tratta di uno scultore-dilettante polacco poco noto, anche se molte sue opere si trovano a Roma, Tomasz Oskar Sosnowski, restituendolo alla sua dignità di scultore purista, sulla scia di Pietro Tenerani di cui fu allievo, per sottrarlo alla superficiale etichetta di modesto scultore neoclassico.[22]
Nel saggio conclusivo al ricco volume da lui curato, Italianità di Varsavia. Qualche impressione, Jerzy Miziołek tratteggia a grandi linee l’influsso che la cultura artistica e architettonica italiana ha lasciato sulla capitale polacca, attraverso la presenza di numerosi artisti italiani che vi hanno lavorato: dagli architetti Giovan Battista Gisleni e Agostino Locci nel XVII secolo, a Marcello Bacciarelli, Bernardo Bellotto, Domenico Merlini nel XVIII; gli esempi sono molteplici: dalla Villa Reale di Wilanów, al Parco Reale di Lazienki, alla colonna di Sigismondo Vasa, al Teatro Nazionale disegnato da Antonio Corazzi (1827), al giardino romantico “L’Arcadia” iniziato nel 1778 su commissione della principessa Elena Radzwill.
Ma la presenza di architetti italiani a Varsavia fu consistente anche nel XIX secolo, dominata dalla figura dell’architetto romano Enrico Marconi (1792-1863) il quale, giunto in Polonia nel 1822, progettò “un numero di edifici davvero impressionante tra cui i più belli sono senza dubbio il palazzo della famiglia Pac (c. 1827) e l’Hotel Europejski (1855-1875), entrambi nel cuore della città”.[23]
Tra le immagini che illustrano il saggio in particolare spiccano il progetto del cosiddetto Forum Vasorum di Gisleni (fig. 13) e le copie delle famose sculture antiche – Arianna dormiente e Il Galata morente (fig. 14) – di Tommaso Righi, trasferitosi a Varsavia nel 1790, che ornano il bel teatro nel Parco Reale di Łazienki.[24]
Conclude il ricco volume la traduzione dal francese di un manoscritto di Stanislaw Kostka Potocki, Note e idee sulla Villa di Plinio a Lurentum, con note di Jerzy Miziołek.[25]
Quasi mezzo secolo dopo la pubblicazione del catalogo della mostra Polonia: arte e cultura dal medioevo all’illuminismo (Roma, Palazzo Venezia, 23 maggio – 22 luglio 1975, Roma 1975) è stato finalmente pubblicato un libro di grande rilevanza per i prolifici rapporti artistici tra Italia e Polonia.
Va infine ricordata una bella osservazione di Andrea Busiri Vici – uno degli studiosi romani più sensibili ed originali, cui la storia artistica della città e degli artisti che vi hanno operato deve moltissimo, soprattutto per il ‘700 –, citata nell’introduzione al libro in esame:
“Per merito degli architetti italiani venutisi a stabilire in Polonia o di queli polacchi che avevano studiato a Roma, Varsavia diviene una città prettamente classica e, specie nell’ultimo decennio del regno di Stanislao Augusto, l’arte vi raggiunge un carattere così solenne da creare una scuola europea del più alto livello”.[26]
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Francesco PETRUCCI Roma 21 marzo 2021
Il libro, la cui sintetica recensione abbiamo qui presentato, è accompagnato da un bel documentario intitolato Da Roma a Varsavia, accessibile su Youtube sul canale “Italia e Polonia”
NOTE